SOMEDA, Domenico
‒ Nacque a Rivolto (Udine) il 28 giugno 1859. Il padre Carlo, nato nel 1821 dal medico Giuseppe Someda (1762-1849) e da Anna Politi (forse imparentata con la famiglia del pittore Odorico Politi), si era laureato in ingegneria a Padova, e, così come altri friulani, tra cui Giacomo Ceconi di Montececon, era diventato progettista e costruttore di ponti, gallerie, ferrovie in Stiria, in Ungheria e in altre parti di quell’Impero austro-ungarico di cui al tempo faceva parte anche il Friuli. Intorno alla metà del secolo si trovava in Ungheria per costruire ponti sul Danubio: durante il soggiorno conobbe nella cittadina di Nitra Anna Haulik di Warallia (1830-98), quarta dei sette figli di Emerico Haulik, amministratore della proprietà arcivescovile di Váhovce (in Slovacchia), la sposò e si trasferì quindi in Friuli, a Rivolto, dove possedeva un palazzotto di campagna e proprietà terriere.Dal matrimonio nacquero cinque figli: Eleonora (1854-1931), Giovanni (1857), Domenico (1859-1944), Ida Giorgia (1866-1940) e Giacomo (1872-1931). Lo stato sociale della famiglia Someda era piuttosto elevato, e il battesimo di Domenico fu celebrato nella casa di Rivolto da monsignor Domenico Someda, canonico della Metropolitana di Udine, mentre gli furono padrini la contessa Silvia Beretta, moglie del conte Giuseppe Ludovico Manin di Venezia (i Manin possedevano in zona vaste tenute e la scenografica villa di Passariano, distante un chilometro appena da Rivolto), e il dottor Giacomo quondam Giuseppe Someda di Udine.
Fin da giovane Domenico mostrò propensione per il disegno: i soggetti preferiti, che ritraeva a carboncino, erano il paesaggio e i cavalli, soprattutto quelli dell’allevamento dello zio Pietro (1808-56), che con alcuni esemplari partecipò, con successo, a gare negli ippodromi più rinomati del tempo.
Domenico compì studi irregolari: frequentò il ginnasio liceo in parte presso il seminario di Udine, in parte presso quello di Treviso, ma interruppe presto gli studi per seguire il padre impegnato in lavori a Trieste e in Ungheria. Fino al 1930 si recò ogni anno, per brevi periodi, nella cittadina di Nitra, appassionandosi alle leggende e ai pittoreschi costumi ungheresi, che ritornano frequenti nei dipinti dei primi anni di attività. A Nitra eseguì anche alcuni quadri: sul giornale La Patria del Friuli del 10 gennaio 1890 se ne ricorda uno esposto in un negozio di Udine che «rappresenta una stalla di armente ungheresi: le pose degli animali sono indovinatissime, il colorito morbido e naturale, l’assieme perfetto».
Il padre lo voleva indirizzare verso gli studi tecnici, ma Domenico preferiva il mondo dell’arte. L’architetto Andrea Scala (1820-92), intimo amico di famiglia, notando quella propensione, insistette presso il padre perché lo mandasse a studiare a Roma. Architetto, saggista e teorico, Scala (noto soprattutto per i numerosi teatri progettati o ristrutturati in Italia e all’estero) faceva parte, a Roma, delle commissioni reali per la costruzione del palazzo di Giustizia e del monumento a Vittorio Emanuele, e partecipò anche ai giurì per il progetto del palazzo delle Esposizioni delle belle arti. Poté quindi, grazie alle sue conoscenze, introdurre Domenico, non ancora ventenne, nella bottega di Giuseppe Ferrari (1843-1905), pittore accademico, autore di dipinti di soggetto religioso, ma soprattutto di paesaggi, nei quali si avvertono gli echi degli studi di luce e di atmosfera di William Turner e del naturalismo di John Constable, di cui aveva avuto modo di apprezzare l’arte nei suoi viaggi in Inghilterra. Ferrari fu anche autore di quadri storici, e vincitore, all’Esposizione di Torino del 1880, di uno dei premi per la pittura storica, assieme ai romani Francesco Jacovacci e Cesare Maccari, pittore, quest’ultimo, cui pure guardò il giovane Someda.
Favorito dall’educazione cosmopolita ricevuta dalla madre e dalla conoscenza della lingua tedesca, Domenico completò la sua formazione pittorica con viaggi nei paesi dell’Europa centro-settentrionale di lingua tedesca e in Danimarca, dove – intorno al 1884 – conobbe il barone Harold Roser Rosenkranz, che poi ospitò a Roma e di cui fece il ritratto. Fu anche in Belgio, in Inghilterra e in Irlanda. Rientrato in Italia, aprì uno studio in via Margutta a Roma, frequentato da Angelo De Gubernatis, professore di belle arti e intimo amico di famiglia, che spesso lo visitava insieme con i suoi allievi. Divenne amico di Giovanni Boldini, di cui fu ospite a Parigi, subendone l’influenza. Ma «la morbidezza serica del maestro ferrarese, l’eleganza fluttuante, i “colpi di frusta” del segno mobile e cangiante, solo in arte alleggerirono e resero ariosa la tessitura cromatica di Someda» (Damiani, 1995, p. 52).
Della sua giovanile attività romana non rimane documentazione. Sappiamo, però, che nel 1880 eseguì una Testa di vecchio a olio su tela (già in coll. priv. a Conegliano) e nel 1883 il Ritratto della madre, un tempo nella collezione dei suoi parenti Di Gaspero Rizzi a Varmo. Nello stesso 1883 venne organizzata a Udine l’Esposizione provinciale delle industrie e delle arti, manifestazione che si proponeva di mostrare le potenzialità del territorio friulano, nonostante il suo isolamento dal contesto nazionale a quasi vent’anni dall’annessione all’Italia. Someda presentò un Ritratto, copia dal vero e uno Studio dal vero, opere perdute.
Il primo lavoro che lo impose all’attenzione del grande pubblico fu però il dipinto presentato all’Esposizione artistica e d’arte applicata all’Industria di Venezia nel 1887 con il titolo Invasione barbarica, un olio su tela di grandi dimensioni (448 x 800 cm), conosciuto in seguito con il titolo La calata degli Ungari: ci fu però chi ritenne raffigurasse «Attila in marcia mentre arde Aquileja, rasa al suolo nell’anno 452 per comando di quel barbaro» (Bragato, 1913), e chi invece la «cacciata di Attila» (G. G., 1925).
Sotto un cielo in parte tenebroso, in parte pervaso di luce, un manipolo di cavalieri in primo piano si stringe intorno al capo che avanza con fare solenne nella pianura friulana, dopo aver guadato un piccolo corso d’acqua. In secondo piano appaiono, sfumati e ridotti talora a semplici ombre, altri soldati con le armi in pugno, in lontananza le fiamme di un paese messo a ferro e fuoco. Tra le figure, ieratiche e d’un tratto bloccate nell’incedere, spicca quella del cavaliere che in sella al focoso cavallo si volge indietro quasi per studiare la situazione. Nonostante la vastità della tela e l’imponenza delle figure (alcune di grandezza naturale), non manca l’attenzione ai particolari, sia del paesaggio (alberi e sterpi propri dell’ambiente naturale tra Rivolto e Varmo) che degli uomini (i volti degli Ungari possono essere letti anche come veri e propri ritratti), così come estremamente curato è l’abbigliamento dei soldati in assetto di guerra.
Il lusinghiero commento di Eugenio Morpurgo («l’artista merita parole di grande incoraggiamento perché promette assai, e pochi avrebbero avuto il coraggio d’accingersi a dipingere un quadro di così vaste proporzioni, che per composizione e per i pregi che contiene, è degno di lode»), apparso sul giornale Il Sole di Milano (7 giugno 1887), fu ripreso e ripetuto da Angelo De Gubernatis nel suo Dizionario degli artisti italiani viventi, mentre Marco Orio, pur preannunciando un grande futuro per il «giovinetto», rilevò nel dipinto «grandi difetti nella correttezza del disegno, maggiori nel colore informe, nessuna conoscenza di prospettiva» (Zig zag, 1887, pp. 75 s.).
Dopo l’esposizione veneziana, rifiutate alcune proposte d’acquisto, Someda offrì in dono il dipinto al Comune di Udine: e il Consiglio comunale, unanime, deliberò nella seduta del 16 febbraio 1889 di «fare buona accoglienza al dono e di ringraziare il sig. Someda per il gentile e generoso pensiero». Si trattava in realtà di un «pensiero» non da poco, considerato che il pittore spese per il quadro circa ventimila lire, benché, come si legge in un giornale del tempo, «si formasse da solo gli elmi, le loriche, le armi offenditrici, le vesti di quei tempi e di quegli uomini, per filo e per segno studiati nei libri, alcuni dei quali si fece venire da Buda Pest. Diventò intagliatore, stucchino, modellatore e fino marangone e fabbro, e con legno, carta pesta, cartone, perle false e falso oro compose bellissimi modelli; ingegno del quale diede un’ultima prova quando si fabbricò l’enorme cornice, che è larga un metro, lunga 10 metri e larga 8, pesante 9 quintali, intagliata e dorata ed egli solo v’ebbe mano» (A. F., 1887).
Per poter dipingere il quadro, Someda si era insediato nel gigantesco studio romano del pittore Mariano Fortuny, morto nel 1884, ed è facile immaginare quanto tempo abbia richiesto la realizzazione del dipinto, da lui inteso anche come affermazione della sua doppia nazionalità. Fonti d’ispirazione, nell’ambiente romano ricco di personalità e di fermenti, non dovettero mancare al pittore, che pare far proprio il clima artistico del secolo, lo stesso che portò ad esempio il francese Fernand-Anne Piestre, detto Cormon, a dipingere nel 1880 il grande quadro intitolato Caïn (Caino fugge con la famiglia), ora al Musée d’Orsay di Parigi, il quale nella disposizione delle figure e nello spirito può ben porsi come antecedente all’opera di Someda.
Negli anni seguenti Someda eseguì alcuni ritratti, tra i quali, nel 1890, il Ritratto di ciociaro, un uomo dalla lunga capigliatura, dall’aspetto fiero e dalla quasi selvaggia forza popolana, un Ritratto di ragazzo, e il Ritratto del conte Fabio Beretta, che gli valse l’ammissione alla terza Biennale veneziana del 1899, in cui è colta con maestria la figura austera del nobile, uomo di cultura e a sua volta pittore; con lo stesso spirito dipinse il Ritratto di Guido Tadolini, scultore e pittore romano, conservato all’Accademia di S. Luca a Roma. Sembra invece ispirarsi ai ritratti boldiniani, ma con un tono più domestico, e con una trattenuta spiritualità, il Ritratto della nipote Anna (229 x 144 cm), datato 1910 e conservato nella Galleria d’arte moderna di Udine.
Nel 1892 Someda sposò Teodolinda Ermacora, figlia del medico di Martignacco, ricca possidente conosciuta durante i soggiorni friulani, che, ben inserita nell’ambiente mondano di Roma, sembra fosse interessata al mondo del paranormale e praticasse lo spiritismo. All’Esposizione artistica di Gorizia del 1894 Someda presentò, insieme con altri dipinti (una Danza fantastica e una Marina), un Ritratto della moglie di grande formato: con tali opere si può considerare terminato il periodo giovanile dell’artista, la cui produzione degli anni dal 1890 al 1900, presente nella casa di Rivolto, andò in gran parte dispersa durante l’invasione del Friuli del 1917.
Proseguì poi nella pittura di quadri di grande dimensione: nel 1897 espose, nella sala della Permanente a S. Marco a Venezia, il dipinto, oggi nel Museo d’arte moderna e contemporanea di Udine, Amore e Patria (237 x 480 cm), che s’inserisce nel filone dell’epopea risorgimentale: in una cupa atmosfera di morte e desolazione, l’opera rende con toni patetici il dramma della donna inginocchiata che piange sul corpo del giovane soldato caduto sul campo di battaglia.
Di carattere militare sono altre tele, appartenenti a collezioni private, eseguite in tempi diversi, che la poetica sempre uguale dell’artista non aiuta certo a datare: Traino d’artiglieria (300 x 250 cm), Pattuglia di cavalleria, in cui riprende lo schema frontale de La calata degli Ungari, ma con colori schiariti, pennellata vibrante e un tocco di poesia offerto dalla presenza di due giovanette che con secchi di rame trasportano l’acqua attinta da un pozzo, e Per te Italia, presentato alla mostra personale promossa dal giornale La Fiamma e allestita nel foyer del teatro Nazionale di Roma. A inaugurarla il 22 febbraio 1925 fu il «re soldato», che elogiò l’artista friulano per quella sincera e non retorica rappresentazione della vita di guerra. All’elogio fece seguire, nell’ottobre dello stesso anno, la nomina di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Il dipinto raffigura, in uno scenario di fango, di rovine di armi, un ferito che viene deposto su una barella da tre commilitoni. La pennellata fratta, guizzante, alla maniera di Boldini, non attenua la drammaticità dell’evento. Una fotografia in bianco e nero è tuttavia quanto ci resta del quadro, che venne acquistato dal Municipio di Fiume, ma scomparve durante l’occupazione nazista. Le richieste di restituzione formulate all’allora Repubblica federale popolare jugoslava, all’epoca della delimitazione del confine italo-jugoslavo nell’immediato secondo dopoguerra, non ebbero alcun esito.
Rinnova la tradizione ottocentesca del quadro storico, volto a segnalare episodi salienti della vita nazionale, lo scenografico quadrone che raffigura Guido Novello da Polenta davanti alla salma di Dante, olio su tela di 276 x 365 cm, firmato e datato in basso a destra «Dom. Someda 1925». Di proprietà della Fondazione Friuli di Udine, è stato concesso in deposito alla storica Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli, che tra i suoi numerosi codici annovera una Commedia del XIV secolo (Inferno e primi tre canti del Purgatorio) illustrata con miniature a colori e a penna. La luce proveniente da destra, che illumina Dante disteso in abiti rossi e Beatrice inginocchiata ai suoi piedi, si riflette sul gruppo degli astanti, con Guido da Polenta in posizione eretta davanti al corpo del poeta. La pittura, vivida e guizzante, la cura minuta dei particolari, lo sfarzo delle vesti, i colori forti e brillanti ricordano ancora una volta il linguaggio di Boldini, creando nel contempo una tensione psicologica suggerita dal contenuto dolore dei presenti.
A Someda vanno ricondotti anche alcuni dipinti d’arte sacra, nei quali prevale un’impostazione tradizionale: nell’elenco delle opere pubblicato da Pietro Someda de Marco ne compaiono tre di proprietà privata, una giovanile Madonna col Bambino (1892), la Madonna delle rondinelle e un Cristo, olio su tavola del 1924, oltre a un S. Francesco del 1926 appartenente alla chiesa di S. Chiara ad Assisi. In Friuli si trovano nel palazzo della Provincia di Udine una Crocifissione (260 x 150 cm) esposta nella personale di Roma del 1925, con la grande figura di Cristo che emerge, tragica e solenne, dal nero fondo rembrandtiano, e un quadretto con la Sacra Famiglia nella chiesa parrocchiale di Rivolto.
Someda fu anche un apprezzato pittore di paesaggi e di vita rurale: dipinse – nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale – la campagna romana costellata di monumenti diroccati (Tomba di Cecilia Metella, Resti di un convento sul monte Cave, Ruderi nella campagna romana, La rocca o tomba di Nerone, La torre Selce in via Appia, eccetera); allo stesso modo dipinse il paesaggio friulano con poetici scorci del fiume Varmo, nei pressi di Rivolto, o l’ampia distesa della campagna con il santuario di Screncis sullo sfondo delle Prealpi Giulie. Un dipinto raffigurante l’Otoño en el alto Friuli (L’autunno nella montagna friulana) fu esposto nel 1907 alla V Exposición internacional de arte di Barcellona.
Partecipò alla prima e alla seconda Biennale friulana d’arte nel 1926 e nel 1928: incurante dei nuovi linguaggi artistici, non mutò mai il proprio credo ottocentesco, come dimostrano gli idilli campestri dei suoi ultimi anni, in cui il ricordo dell’infanzia dà luogo a dipinti di grande suggestione per il ricco impasto coloristico e per l’intensa atmosfera emotiva: Dopo la cena e Ragazzi con gatti della collezione Chiandit di Udine, databili al 1920 circa, Tui tui cjapilu (1926), Bambini che giocano con i gattini, Due pastorelle con i piedi nell’acqua, Stavolo, La contadina, Vendemmia, e altri.
Negli anni romani Someda entrò a far parte del mondo aristocratico, che ritrasse nei momenti di svago, durante le battute di caccia alla volpe o nelle cavalcate attraverso la pianura romana, diventando ben presto il cantore di quella società frivola e attenta a futili estetismi. Di qui i numerosi dipinti raffiguranti La caccia alla volpe, tra cui quello di proprietà della Banca Popolare FriulAdria di Pordenone, che «riecheggia le pagine dannunziane de Il piacere dedicate alle manifestazioni ippiche, riproponendo la seduzione degli “abiti sontuosi”, dei “broccati”, dei “velluti”, dei “merletti”, dei “cavalli vittoriosi” simili a un “gruppo di saette”, sotto l’incostanza del sole che appariva e spariva fra i molli arcipelaghi delle nuvole» (Damiani, 1995, p. 56). Sono numerosi i quadretti raffiguranti cani, i bracchi, gli spinoni, e il cane che allietò gli ultimi anni dell’artista, che lo ritrasse nel 1933: Floc a otto anni.
Nel 1942, di fronte all’incalzare della seconda guerra mondiale, Someda abbandonò Roma e con la moglie ritornò a Udine, dove visse in ristrettezze economiche. Morì il 19 dicembre 1944 di polmonite, contratta durante una notte passata in un umido e freddo rifugio antiaereo.
Fonti e Bibl.: Catalogo ufficiale completo della Esposizione provinciale in Udine 1883 compilato dal comitato esecutivo, Udine 1883, pp. 26, 27; A. F., D. S, in La Patria del Friuli, XI, 18 e 19 maggio 1887; A. F., Ancora un quadro di D. S., ibid., 5 ottobre 1887; Zig zag per l’Esposizione artistica e d’arte applicata all’Industria, Venezia 1887, pp. 75 s.; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi. Pittori, scultori e architetti, Firenze 1889, pp. 486 s.; A. Picco, Scritti vari (1881-1896), Biblioteca comunale di Udine (articoli su quotidiani ritagliati e raccolti in un volume), pp. 9, 10, 15, 25, 31, 36, 42, 43, 82, 83; C. Someda, Nozze dottor Antonio Faggioni - Antonietta Someda de Marco, San Daniele 1909; G. Bragato, Guida artistica di Udine e suo distretto, Udine 1913, p. 8; G. Del Puppo, Gli artisti friulani e il risorgimento nazionale, in Atti dell’Accademia di Udine, s. 4, IV (1913-1914), p. 113; G. G., D. S., in La Fiamma. Settimanale d’arte, marzo 1925; G. Del Puppo, D. S., in La Panarie, III (1926), 14, pp. 117-122; P.A. Corna, Dizionario della storia dell’arte in Italia, Piacenza 1930, p. 844; U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXXI, Leipzig 1937, p. 262; Opere del pittore friulano D. S. Calendario per l’anno 1940, Udine 1940; P. Someda de Marco, Il pittore D. S., Udine 1951; L. Damiani, Arte del Novecento in Friuli. 1. Il Liberty e gli Anni Venti, Udine 1978, pp. 21-25; G. Sgubbi, D. S., in Arte del Friuli Venezia Giulia, 1900-1950 (catal., Trieste), a cura di D. Gioseffi - S. Molesi - M. Pozzetto, Pordenone 1982, pp. 32 s.; F. Gover, D. S. pittore di Rivolto, in Il Ponte Codroipo, XIII (1986), 1, p. 13; F. Venuto, S., D., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 1029; L. Damiani, La pittura di D. S. tra storia, paesaggio e riti mondani, in D. S. pittore (catal.), a cura di G. Bergamini, scritti di G. Bergamini - G. Bucco - L. Damiani, Udine 1995, pp. 41-72; V. Gransinigh, Pittura e scultura in Friuli dall’unità con l’Italia alla prima guerra mondiale, in Il Friuli. Storia e Società. 1866-1914. Il processo di integrazione nello Stato unitario, a cura di A. Buvoli, Udine 2004, pp. 312 s.; L. Damiani, Tenori, soprani, popolo nella pittura di storia dell’Ottocento, in Tra Venezia e Vienna. Le arti a Udine nell’Ottocento (catal., Udine), a cura di G. Bergamini, Milano 2004, pp. 155-173 (in partic. pp. 170-172); F. Gover, Varmo nell’arte: episodi e protagonisti. Appunti per una lettura, in Varmo. Vil di Vȃr, a cura di E. Fantin, Latisana 2006, pp. 185 s.; G. Bergamini - G. Pauletto, La collezione d’arte. Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, Milano 2008, pp. 225 s.; L. Damiani, S. D., pittore, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani. 3. L’età contemporanea, a cura di C. Scalon - C. Griggio - G. Bergamini, Udine 2011, pp. 3191-3194.