DOMINIQUE
. Così venne chiamato in Francia uno dei nostri più celebri comici dell'arte del Seicento, Domenico Giuseppe Biancolelli, ammiratissimo come Arlecchino (v.). Di suo padre Francesco Biancolelli, anch'esso comico dell'arte, si sa principalmente che fu marito di Isabella Franchini; la quale, rimasta vedova poco appresso il 1640, sposò in seconde nozze Carlo Cantù, che diede al piccolo Domenico (Menghino, Meneghino) i primi insegnamenti dell'arte. Ragazzo e adolescente, fece parte di compagnie vagabonde, fra le quali, a quanto sembra, quella del Tabarrini con cui si sarebbe trovato a Vienna nel 1661, quando Luigi XIV invitò il giovane attore a Parigi. Quivi dal 1660 una compagnia italiana privilegiata, e sovvenuta dalla cassetta del re, si era stabilita al Petit-Bourbon; e quivi il D. rimase fino alla morte.
Il suo esordio fu accolto con interesse, e poi con entusiasmi di spettatori, che talvolta degenerarono in risse; in progresso di tempo (1671) egli finì col sostituire il Locatelli, Trivellino, presentandosi definitivamente al pubblico in costume d'Arlecchino. Sennonché, in luogo dell'abito miserando usato dalla più parte de' suoi predecessori, che, appunto a rappresentare lo squallore d'un Arlecchino ancora torvo e sogghignante, era tutto un contrasto di toppe a violenti colori, egli usò quello a rombi disposti con vivace ma regolare leggiadria, presto adottato da tutti gli altri Arlecchini. E si può dire che alla grazia del rinnovato costume corrispose anche un relativo ingentilirsi della maschera: il suo spirito s'affinò, in motti e bottate presto divenuti celebri, fra il compiacimento dell'intellettualità parigina e il favore del re, che divenne suo protettore.
Perfino da una sua naturale deficienza di voce, ch'era stridula e fessa, D. seppe trar partito per crearsi una dizione da pappagallo, la quale forse parve portare il suo Arlecchino in un regno di disumanizzata irrealtà.
Poiché, a quel tempo, gran parte del pubblico di Parigi non poteva intender l'italiano, il D. sviluppò grandemente, nella sua recitazione, la parte mimica e acrobatica; d'altra parte, egli e i suoi compagni introdussero a poco a poco, nelle loro commedie italiane a soggetto, anche dialoghi francesi: finché, dopo la nota polemica con gli attori parigini che tentarono invano d'opporsi presso Luigi XIV, poterono recitare addirittura intere commedie nell'idioma del luogo. Il D. morì nel 1688, legando ai suoi eredi la somma di centomila scudi; e grandi furono le manifestazioni di cordoglio a Parigi, come straordinario era stato il suo successo in vita. Il La Guellette trascrisse in francese lo Scenario del D., raccolta di 163 intrecci di commedie scritti da Arlecchino in prima persona, versione conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Dall'attrice Orsola Cortesi (v.), il D. aveva avuto otto figli, tre dei quali furono attori: Francesca-Maria-Apolline (1664-1747), che esordì come amorosa, ma lasciò presto le scene; Caterina, celebre Colombina, andata sposa nel 1685 a un comico francese, Pierre Lenoir de la Thorillière, e morta nel 1716; e Pier Francesco, nato nel 1680, e che, educato in un collegio di gesuiti, alla morte del padre prese sulla scena il suo nome di Dominique, recitò in Francia e in Italia, e morì a Parigi nel 1734.
Bibl.: V. La bibliografia già indicata alla voce commedia dell'arte, e soprattutto L. Rasi, I comici italiani, Firenze 1894-99.