TREVISAN, Domenico
– Nacque a Venezia nel 1446 da Zaccaria di Febo, della parrocchia di S. Maria Mater Domini, e da Cecilia Bernardo di Andrea.
Nonostante le non floride condizioni economiche della famiglia, riuscì a dotarsi di una buona cultura letteraria, quindi si avviò alla carriera politica, che sarebbe stata lunghissima e prestigiosa. Sposatosi nel 1473 con Suordamor Marcello di Pietro, da cui ebbe numerosi figli, dopo un modesto esordio come auditore delle Sentenze vecchie, cui fu eletto l’11 marzo 1478, nel 1486 venne inviato, assieme a Ermolao Barbaro, ambasciatore a Massimiliano d’Asburgo per congratularsi della sua elezione a re dei Romani. Toccò a Barbaro pronunciare l’orazione ufficiale, che recitò a Bruges il 2 agosto, quindi a settembre i due diplomatici tornarono in patria con le insegne di cavaliere.
Di lì a poco (21 ottobre 1486) a Trevisan fu appoggiata un’altra ambasceria, stavolta presso il duca di Milano, il cui aiuto era stato determinante per Ferdinando d’Aragona nella congiura dei baroni. Erano gli esordi di un susseguirsi di missioni diplomatiche: tornato a Venezia all’inizio dell’autunno del 1487, un anno dopo (ottobre del 1488) Trevisan fu mandato a Roma, dove Bernardo Bembo e Sebastiano Badoer avevano rappresentato la Repubblica a conclusione di un breve scontro veneto-tirolese. Compito di Trevisan non era però quello di agevolare la mediazione pontificia, ma di osservare da vicino una possibile ripresa del conflitto romano-aragonese. Eletto avogador di Comun il 3 ottobre 1490, podestà di Brescia il primo maggio 1491, l’11 novembre 1492 fu nominato ambasciatore straordinario a Costantinopoli. Ancora una volta si trattava di un incarico prevalentemente diplomatico; il sultano Bayazid II, infatti, aveva accusato il bailo Girolamo Marcello di spionaggio e l’aveva espulso, minacciando di non voler più alla sua corte rappresentanti veneziani. Trevisan partì il 23 febbraio 1493 e giunse sul Bosforo il 12 aprile, ma la missione si risolse in un fallimento; pertanto già a fine luglio era di ritorno a Venezia, dove il 7 settembre entrò a far parte del Consiglio dei dieci.
Ma non concluse l’incarico, perché il 27 ottobre 1494 venne eletto, assieme ad Antonio Loredan, ambasciatore a Ludovico il Moro, successo al defunto nipote Gian Galeazzo; nel frattempo era giunto a Pavia il re di Francia, Carlo VIII, che rivendicava il Regno di Napoli, per cui ai due ambasciatori vennero inviate ulteriori istruzioni, volte a cercare di distogliere il re dall’impresa nel Mezzogiorno, ma, nel contempo, gettare con il duca le basi per un’intesa antifrancese, che venne effettivamente stipulata il 31 marzo 1495, dopo di che Trevisan e il collega, che avevano seguito il re di Francia sino a Napoli, il 6 aprile poterono rimpatriare.
La carriera politica di Trevisan proseguì fittissima, in sintonia con un’epoca segnata dall’incalzare di grandi eventi. Eletto provveditore a Faenza, allora protettorato veneziano data la giovane età del legittimo signore, Astorre Manfredi, entrò in città il 15 gennaio 1496; l’ingresso fu festoso, ma gli animi della popolazione non tardarono a mutare e Trevisan chiese e ottenne il congedo appena un anno dopo, sicché il 9 gennaio 1497 rientrò a Venezia. Il 20 giugno risultò però eletto ambasciatore a Barcellona, assieme ad Antonio Boldù, nel tentativo di comporre la pace – in unione al legato pontificio – tra Ferdinando d’Aragona e Carlo VIII. Lasciata Venezia il 6 agosto, Boldù morì a Genova nel corso del viaggio, per cui Trevisan proseguì da solo e nel febbraio del 1498 poté annunciare al Senato la felice conclusione del negoziato. Giunto nella capitale aragonese il successore Giovanni Badoer (20 ottobre 1498), Trevisan tornò nelle lagune via Avignone e Milano e il 12 dicembre lesse la sua relazione al Senato.
Entrato avogador di Comun all’inizio del 1499, savio a tansar il 9 luglio, il 29 agosto fu eletto savio del Consiglio; giungeva così ai vertici del governo, senza aver percorso il consueto tirocinio tra i savi agli Ordini e poi di Terraferma (quest’ultimo l’aveva rifiutato due mesi prima, il 20 giugno). In seguito alla conquista del Milanese compiuta da Luigi XII e alla contemporanea annessione alla Serenissima della Ghiara d’Adda, il 25 settembre 1499 Trevisan venne eletto provveditore e podestà a Cremona, assieme a Nicolò Foscarini. Qui rimase per un anno, fra sospetti e timori, in una città non assuefatta al nuovo governo; riferì al Collegio il 9 novembre 1500, suggerendo di modificare in parte alcune leggi a suo vedere non più efficaci.
Procuratore sopra gli atti del Sovragastaldo il 13 dicembre, il 30 marzo 1501 fu nuovamente eletto tra i savi del Consiglio (lo sarebbe stato ininterrottamente sino alla morte, a eccezione degli anni nei quali fu impegnato all’estero per ambascerie), ma già in luglio assunse la podestaria di Padova, che peraltro tenne solo pochi mesi, perché l’8 settembre venne incaricato, assieme a Francesco Cappello e Girolamo Donà, di porgere a Luigi XII le felicitazioni della Repubblica per l’acquisto del Regno di Napoli.
La missione giunse a Blois il 30 novembre, poi, mentre Cappello proseguì per l’Inghilterra, cui era stato destinato ambasciatore, Donà e Trevisan (che aveva portato con sè il primogenito Marcantonio, futuro doge) tornarono a Venezia il 27 settembre 1502, dopo aver raccolto importanti informazioni sulla Francia.
Chiamato a far parte della zonta del Consiglio dei dieci il 10 febbraio 1503, savio del Consiglio da agosto a settembre, il 3 agosto venne eletto procuratore di S. Marco de ultra: un tempestivo onore in previsione di nuovi incarichi. L’11 novembre 1503, infatti, fu scelto a far parte degli otto ambasciatori ‘di obbedienza’ per l’incoronazione del papa Giulio II, ma il viaggio venne rinviato con il pretesto della cattiva stagione. In realtà cattivi erano i rapporti politici fra i due Stati, dal momento che il nuovo pontefice non aveva tardato a rivendicare i diritti della S. Sede sulla Romagna, di cui Venezia si era parzialmente impadronita approfittando della crisi del Valentino. Da accorto politico, il 13 febbraio 1504, mentre era savio del Consiglio, Trevisan propose di rabbonire il papa con qualche concessione territoriale, ulteriormente ampliata nel marzo del 1505, sicché la missione romana degli otto ambasciatori poté finalmente aver luogo nei successivi mesi di aprile e maggio.
Ancora savio del Consiglio nel 1505, 1506 e 1507 (ma il 10 giugno 1506 fu anche eletto auditore delle Sentenze Vecchie), il 24 aprile 1507 venne incaricato, assieme a Paolo Pisani, di portare a Luigi XII i rallegramenti della Repubblica per il suo ingresso a Milano, accompagnando poi il re fino a Savona, dove il 21 giugno si imbarcò per la Francia.
L’accelerazione degli eventi che segnò questi anni spiega come a Trevisan sia stato chiesto di prolungare il semestre del saviato del Consiglio a quasi tutto il 1508; in particolare, dopo la vittoria ottenuta in Cadore da Bartolomeo d’Alviano contro gli imperiali, Trevisan si distinse il 5 giugno parlando per più di due ore contro una proposta di alleanza avanzata dalla Francia. Poi, quando si verificò il disastro di Agnadello, egli faceva parte non solo dei savi del Consiglio, ma anche del Consiglio dei dieci; si spiega pertanto come la sua persona fosse «in mal predichamento in Venecia» (Sanuto, 1879-1903, VIII, col. 374), sì da farsi portare a casa – contrariamente al solito – in gondola, onde evitare il risentimento popolare.
Nel tentativo di risollevarsi, il governo marciano pensò anzitutto a rimuovere la scomunica che lo aveva colpito e Trevisan fu chiamato a far parte dei sei ambasciatori inviati a impetrare il perdono pontificio. Il 20 giugno 1509 la legazione partì da Venezia viaggiando per mare fino ad Ancona, poi seguirono trattative che si conclusero felicemente solo dopo vari mesi, ma intanto il 19 gennaio 1510 Trevisan poté informare il Senato che «il papa è voltato di tutto quello era» (Sanuto, 1879-1903, IX, col. 478), tanto che non solo liberò la classe dirigente marciana dalla scomunica, ma si alleò proprio con Venezia contro i francesi. Pertanto, dopo essere rimpatriato il 31 marzo 1510, Trevisan venne nuovamente inviato alla corte pontificia il 9 settembre, assieme a Leonardo Mocenigo. Lasciata la laguna il 3 ottobre, il 3 gennaio 1511 i due erano con Giulio II a Bologna e lì si fermarono tutto il mese, senza però seguirlo all’assedio di Mirandola; a Venezia Trevisan lesse la relazione il 19 febbraio, dove l’ammirazione per l’energia del pontefice si unisce al timore del politico per l’homo pericoloso (Sanuto, 1879-1903, XI, col. 833).
Dopo appena qualche mese di riposo, il 17 novembre 1511 fu eletto ambasciatore al sultano d’Egitto, Kansu al-Guri. I portoghesi avevano raggiunto l’India e si erano assicurati buona parte del controllo delle spezie, pertanto Trevisan avrebbe dovuto concordare un’azione comune per non perdere del tutto quel ricco mercato. Giunse ad Alessandria il 13 aprile 1512, accolto con grandi onori; lo accompagnava, ancora una volta, il figlio Marcantonio, che stese una vivace descrizione dello sfarzo di quella corte. Sui portoghesi tuttavia non fu presa alcuna decisione perché le discussioni furono assorbite dal tentativo di liberare dalla prigionia il console di Damasco, Pietro Zen, accusato di aver truffato dei mercanti arabi, mentre si verificava una parziale ripresa del commercio del pepe.
Di nuovo a Venezia nel mese di ottobre, il 28 giugno 1513 venne eletto fra i dieci ambasciatori incaricati di rallegrarsi con il nuovo papa Leone X, ma la legazione non ebbe luogo a causa del rovesciamento delle alleanze, che vide la Repubblica schierarsi a fianco dei francesi; come savio del Consiglio (ricoprì la carica ancora per tutto l’anno) il 4 ottobre fu inviato con Pietro Balbi presso il comandante delle truppe venete, Bartolomeo d’Alviano, per «darli reputatione» (Sanuto, 1879-1903, XVII, col. 214); dopo di che, il 6 dicembre venne nominato provveditore alla difesa di Padova, dove rimase per più di tre mesi, nonostante accusasse dolori così forti a una gamba da non poter uscire di casa.
Poté tornare a riferire nel Collegio il 5 marzo, lo stesso giorno venne chiamato a far parte del Consiglio dei dieci e ancora una volta ricoprì per tutto l’anno il saviato del Consiglio; fu anche brevemente (11-30 luglio) inviato presso il capitano generale Domenico Contarini, mentre gli spagnoli assalivano Monselice. Analogo incarico gli fu affidato l’anno seguente, quando venne inviato (23 giugno-9 luglio), assieme a Giorgio Corner, a portare il soldo alle milizie che difendevano Padova da un nemico ormai arrivato a Praglia. Qualche settimana dopo, l’11 agosto 1515, fu inviato a Milano ove era giunto Francesco I, alleato dei veneziani; benché della legazione facesse parte Andrea Gritti, molto stimato dal re, toccò a Trevisan leggere «l’oration latina, che durò per meza hora, et in vero fu acomodatissima, benissimo pronunciata, facile, elegante et con grande expression de parole, la quale fu udita atentamente et per il re e per tutti» (così il segretario Caroldo, in Sanuto, 1879-1903, XXI, col. 297). In seguito gli ambasciatori seguirono il sovrano che doveva incontrare il papa a Bologna, dove si trovavano il 12 dicembre, quindi rimpatriarono a metà gennaio del nuovo anno.
Il 27 ottobre 1516 fu uno dei due ambasciatori straordinari a Costantinopoli (l’altro fu Leonardo Mocenigo), per congratularsi della vittoria riportata contro il sultano d’Egitto, ma rifiutò: «Andò in renga excusandosi non poter servir per l’età [...] et impotentia, come ha fatto zà anni 31 in diverse legation in mar e in terra; ma al presente non pol più, è vechio, à dolori di fianco [...], pregando quasi in zenochioni fusse acetà la soa scusa [...]; siché fè commuover il Consejo» (Sanuto, 1879-1903, XXIII, col. 126). Gli acciacchi dell’età tuttavia non gli impedirono di rivestire ulteriori incarichi e di mostrarsi sempre molto attivo nella scena politica veneziana; pertanto ci si limiterà qui a ricordare quelle che furono le sue incombenze principali, oltre a essere ogni anno savio del Consiglio e, quasi sempre, membro del Consiglio dei dieci o della sua zonta. A partire dal 9 dicembre 1518 e fino al giugno del 1530 gli fu affidato, proprio dal Consiglio dei dieci, il compito di procedere al risanamento (francazione) del Monte Nuovo, ossia di ridurre il peso finanziario del debito pubblico attraverso la vendita di immobili e nuove operazioni appoggiate alla camera degli Imprestidi.
Nel luglio del 1521 e nel maggio del 1523 sfiorò l’elezione al dogato, pur senza aver fatto nulla per essere votato; il 15 maggio 1522, poi, all’età di settantasei anni venne eletto capitano generale da Mar. Venezia non era in guerra con gli ottomani, si trattava di una misura precauzionale dal momento che Rodi era assediata, infatti non furono molte le galere con cui Trevisan salpò da Venezia il 19 luglio, dirigendosi a Candia. Da lì egli si limitò ad assistere alla resa dei cavalieri, lasciando cadere le richieste di soccorso del gran maestro; quindi rimpatriò nell’aprile del 1523, mentre il Senato accoglieva con ricchi doni l’inviato ottomano che annunciava la conquista dell’isola. Continuò sino agli ultimi mesi di vita nell’attività politica, sempre ascoltato e richiesto di fornire parere nelle congiunture più importanti; così l’8 ottobre 1530, allorché si propose in Collegio di chiedere alle province un contributo di 100.000 ducati, egli rovesciò una decisione che sembrava già presa, osservando che «non è di dar angaria a la terra ferma si non si demo anche a nui» (Sanuto, 1879-1903, LIV, col. 26).
Morì quasi novantenne il 27 dicembre 1535, preceduto nella tomba dalla moglie (gennaio del 1524) e dal figlio Pietro (ottobre del 1532), e fu sepolto a S. Francesco della Vigna.
Quale uomo sia stato lo provano innumerevoli testimonianze: basti ricordare che morì povero per aver spesso rinunciato agli emolumenti legati alla carica; che dopo aver seppellito il figlio Pietro al mattino, nel pomeriggio volle prendere parte al Consiglio dei dieci per non farvi mancare il numero legale; infine un dato eloquente nella sua concretezza: è uno dei pochissimi, forse l’unico, personaggio presente, e sempre con numerosi rinvii, in tutti i cinquantotto volumi dei Diarii di Marino Sanudo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, pp. 98, 123; Segretario alle voci. Misti, regg. 6, cc. 8, 91, 131, 132; 7, cc. 3r, 4r, 8r, 21r, 31v, 35v, 42r; 8, cc. 28v, 112r; 9, c. 6r; ibid., Elez. Pregadi, regg. A, cc. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 41, 55, 56, 60, 72, 90, 91, 107, 109, 111, 113; 1, cc. 1, 2; Senato delib. Secreta, regg. 33, c. 174r-v; 35, cc. 82v, 93v; Elez. Maggior Consiglio, reg. 1, c. 80; Archivio proprio Roma, bb. 2 e 3, passim (dispacci ambasceria a Roma 25 giugno 1509-8 febbraio 1510); Venezia, Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3783: G. Priuli, Pretiosi frutti..., III, cc. 184v-186v.
E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 107, 388 s.; D. Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, in Archivio storico italiano, VII (1843), 1, pp. 320, 417, 491, 494, 499; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XCII, Venezia 1859, pp. 284, 313; M. Sanuto, I diari, I-LVIII, Venezia 1879-1903, ad indices; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 108 s., 120 s., 150, 162, 278 s., 281; M. Pedani, Elenco degli inviati diplomatici veneziani presso i sovrani ottomani, Venezia 2000, p. 16; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1474-1494, a cura di A. Caracciolo Aricò, II, Padova 2001, pp. 346 s., 516, 531, 538, 608, 665, 681, 685 s., 692-697, 706, 715; G. Gullino, La classe politica veneziana, ambizioni e limiti, in L’Europa e la Serenissima: la svolta del 1509. Nel V centenario della battaglia di Agnadello, a cura di G. Gullino, Venezia 2011, pp. 33 s.