CALCIATO, Domizio
Estremamente scarse risultano le notizie intorno alla biografia del C., notizie interamente desumibili da occasionali e fuggevoli citazioni da parte di altri letterati coevi. Luogo e data di nascita restano ignoti, sicché soltanto si può connettere il suo casato con una famiglia originaria di Borgo Lavezaro (Forum Lebotiorum), villaggio della campagna novarese presso la Lomellina, e si può ancora, per approssimazione, porre la data di nascita intorno al 1485, se vanno prese per buone le indicazioni- riportate dal Cotta - fornite da Gaudenzio Merula nel suo De claris familiis. La medesima collocazione storico-letteraria del C. riesce d'altro canto difficoltosa se si consideri come essa non può non presupporre una più ampia, materiale, ricostruzione - tutta da fare - di una certa zona di cultura provinciale dell'Italia nordoccidentale in età umanistica, ove ad esso si affianchino altri peeti quali Assaraco Saracco, Cattaneo, o l'altro novarese P. Collatina, al fine di verificare l'ipotesi della presenza di una precisa e comune cifra di cultura piemontese, naturalmente disponibile al trapianto nel centro direzionale - sul piano politico in primo luogo - di Milano. è questo comunque il caso del C., il quale, oltre le composizioni spicciolate, note soltanto attraverso citazioni - sempre il Merula ricorda tre carmina: In tumulo unius grilli carmen, In lavacro aquae lustralis Novariae e In caedem Gallorum factam in foro Lebetiorum a Caesareis;mentre Aurelio Albucio trascrive alcuni suoi versi nei libri Christianarum virtutum (Milano 1540) -, deve la sua relativa fama tra i colleghi, e la successiva pur labile permanenza, al poemetto De Bello Gallico in Insubribus gesto, certamente nato a ridosso di una esperienza direttamente lombarda, si può presumere in qualche non determinato ruolo dell'"Atene sforzesca".
Quest'opera (non datata), che narra le vicende delle guerre francesi in Lombardia a cavallo dei secoli XV e XVI interrompendosi alla vigilia della battaglia di Melegnano (1515), non è poi riducibile in un alveo di tradizione o di prassi scontatissime: la sua veste esterna - la lingua latina e la versificazione in esametri epici - attesta una certa deviazione dalla norma corrente del pieno Rinascimento, le cui tendenze più tipiche e rilevanti preferiscono utilizzare il volgare per narrazioni di "fatti" contemporanei, riservando piuttosto il latino, ormai specializzatosi, ad un genere poematico più circoscritto e prezioso quale il didascalico-descrittivo. E pure a restringere il campo, l'epica più comune usa rivolgersi a soggetti almeno potenzialmente mitici, per esempio la storia sacra - si pensi alla Christias (1527) del Vida -, privilegiando così in modo funzionale toni e repertorio di stampo virgiliano; il modello che si pone al C. è invece, evidentemente, il Bellum civile (Pharsalia) di Lucano, tantoché non a caso il Cotta ritenne giustificato adattare alla sorte del poeta novarese, morto prima di poter completare il suo lavoro, un passo ("Haec cecinit vates scripturas plura, sed illum / In medio cursu iussit mors dira silere") col quale Stato aveva commemorato appunto Lucano.
Ma i connotati più interni al poemetto del C. - che si affianca ad opere contemporanee quali il De Bello Nordico di Riccardo Bartolini (1515)oil De Bello Sircambico di Girolamo Falletti (1542) - indicano come ogni ascendenza resti comunque epidermica. In mancanza di una qualsiasi prospettiva interpretativa, neppure encomiastica, i fatti vengono allineati dal poeta novarese entro una struttura narrativa schematica, sostenuta da un discorso prevalentemente paratattico e inesorabilmente simmetrico, adatto dunque a ridurre il filo delle vicende storiche nelle vesti di un canovaccio da utilizzare più o meno felicemente. Dove l'utilizzazione consiste tutta nella capacità di adattare ai vari luoghi comuni di una guerra descritta il bagaglio illustrativo inesauribile offerto dal canone classico; così che i tratti distintivi propri del C. vanno ricercati nei margini di una ridondanza, di una più frequente insistenza su certi luoghi e su certi espedienti.
La narrazione ha il suo centro nelle campagne militari di Francesco, re di Francia, in Lombardia (1515-16) - la ricostruzione dei precedenti sino alle nozze tra Valentina Visconti e Luigi d'Orléans (1387) è mera genealogia - e si avvale, risolvendovisi, di una serie prevedibile di strumenti descrittivi: dal gusto automatico della similitudine mitologica e mimetica (la,corte riunita presso Francesco I corrisponde all'omerico concilio degli dei; l'abusato parallelo tra la furia dei combattenti e l'ira del cinghiale braccato; l'alata personificazione della fama) alle decorative sfilate dei più illustri guerrieri. Non resta che la ridondanza suaccennata: ed essa è tutta nell'amplificazione dei caratteri di terribilità cruenta della guerra (nei primi otto versi il termine "sangue" colora, iterandosi, il quadro); nella registrazione retorica della immanità del furore e dello sconvolgimento ("cum primum Italicis sonuit Mars horridus oris") in primo luogo nella sua terra novarese, puntualmente ricordata, in corrispondenza quindi di una precisa emergenza autobiografica.
Appunto per sfuggire a eventi bellici posteriori il C. si trovava a Borgo Lavezaro, quando venne a morte nel luglio dell'anno 1527.
Il suo poemetto si legge nel vol. X delle Miscellanea di L. A. Cotta, Milano 1700, il quale fa riferimento generico a materiali manoscritti esistenti presso la Biblioteca Blanchiniana di Novara.
Fonti e Bibl.: A. Assaraco Saracco, Trivultiades, Milano 1516, p. 25; L. A. Cotta, Museo novarese, Milano1701, pp. 103 s.; G. Vinay, L'umanesimo subalpino nel sec. XV, Torino 1835, p. 228; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, pp. 64.