Abstract
L’istituto del domicilio fiscale è proprio del diritto tributario ed esprime quella relazione spaziale tra contribuente ed ente impositore che è necessaria ai fini della certezza dello svolgimento dei rapporti giuridici. La funzione principale del domicilio fiscale è quella di radicare la competenza territoriale dell’Ufficio tributario. Il domicilio fiscale individua, inoltre, il luogo in cui devono eseguirsi le notificazioni dei provvedimenti impositivi. Benché per sua natura il domicilio fiscale abbia carattere inderogabile, il legislatore prevede che, in deroga a quello predeterminato ex lege, l’amministrazione finanziaria, d’ufficio o su istanza di parte, possa stabilire il domicilio fiscale altrove. L’esercizio di tale potere, tuttavia, deve necessariamente uniformarsi al fine di pubblico interesse sotteso all’istituto che è quello di migliorare la funzionalità dell’attività impositiva.
L’istituto del domicilio fiscale è proprio del diritto tributario ed esprime quella relazione spaziale tra contribuente ed ente impositore che è necessaria ai fini della certezza dello svolgimento dei rapporti giuridici.
L’attuale disciplina del domicilio fiscale è contenuta nel d.P.R. 29.9.1973, n. 600, recante Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, agli artt. 58 e 59: il primo ne stabilisce ambito di applicabilità e criteri di individuazione, il secondo disciplina l’ipotesi di domicilio fiscale stabilito autoritativamente dall’amministrazione o assegnato in base ad una richiesta motivata del contribuente.
L’art. 58 cit. dispone, al primo comma, che «agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato, giusta le disposizioni seguenti». Dalla lettera della norma si evince, in primo luogo, che il domicilio fiscale riguarda i soggetti passivi delle imposte sui redditi (vedremo, tuttavia, che esso rileva anche ai fini di alcune imposte indirette), in secondo luogo, che il domicilio fiscale è altro rispetto al domicilio civilistico.
A differenza del domicilio civilistico (art. 43 c.c.), che individua il centro degli affari ed interessi liberamente prescelto da tutti i soggetti capaci di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, il domicilio fiscale è un luogo predeterminato dalla legge secondo criteri certi ed obiettivi, in cui i soggetti passivi vengono giuridicamente collocati; se, dunque, il domicilio civilistico integra una manifestazione dell’autonomia della volontà individuale, il domicilio fiscale rappresenta una limitazione di tale autonomia, che la legge impone per agevolare l’applicazione delle imposte (Cfr. Berliri, A., Il testo unico per le imposte dirette, Milano, 1960, 22). Diverso è, inoltre, l’ambito di applicazione dei due istituti: il domicilio civilistico si applica, ai sensi dell’art. 43 c.c., alle sole persone fisiche, il domicilio fiscale è espressamente previsto anche per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
Benché l’istituto abbia radici lontane (di domicilio fiscale si parlava già nel R.d.l. n. 1639 del 1936; per un’accurata analisi di analogie e differenze fra vecchia e nuova disciplina si veda Marongiu, G., Domicilio: V) Domicilio fiscale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; si veda, inoltre, Glendi, C., Domicilio fiscale, in N.D.I., app., vol. III, Torino, 1982, 163) l’esigenza di individuare con obiettività e certezza il locus della persona è stata avvertita con maggior forza allorquando il legislatore della Riforma del 1971 ha deciso di prediligere un sistema di distribuzione dell’imposta di tipo personale, anziché reale, ponendo al centro dell’ordinamento tributario riformato un tributo personale e progressivo quale è l’imposta sul reddito delle persone fisiche: se, infatti, per le imposte di natura reale il locus rei sitae non presenta difficoltà di applicazione, per le imposte personali la determinazione del luogo in cui deve essere accertata e riscossa l’imposta non è scevra di difficoltà e complicazioni (Zingali, G., I concetti fiscali di domicilio, residenza, dimora e abitazione, in Studi in memoria di Gino Borgatta, II, Bologna, 1955, 281)
L’imposizione di tipo personalistico impone, per l’elevato grado di mobilità della persona e per il fatto che il reddito di un soggetto deriva molto spesso da attività produttive che si svolgono entro spazi territoriali di vaste dimensioni, che ogni soggetto passivo venga localizzato in un luogo determinato secondo criteri certi ed obiettivi, al fine di poter delimitare con esattezza la competenza degli uffici dell’amministrazione finanziaria che si occupano dell’applicazione delle imposte e anche per identificare il luogo di notificazione degli atti emanati nell’esercizio del potere di imposizione.
Concepito per agevolare la distribuzione personale dell’imposta, il domicilio fiscale, ha visto, tuttavia, nel tempo, un ampliamento del suo ambito di applicazione: nell’attuale sistema tributario esso assume rilevanza, infatti, ai fini dell’IVA – per effetto di provvedimenti che hanno sostituito l’originaria disciplina – (art. 40, d.P.R. 26.10.1972, n. 633), e ai fini dell’IRAP (art. 21, d.lgs. 15.12.1997, n. 446), di quelle imposte, cioè, il cui procedimento di applicazione ricalca, nella sostanza, quello delle imposte sui redditi.
La nozione di domicilio fiscale, inoltre, differisce, per natura e funzione, da quella di residenza fiscale definita, per le persone fisiche, dall’art. 2, co. 2, del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (t.u.i.r.), ai sensi del quale una persona fisica è considerata fiscalmente residente se, per la maggior parte del periodo di imposta è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o se ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. La residenza fiscale è, infatti, un istituto di diritto sostanziale che esprime il collegamento personale con il territorio dello Stato in ragione del quale si determina l’ambito di efficacia della norma impositiva; consente, in altri termini di individuare coloro (i residenti, appunto) cui estendere il prelievo sui redditi ovunque prodotti e coloro (i non residenti) cui circoscrivere la tassazione al solo reddito prodotto nel territorio dello Stato. Il domicilio fiscale attiene, viceversa, al diritto formale e serve a garantire una più semplice ed efficace attuazione del prelievo.
La funzione principale del domicilio fiscale è quella di radicare la competenza territoriale dell’Ufficio tributario, di identificare, cioè, l’ufficio dotato del potere di controllare la correttezza e veridicità delle dichiarazioni, di accertare, quindi, il presupposto di fatto dell’imposta nei confronti del soggetto passivo e, conseguentemente, di emettere eventuali atti di accertamento. L’art. 31 del d.P.R. n. 600/1973, precisamente, dispone che «la competenza sul controllo delle dichiarazioni dei redditi è attribuita all’ufficio nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi»; la competenza territoriale ad emettere l’atto impositivo viene ravvisata, quindi, in capo all’ufficio nella cui circoscrizione è localizzabile il domicilio fiscale del contribuente, da determinarsi facendo riferimento al momento in cui la dichiarazione è stata (o avrebbe dovuto essere) presentata, restando irrilevanti eventuali mutamenti successivamente intervenuti.
Il domicilio fiscale individua, inoltre, il luogo in cui devono eseguirsi le notificazioni dei provvedimenti impositivi. In questo caso, però, non è un criterio esclusivo; l’art. 60, co. 1, lett. c), d.P.R. n. 600/1973, dispone, infatti, che l’ambito territoriale all’interno del quale deve essere effettuata la notificazione è individuato nel comune di domicilio fiscale del destinatario della notificazione medesima (che, come vedremo, per le persone fisiche coincide con il comune di residenza anagrafica), «salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie»; la consegna in mani proprie, infatti, può prescindere dal domicilio fiscale potendo essere effettuata dall’agente notificatore in qualunque luogo compreso nell’ambito territoriale di sua competenza.
Ai fini della notificazione, inoltre, accanto a quello di domicilio fiscale, assume rilievo il concetto di indirizzo, vale a dire il luogo fisico presso il quale, sempre nell’ambito del domicilio fiscale stabilito dalla legge, il contribuente può essere reperito; il terzo comma dell’art. 58 cit., infatti, obbliga il contribuente ad indicare il Comune di domicilio fiscale in tutti gli atti, i contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentate agli Uffici finanziari, precisando, ove espressamente richiesto, l’indirizzo. L’indirizzo, più precisamente, si identifica con il luogo in cui si trovano l’abitazione, l’ufficio, l’azienda o il domicilio eletto del contribuente. A quest’ultimo proposito si ricorda che, ai sensi del co. 1, lett. d), dell’art. 60 del d.P.R. n. 600/1973, è data facoltà al contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti che lo riguardano.
Il domicilio fiscale, ancora, è funzionale ad individuare l’ufficio dell’amministrazione finanziaria cui presentare istanza di rimborso di versamenti diretti. La norma di riferimento è l’art. 38, d.P.R. 29.9.1973, n. 602, la quale stabilisce, - palesando, peraltro, un difetto di coordinamento con l’attuale organizzazione dell’amministrazione finanziaria -, che l’ufficio al quale presentare la relativa istanza, entro 48 mesi dalla data del pagamento, è «l’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso il quale è stato eseguito il versamento»: con risoluzioni n. 123/E del 22.4.2002 e n. 25/E del 30.1.2008 è stato chiarito che in seguito alla soppressione dei Centri di Servizio delle imposte dirette e indirette - intervenuta con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7.12.2001 – la competenza a trattare le istanze di rimborso di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 spetta all’ufficio locale territorialmente competente sulla base del domicilio fiscale del contribuente al momento di presentazione dell’istanza stessa. A quest’ultimo proposito, la risoluzione n. 123/E del 13.12.2011 ha precisato che se il domicilio fiscale alla data di presentazione dell’istanza di rimborso è diverso dal domicilio fiscale alla data di presentazione della dichiarazione relativa all’annualità cui si riferisce il versamento, si deve ritenere che l’ufficio competente a ricevere l’istanza di rimborso debba essere individuato in ragione del domicilio fiscale del contribuente alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in relazione ai quali genera il rimborso; l’ufficio che esamina il rimborso, in altri termini, deve essere lo stesso che è competente per il controllo della dichiarazione.
Il domicilio fiscale assolve, infine, la funzione di individuare l’ufficio del giudice penale competente a conoscere dei reati tributari di cui al capo I del titolo II del d.lgs. 10.3.2000, n. 74 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; dichiarazione infedele; omessa dichiarazione): questi reati, infatti, ai sensi dell’art. 18, co. 2, d.lgs. n. 74/2000, si considerano consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale.
Si aggiunga, inoltre, che, in via indiretta, il domicilio fiscale determina la competenza territoriale delle Commissioni tributarie: essa, infatti, è identificata in ragione della sede dell’ufficio che ha emesso l’atto impugnato (art. 4, d.lgs. 31.12.1992, n. 546), che, a sua volta, come abbiamo visto, viene determinata tenendo conto della circoscrizione in cui il contribuente ha il proprio domicilio fiscale (art. 31, co. 2, d.P.R. n. 600/1973).
L’individuazione del domicilio fiscale avviene, per legge (cfr. art. 58, d.P.R. n. 600/1973), sulla base di criteri certi ed obiettivi, distintamente stabiliti a seconda che il soggetto sia una persona fisica o giuridica, fatto salvo il caso, espressamente previsto dal legislatore (art. 59, d.P.R. n. 600/1973), in cui il domicilio fiscale venga stabilito dall’amministrazione finanziaria, d’ufficio o su istanza motivata del contribuente.
Per le persone fisiche la norma distingue ulteriormente tra «residenti nel territorio dello Stato, non residenti, cittadini italiani residenti all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, persone fisiche considerate residenti ai sensi dell’art. 2, co. 2 bis, t.u.i.r.»: l’elemento che funge da discrimine tra le persone fisiche è costituito, dunque, dalla residenza entro o fuori il territorio dello Stato, dove per “residenza” il legislatore intende l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente. La cittadinanza italiana, viceversa, rileva unicamente allo scopo di evitare che determinati soggetti (e cioè quelli residenti all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione) rientrino nella categoria dei non residenti (Marongiu, G., Domicilio: V) Domicilio fiscale, cit.).
Le “persone fisiche residenti” nel territorio dello Statohanno ildomicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte; quelle “non residenti” hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato.
La ratio dell’ancoraggio del domicilio fiscale alla residenza anagrafica ha radici lontane (R.d.l. n. 1639/1936) e si sostanzia nella semplicità, obiettività e certezza che garantisce tale criterio, contrapposte alla complessità che discenderebbe dall’utilizzo dei criteri del domicilio o della residenza civilistici, i quali presuppongono un’indagine volta ad accertare l’effettiva situazione di fatto e di diritto concernente un determinato soggetto (Marongiu, G., Domicilio: V) Domicilio fiscale, cit.).
Per quanto riguarda, viceversa, i rapporti tra residenza fiscale e domicilio fiscale, che, come abbiamo visto, servono funzioni diverse, in dottrina è stato notato che il coordinamento tra i due istituti non è sempre perfetto (Marino, G., La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999); potrebbe verificarsi il caso, infatti, di una persona fisica residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato, non già in virtù della iscrizione anagrafica, bensì per via del domicilio o della residenza ai sensi dell’art. 43 c.c., che, pur essendo soggetta all’obbligazione tributaria sui redditi ovunque prodotti nel mondo, risulterebbe priva di domicilio fiscale in Italia. In ipotesi come questa, quand’anche l’Amministrazione finanziaria volesse stabilire il domicilio fiscale autoritativamente, potrebbe ricondurlo, secondo le disposizioni dell’art. 59, co. 1, d.P.R. n. 600/1973 – come vedremo –, nel comune in cui il soggetto svolge in modo continuativo la principale attività; ma non è sempre detto che questo sia il caso. Tutto ciò determina, evidentemente, una disparità di trattamento tra la persona fisica residente ai fini fiscali in Italia ma senza domicilio fiscale e tutte le persone fisiche non residenti ai fini fiscali in Italia per le quali il domicilio fiscale è sempre garantito nel comune di produzione del reddito.
I «cittadini italiani che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con l’Amministrazione pubblica», nonché «quelli considerati residenti ai sensi dell’art. 2, co. 2 bis, t.u.i.r.», hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato. Per quanto riguarda il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, è stato chiarito (circ. Min. fin. n. 7/1496 del 1977) che per pubblica amministrazione bisogna intendere tutti gli enti pubblici istituzionali o territoriali, con esclusione di ogni altro ente, anche di diritto pubblico, assoggettato al regime civilistico delle imprese.
Per i «soggetti diversi dalle persone fisiche», infine, il domicilio fiscale viene individuato secondo criteri tassativi e rigorosamente susseguenti; il domicilio fiscale, in particolare, sarà situato nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e, in mancanza, nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività.
Si osserva che alcuni di tali criteri sono analoghi a quelli menzionati ai fini dell’attribuzione agli stessi soggetti della residenza fiscale: anch’essa, infatti, per gli enti diversi dalle persone fisiche, viene determinata in base alla sede legale o alla sede dell’amministrazione o all’oggetto principale (art. 73, d.P.R. n. 917/1986, T.u.i.r.) sempreché, tuttavia, sussistenti nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo di imposta.
La mancata menzione, ai fini del domicilio fiscale, del requisito temporale richiesto ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale, comporta, tuttavia, che non vi sia una perfetta coincidenza tra i due istituti; le persone giuridiche che hanno trasferito nel territorio dello Stato la sede legale o amministrativa da meno di sei mesi, ad esempio, hanno in Italia il domicilio fiscale ma non la residenza fiscale.
Si rileva, inoltre, che anche per questi soggetti si può verificare un difetto di coordinamento tra l’istituto della residenza fiscale e quello del domicilio fiscale (Cfr. Stevanato, D., Holdings statiche e accertamento della residenza fiscale italiana dell’ente estero, in Corr. trib., 2008, 965): si pensi ad un ente nei confronti del quale sia stata accertata “l’esterovestizione” ai sensi dell’art. 73, co. 5 bis, del d.P.R. n. 917/1986, t.u.i.r., e sia quindi considerato, ai fini della tassazione del reddito prodotto, residente fiscalmente in Italia. Non è detto che per questo ente sia possibile localizzare in un Comune italiano una sede amministrativa presso la quale effettuare le notifiche e, ancor prima, per l’individuazione del Comune di domicilio fiscale e dell’Ufficio locale competente per l’accertamento. Anche se è vero, infatti, che l’affermazione della residenza fiscale in Italia deve essere preceduta dalla constatazione della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale in Italia, può darsi che si tratti di una localizzazione diffusa nel territorio dello Stato, che non permetta di individuare in modo univoco una sede rilevante agli effetti dell’art. 58 del d.P.R. n. 600/1973. Si pensi, a questo proposito, all’ipotesi in cui l’attrazione della società estera alla giurisdizione italiana avvenga previa constatazione della residenza italiana dei consiglieri di amministrazione (ai sensi dell’art. 73, co. 5 bis, lett. b), del d.P.R. n. 917/1986, t.u.i.r.): in questo caso la pluralità degli amministratori, che potrebbero risiedere in comuni diversi, non consentirebbe l’univoca individuazione di un centro propulsore dell’attività di direzione. In questo ed altri casi ipotizzabili appare assai difficile stabilire con certezza in quale Comune italiano l’ente estero ha il proprio domicilio fiscale.
Per sua natura (domicilio predeterminato ex lege ed imposto ai soggetti passivi d’imposta) e per la sua funzione (agevolare l’applicazione delle imposte), il domicilio fiscale ha carattere inderogabile, nel senso che amministrazione finanziaria e contribuente non potrebbero incidere, attraverso un accordo dispositivo, sul contenuto delle norme cogenti che lo determinano e impongono, né sulle ragioni di pubblico interesse che devono ispirare la loro applicazione (Cfr. Maffezzoni, F., Domicilio fiscale, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 888).
Il legislatore, tuttavia, prevede che, in deroga a quello risultante dall’art. 58, l’amministrazione finanziaria, d’ufficio o ad istanza di parte, possa stabilire il domicilio fiscale altrove. L’art. 59 del d.P.R. n. 600/1973, precisamente, prevede, al co. 1, che «l’Amministrazione può stabilire il domicilio fiscale del soggetto in deroga alle disposizioni dell’articolo precedente, nel comune dove il soggetto stesso svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è stabilita la sede amministrativa». Prevede, inoltre, al co. 2, che «quando concorrono particolari circostanze l’amministrazione finanziaria può consentire al contribuente, che ne faccia motivata istanza, che il suo domicilio fiscale sia stabilito in un comune diverso da quello previsto dall’art. precedente». (Per un’indagine storica sulle ragioni che hanno condotto all’introduzione della facoltà, per l’Amministrazione, di stabilire il domicilio fiscale in luoghi diversi da quelli previsti dai criteri di determinazione ex lege, si rinvia a Marongiu, G., Il domicilio fiscale, Padova, 1969).
L’amministrazione finanziaria, dunque, ha il potere discrezionale di determinare autoritativamente il domicilio fiscale in determinati luoghi stabiliti dalla legge e di assegnare al contribuente un domicilio fiscale da lui motivatamente richiesto.
Occorre precisare, tuttavia, che, data l’inderogabilità del domicilio fiscale, l’esercizio di tale potere deve necessariamente uniformarsi al fine di pubblico interesse sotteso all’istituto, al fine, cioè, di migliorare la funzionalità dell’attività impositiva; la scelta dell’amministrazione finanziaria, quindi, dovrà ricadere, in linea generale, su un luogo in cui si ha la presenza viva del soggetto produttore e percettore del reddito.
Per quanto riguarda i casi di deroga al domicilio fiscale su iniziativa dell’Amministrazione finanziaria, quest’ultima, per le persone fisiche, ha la possibilità di stabilire il domicilio fiscale nel luogo in cui il contribuente svolge in modo continuativo la principale attività: se si tratta di un soggetto residente, si avrà, dunque, una variazione rispetto al Comune di iscrizione anagrafica; se, invece, si tratta di un soggetto non residente si avrà una variazione rispetto al comune di produzione del reddito o del reddito più elevato.
Per gli enti diversi dalle persone fisiche, viceversa, l’Amministrazione finanziaria può prendere a riferimento il Comune in cui l’Ente ha stabilito la propria sede amministrativa; ciò significa che l’unico caso in cui l’Amministrazione ha facoltà di intervento è quello in cui l’Ente abbia sede legale e amministrativa in Italia, ma in Comuni diversi, e da ciò derivi un ostacolo all’attività di accertamento.
La deroga ai criteri di collegamento di cui all’art. 58 cit. può essere indotta, poi, dall’iniziativa del contribuente sulla base di un’istanza motivata che ponga in evidenza le “particolari circostanze” cui la norma subordina il provvedimento di accoglimento da parte dell’Ufficio; per le “persone fisiche residenti” si può supporre che queste circostanze possano far riferimento al luogo di effettivo radicamento del contribuente quando esso non coincida con il luogo di iscrizione anagrafica. Per i “non residenti”, viceversa, non è agevole individuare criteri di collegamento ulteriori rispetto a quello fondato sul luogo di produzione del reddito (o del maggior reddito). Con riferimento agli “enti diversi dalle persone fisiche”, potrebbe ipotizzarsi la richiesta di collocazione del domicilio fiscale nel Comune dove si trovi una sede secondaria, o uno stabilimento produttivo, in alternativa al luogo della sede legale o amministrativa (così Cordeiro Guerra, R., Commentario breve alle leggi tributarie, Breviaria Juris, Accertamento e sanzioni, a cura di F. Moschetti F., sub art. 59, Padova, 2011).
La competenza ad emettere il provvedimento spetta attualmente alla Direzione regionale delle Entrate o al Ministro delle Finanze a seconda che il provvedimento importi lo spostamento del domicilio fiscale nell’ambito della stessa provincia o in altra provincia.
Ai sensi del co. 4 dell’art. 59 cit., il provvedimento di variazione del domicilio fiscale è “definitivo”, nel senso che il domicilio fiscale ivi stabilito non potrà risentire di successive variazioni dei presupposti considerati dai criteri generali dell’art. 58 del d.P.R. n. 600/1973 (ad es. iscrizione anagrafica e sede legale). Si potrà avere un’ulteriore variazione del domicilio fiscale solo a seguito di una revoca o modifica del primo provvedimento.
Il provvedimento di variazione del domicilio fiscale deve essere motivato ed è efficace a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in cui è stato notificato; affinché il contribuente ne abbia conoscenza, dunque, la notifica del provvedimento dovrà essere effettuata presso il domicilio fiscale precedente alla variazione.
Essendo espressione di un potere discrezionale della pubblica Amministrazione, è opinione largamente condivisa che il provvedimento di variazione del domicilio, laddove presenti vizi di legittimità propri dell’azione amministrativa, sia impugnabile davanti al giudice amministrativo (cfr. Cass. n. 1408/65; Fantozzi, A., Corso di diritto tributario, 2003, 356).
Non è escluso, tuttavia, che in futuro si giunga a sostenere che tale provvedimento sia impugnabile dinanzi al giudice tributario, considerato che, ormai da qualche anno, si registra la tendenza della giurisprudenza di legittimità ad ammettere la proposizione dell’azione dinanzi alle Commissioni tributarie ogniqualvolta la controversia abbia natura tributaria e sussista un interesse ad agire del contribuente, prescindendo, dunque, dall’esistenza di uno degli atti elencati all’art. 19 del d.lgs. 546/1992 (emblematica in tal senso è la sentenza della Cassazione n. 16776/2005).
Ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 600/1973, si è detto, la competenza territoriale ad emettere l’atto impositivo viene determinata in ragione del domicilio fiscale del contribuente al momento in cui la dichiarazione è stata (o avrebbe dovuto) essere presentata, restando irrilevanti eventuali mutamenti successivamente intervenuti.
A questo proposito, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la competenza territoriale così individuata abbia natura funzionale e inderogabile, con la conseguenza che l’avviso di accertamento formato da ufficio territorialmente non competente deve ritenersi emesso in assoluta carenza di potere e sia quindi affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., S.U., n. 1008/1977; Cass. n. 3191/1994; Cass. n. 2998/1987; Cass. n. 8017/1992; Cass. n. 13194/2004. Di recente, Commissione tributaria provinciale di Vercelli, n. 8/2008; Commissione tributaria provinciale di Treviso, n. 99/2010). L’accertamento compiuto da ufficio territorialmente incompetente, peraltro, è assolutamente inidoneo ad interrompere il termine di decadenza dell’azione accertativa dell’Amministrazione (Cass. n. 3597/1980).
L’ufficio individuato ai sensi dell’art. 31 cit. – sulla base cioè del domicilio fiscale del contribuente al momento di presentazione della dichiarazione – è anche l’unico legittimato processuale passivo in caso di ricorso avverso l’atto, e l’unico competente a ricevere l’istanza di rimborso di versamento ai sensi dell’art. 38, d.P.R. n. 602/1973.
L’eventuale errore del contribuente nell’individuazione dell’ufficio comporta, secondo alcune pronunce giurisprudenziali, conseguenze irreversibili sul diritto di difesa del contribuente stesso, determina cioè, rispettivamente, inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale passiva (Commissione tributaria regionale di Perugia n. 21 del 2007) e improponibilità del ricorso contro il diniego di rimborso (espresso o tacito) per difetto di provvedimento impugnabile (Cass., S.U., n. 11217/1997; Cass. n. 23701/2007; Cass. n. 27353/2008).
Si registra, tuttavia, un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità che, in nome del principio di buona fede e di legittimo affidamento – principi immanenti in tutti i rapporti di diritto pubblico, che trovano origine negli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e che sono espressamente contemplati all’art. 10 della l. 212/2000, cd. Statuto dei diritti del contribuente, adotta soluzioni maggiormente conciliabili con la difesa del contribuente: con sentenza n. 2937 del 2010, la Cassazione ha ritenuto che l’ufficio che riceva la notificazione di un atto per il quale non sia competente e legittimato a resistere in giudizio deve trasmetterlo all’ufficio investito dalla domanda giudiziale promossa dal contribuente. Analogamente, con sentenza n. 4773 del 2009 e n. 12968 del 2013, la Cassazione ha stabilito che il ricorso avverso il diniego di rimborso è ammissibile anche se l’istanza è stata presentata per mero errore ad un ufficio incompetente, dal momento che, da una parte, il principio di “leale collaborazione” di cui all’art. 10 della l. n. 212/2000 impone all’ufficio non competente di trasmettere l’istanza all’ufficio competente, e, dall’altra, impone ad un contribuente di presentare una seconda istanza e istaurare un secondo giudizio sarebbe inutilmente defatigatorio e contrario al principio di “economia processuale” di cui all’art. 111 Cost.
Con riguardo all’istanza di rimborso presentata ad ufficio incompetente, peraltro, la stessa Amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 123/E del 2011 ha disposto che l’ufficio incompetente ha il dovere di trasmettere la richiesta alla struttura avente competenza.
Il comune di domicilio fiscale rappresenta l’ambito territoriale entro il quale deve essere localizzato il recapito del contribuente, al fine di indirizzarvi l’attività informativa (cfr. art. 60, d.P.R. n. 600/1973).
Nel rispetto del principio generale enunciato dall’art. 6 della l. n. 212/2000, cd. Statuto del contribuente, ( che, al co. 1, sancisce espressamente l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di «assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati», mediante “comunicazione” degli stessi “nel luogo di effettivo domicilio” (, ai fini della notifica del provvedimento il domicilio fiscale deve essere determinato con riferimento temporale al momento in cui essa viene eseguita: ferma restando, dunque, la competenza ad emettere l’atto impositivo in capo all’Ufficio individuato in base al comune di domicilio fiscale del contribuente al momento in cui è stata (o avrebbe dovuto essere) presentata la dichiarazione, la notificazione dell’atto non deve essere eseguita entro tale ambito territoriale se nel frattempo il domicilio fiscale ha subito delle modifiche.
Occorre, innanzi tutto, distinguere tra variazioni della residenza anagrafica e variazioni di indirizzo e, in secondo luogo, individuare il momento a partire dal quale tali variazioni hanno effetto.
Per le prime – variazioni della residenza anagrafica – si deve far riferimento al co. 5 dell’art. 58 del d.P.R. n. 600/1973, il quale stabilisce che «le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate»; è il caso, questo, ad esempio, di un contribuente che sposta la propria residenza anagrafica in un altro comune italiano o all’estero.
Per le seconde ( variazioni di indirizzo nell’ambito del medesimo Comune di domicilio fiscale (, occorre fare riferimento al co. 3 dell’art. 60 del d.P.R n. 600/1973 che, nell’attuale formulazione (risultato di una serie di recenti modifiche legislative – art. 37, co. 27, lett. e), d.l. n. 223/2006 convertito nella l. n. 248/2006 e art. 38, co. 4, lett. a), n. 4) del d.l. n. 78/2010 convertito nella l. n. 122/2010 – che traggono origine dalla sentenza della C. cost. n. 360/2003, la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 3 dell’art. 60 del d.P.R n. 600/1973 nella parte in cui lo stesso prevedeva che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente non risultanti dalla dichiarazione avessero effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’iscrizione del nuovo indirizzo nei registri anagrafici), dispone che, ai fini della notificazione, le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo hanno effetto, “per le persone fisiche”, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica o, “per le persone giuridiche e le società ed enti privi di personalità giuridica”, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell’ufficio della dichiarazione prevista dagli articoli 35 e 35 ter del d.P.R. n. 633/1972, ovvero dal modello previsto per la domanda di attribuzione del numero di codice fiscale dei soggetti diversi dalle persone fisiche non obbligati alla presentazione della dichiarazione di inizio attività IVA. (cfr., sul punto, Cass. n. 24877/2011, nella quale si dice, appunto, che è invalida la notificazione del provvedimento effettuata al vecchio indirizzo se il contribuente abbia provveduto a modificare lo stesso)
L’esigenza di garantire al destinatario l’effettiva possibilità di una tempestiva conoscenza dell’atto notificato, – esigenza che costituisce, da un lato, un limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore e, dall’altro, presupposto indefettibile per il rispetto del principio di inviolabilità del diritto di difesa – ha portato, in qualche caso, a derogare alla regola generale in base alla quale la notifica dei provvedimenti tributari deve essere fatta nell’ambito del Comune di domicilio fiscale.
Si è assistito, in questo senso, ad un ripensamento delle regole di notifica nei confronti di soggetti non residenti, per i quali si è sempre ritenuto (Cfr. Cass. n. 25095/2006; Cass. n. 7773/2006; Cass. n. 9922/2003) che le notifiche dovessero essere effettuate nel comune di domicilio fiscale - individuato, ai sensi dell’art. 58, d.P.R. n. 600/1973, nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato – secondo le modalità dettate dall’art. 60, co. 1, lett. e), per i soggetti cd. “irreperibili” – affissione dell’avviso di deposito nell’albo del comune di domicilio fiscale.
Per evitare che per questi soggetti si realizzi sistematicamente una divaricazione tra conoscenza legale e conoscenza effettiva dell’atto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 366 del 2007 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 60, co. 1, lett. c), e) ed f) e 58, co. 1 e secondo periodo del co. 2, del d.P.R. n. 600/1973, laddove prevedono che, nel caso di notifica ad un contribuente residente all’estero ed iscritto all’Aire – avente, quindi, all’estero una residenza conoscibile dall’Amministrazione finanziaria –, non debbano essere applicate le disposizioni di cui all’art. 142 c.p.c., che si occupa, per l’appunto, della «notificazione a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica». Con tale pronuncia la Consulta ha esteso anche alla materia tributaria le prescrizioni dell’art. 142 c.p.c. secondo cui per la notifica di atti impositivi a soggetti non residenti trovano applicazione le convenzioni internazionali e, in mancanza, detti atti devono essere spediti per posta al destinatario con raccomandata ed altra copia deve essere consegnata al pubblico ministero affinché ne curi la relativa trasmissione presso il Ministero degli affari esteri per la consegna all’interessato. La Consulta ha precisato, sempre nella sentenza, che il procedimento notificatorio dettato per gli “irreperibili” dall’art. 60 cit., resta circoscritto all’ipotesi in cui il contribuente abbia omesso di indicare al competente ufficio locale l’indirizzo estero per la notificazione degli atti tributari.
R.d.l. 7.8.1936, n. 1639; art. 43 c.c.; art. 142 c.p.c.; artt. 35, 35 ter, 40, d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 31, co. 2, art. 58, art. 59, art. 60, d.P.R. 29.9.1973, n. 600; art. 38, d.P.R. 29.9.1973, n. 602; artt. 2, 73, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (t.u.i.r.); art. 4, d.lgs. 31.12.1992, n. 546; art. 21, d.lgs. 15.12.1997, n. 446; art. 18, co. 2, d.lgs. 10.3.2000, n. 74; artt. 6 e 10, l. 27.7.2000, n. 212; art. 37, co. 27, lett. e), d.l. 4.7.2006, n. 223, convertito nella l. 4.8.2006, n. 248; art. 38, co. 4, lett. a), n. 4), d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito nella l. 30.7.2010, n. 122.
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