DOMIZI DEL COMANDATORE (Dei Commendatore), Pietro
Fiorentino, figlio di Domenico di maestro Antonio di Domizio, nacque nel novembre 1446. Fu canonico flesolano, maestro dei chierici di S. Maria del Fiore e precettore (è noto il suo magistero presso la famiglia dei Bongirolami). Insegnò anche nel monastero fiorentino degli Angeli. Dalle ricerche dello Schlebusch nel 1487 il D. risulta in relazione con il generale dei camaldolesi Pietro Dolfin. Morì il 29 dic. 1518 a Prato (Schlebusch).
Secondo una tradizione abbastanza diffusa nella Firenze laurenziana (confermata dai casi di Giorgio Antonio Vespucci, Antonio Bernardi, Paolo Comparini), curò con i suoi allievi l'allestimento e la messa in scena di commedie classiche e sue. A questo proposito, rivolgendosi a Lorenzo il Magnifico in una lettera del 19 ag. 1476, lo invitava ad assistere alla rappresentazione di una sua commedia, la Licinia, che avrebbe dovuto aver luogo nella chiesa d'Ognissanti. I rapporti con i Medici non dovettero comunque essere stati del tutto sporadici né infruttuosi se in una lettera del 4 marzo 1472 lo stesso Lorenzo aveva avuto cura di raccomandare il D. per un insegnamento da tenere a Pistoia.
A ricomporre le linee generali della vicenda biografica e culturale del D. contribuiscono da una parte le sue peripezie di maestro dei chierici, dall'altra i suoi testi. Va ricordato infatti che il D. risulta in carica allo Studio fiorentino come insegnante di grammatica sulla base di una condotta del 17 maggio 1482, confermata nell'agosto del 1485, mentre poi l'8 dicembre dell'anno successivo viene bruscamente esonerato dall'incarico ad opera degli ufficiali dello Studio: vittima di accuse analoghe a quelle da cui era stato difeso qualche anno prima (1477) dalle suore di S. Maria in sul Prato, che ne avevano perorato la causa presso Lucrezia de' Medici. Maestro dei monaci a S. Maria degli Angeli (1491), insegnò poi privatamente (1492-93). Dal gennaio 1495 fu chiamato a insegnare ai chierici di S. Lorenzo, ma la condotta ebbe termine per sospensione il 24 gennaio '98. Nel febbraio successivo venne però assolto dall'accusa (il documento di condanna e quello di assoluzione in Verde, IV, 2, p. 651, e IV, 3, p. 1522). Dopo la notizia della sua presenza a Ferrara nel 1494 in relazione con un capitolo generale degli agostiniani (secondo il Tiraboschi il D. "teneva scuola in Ferrara") e in occasione del quale sarebbe stata rappresentata la sua commedia Augustinus (l'una e l'altra notizia sono ora messe in dubbio con buone argomentazioni dallo Schlebusch), il D. risulta a Prato nel 1504 in qualità di "praeceptor gramaticae nuper electus" (Guasti, p. 86). Nella stessa città risiedeva ancora tre anni dopo (come si legge in un testamento redatto in data 27 apr. 1507). Rifiutata nel 1511 una condotta del Comune pistoiese, ne accettò poi un'altra nel 1513 a condizioni economiche più vantaggiose. A quest'epoca risale anche il distacco definitivo dalla città di Prato, confermato da un atto datato dalla badia di Grignano e redatto il 25 genn. 1514 (o '15), nel quale dichiarava di rilasciare al vicario arcivescovile la cura e la responsabilità di un convento di monache agostiniane che lo stesso D. aveva fondato e costruito a sue spese.
Dell'attività di commediografo del prete fiorentino restano tre opere (Augustinus, Petrus, Zenobius) e il titolo di una quarta (Licinia). La prima, composta su invito di Mariano da Genazzano e dedicata ad Ercole I d'Este, è incentrata sulla conversione di s. Agostino; si dice rappresentata nel 1494 (probabilmente a Firenze). Della seconda, che sulla base degli Atti degli apostoli ripercorre le tappe nelle quali sono tradizionalmente scanditi gli ultimi giorni della vita dell'apostolo nella Roma neroniana, non sono noti né l'anno di composizione né quello dell'ipotetica rappresentazione, ma la deffica a Pietro Soderini appellato "perpetuo civitatis fiorentine Vexilliferum" restringe l'uno e l'altro agli anni del gonfalonierato del dedicatario (1502-12). Lo Zenobius fu effettivamente rappresentato (alla recita accenna infatti lo stesso D. nella lettera di dedica a Raffaele Girolamo, che del D. era stato allievo); ma non è dato precisare l'epoca, che però non dovette essere molto tarda data la natura tutta "fiorentina" dell'opera, a cominciare proprio dal soggetto. Della Licinia si sa invece con certezza che fu recitata nel 1476; ma al di là di questo non sappiamo altro, tanto da far nascere il dubbio sulla redazione volgare o latina del testo (alla possibilità di una commedia volgare credeva il Creizenach).
Gli anni nei quali visse e operò il D. sono anni centrali e determinanti per la storia e l'evoluzione del teatro, classico e non, nella Firenze del Rinascimento; li attraversa e li segna con decisione una dialettica - che è spesso contrapposizione esplicita ed esacerbata - che vede contrapposte le ragioni della tradizione medievale, non sempre e comunque non del tutto popolare (in essa, è noto, si provò lo stesso Lorenzo con la Rappresentazione dei santi Giovanni e Paolo) e quelle delle nuove idealità del mondo umanistico. Più esplicitamente, tra "sacra rappresentazione" (e volgare) da una parte e "comoedia" (e latino) dall'altra. Ma a caratterizzare i senari giambici del D., tutt'altro che raffinati, è soprattutto una costante preoccupazione moralistica, tanto esplicita quanto apertamente contrastante con le ripetute riserve sulla sua condotta di prete e di maestro, una pregiudiziale che il D. puntualmente ribadisce nelle lettere di dedica delle opere rimaste e che impone una valutazione decisamente riduttiva della valenza sperimentale implicita in quei lavori teatrali. I tratti del profilo umano e culturale del D., così come risultano dai suoi testi e dall'esile documentazione che lo riguarda, autorizzano con buona approssimazione l'accostamento (suggerito da Doglio) alle immagini dei "clamosi, leves, cucullati, lignipedes, cincti funibus superciliosum incurvicervicum pecus" che "Curios simulant, vivunt bacchanalia", così come sono stigmatizzati dal Poliziano nel breve prologo per la rappresentazione fiorentina dei Menaechmi plautini curata nel 1488 da un altro maestro di chierici, Paolo Comparini.
Queste le collocazioni delle commedie: Zenobius, Firenze, Bibl. Laurenziana, Ashb. 1066; Petrus, Ibid., Ashb. 1067; Augustinus, Modena, Bibl. Estense, alfa W 212. K. Schlebusch ha approntato l'edizione critica dell'Augustinus, di prossima pubblicazione (Petrus Domitius, Augustinus. Eine christliche Komödie des 15. Jahrhunderts).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Catasto 642, c. 68r (data di nascita); Mediceo av. il Princ., XXII. 373, XXIII. 431, XXXIII. 674, LXXX. 157; N. A., D95, c. 260r; Ricordi per lo Studio pisano e fiorentino dal 1481 al 1495, c. 22v (atto di condotta del 27 maggio 1482); Deliberazioni circa lo Studio fiorentino e pisano dal 1484 al 1492, c. 114v (condotta dell'agosto 1485); Deliberazioni..., c. 60r (atto di esonero dall'ufficio dell'8 dic. 1486); Pistoia, Arch. del Comune, Provvis., 1513, 21 ottobre, reg. 78, c. 243; Consigli, Provvisioni e Riforme, 58, c. 161v; Sez. di Archivio di Stato di Prato, Ceppo nuovo, 218, c . 41 destra (data di morte). Vedi inoltre: G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., Roma 1784, VI, 2, p. 215; C. Guasti, Sulle scuole del Comune e sull'istruzione popolare in Prato, in Calendario pratese del 1848. Mem. e studi di cose patrie, Prato 1847, pp. 86-87; I. Del Lungo, Di altre recitazioni di commedie latine in Firenze nel sec. XV, in Florentia. Uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897, pp. 379-387; A. Zanelli, Del pubblico insegnamento in Pistoia dal XIV al XVI secolo, Roma 1900, pp. 93 s., 158; W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, II, Halle a. S. 1901, pp. 10-13; F. Pintor, Le prime recitazioni di commedie latine in Firenze, in Nozze Ferrari-Toniolo, Perugia 1906, pp. 135-146; A. Perosa, in Encicl. dello spett., IV, Roma 1957, col. 837, sub voce; Id., Teatro umanistico, Milano 1965, pp. 38-39; A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, passim, spec. le pp. 101-106; F. Doglio, Il teatro in latino nel Cinquecento, in Ilteatro classico ital. del Cinquecento, Roma 1971, pp. 163-196, specie le pp. 170 ss.; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, II, Firenze 1973, pp. 549 ss.; III, ibid. 1977, t. I, pp. 143, 441; IV, ibid. 1985, t. II, pp. 696 ss., t. III, p. 1522; R. Volpe, Intento religioso e impianto retorico in una commedia inedita del XV secolo, lo "Zenobius" di P. D., in Rivista di storia e letteratura religiosa, XV (1979), pp. 230-249; L. Zorzi, Il teatro e la città, Torino 1977, p. 79; F. Cruciani-F. Taviani, Discorso preliminare per una ricerca in collaborazione, in Quaderni di teatro, II (1980), 7, spec. le pp. 37-41; F. Ruffini, "Cultura della tradizione" e "cultura colta" a Firenze tra '400 e '500, ibid., p. 73; F. Doglio, Teatro in Europa. Storia e documenti, I, Milano 1982, pp. 447-448.