CHIALAMBERTO, Domenico Simone Ambrosio conte di
Nacque a Torino il 12 febbr. 1754 (Manno, Supplemento) dal conte Aleramo e Maria Teresa Scarandi Scala. Della famiglia Ambrosio, signori di Villarbasse, conti di Chialamberto, il C. fu il personaggio più notevole; uomo nuovo presso la corte sabauda travolta dalle vicende rivoluzionarie, egli si mise ben presto in luce per la fedeltà alla Corona e l'intransigenza verso ogni forma di dissenso dal governo legittimo. Investito del feudo il 9 febbr. 1762, svolse i primi anni del suo servizio di "leale servitore" del sovrano come magistrato; fu nominato il 30 nov. 1779 sostituto sovrannumerario dell'avvocato fiscale generale, divenne effettivo in tale impiego il 29 nov. 1782; il 19 marzo 1791 ottenne una delle cariche più importanti dell'ordine giudiziario, quella di senatore nel Senato di Piemonte. Intanto gli avvenimenti politici della Francia non rimanevano senza eco in Piemonte: l'occupazione di parte dello Stato sabaudo, il discredito in cui era caduto il governo per le sue imprevidenze, la diffusione delle idee rivoluzionarie fecero nascere in molti il desiderio di rinnovamento; si concordarono azioni dirette ad abbattere il regime assoluto ed a sostituire ad esso la repubblica. Scoperte le trame, vi furono molti arresti e perché "la prontezza del castigo soddisfacesse alla giustizia e servisse di freno ai malintenzionati" (editto 25 maggio 1794) veniva creata una speciale "delegazione" per giudicare i giacobini implicati nella vicenda. Il C., quale senatore, fu chiamato a farne parte assieme alle più alte cariche dello Stato (erano membri della commissione il Galli, primo presidente della Camera dei conti, il presidente del Senato Virgino e sette senatori). Tutti i giudici contribuirono con la loro equanimità ad alleviare la sorte dei compromessi; soltanto il C. e il Durando diedero prova di durezza e intransigenza nel giudizio. Ciò nonostante Carlo Botta, che fu uno dei cospiratori e subì due anni di carcere, elogia nella sua Storia d'Italia la moderazione, "degna di grandissima lode in mezzo a tanti sdegni e tanti terrori", di tale tribunale. Il pieno attaccamento del C. al regime e la sua "consumata esperienza" lo posero in vista presso la corte ed egli fu incaricato delle funzioni di primo ufficiale della segreteria dell'Interno (4 dic. 1794); a tale concessione non fu forse estraneo l'intervento dello zio cav. Damiano di Priocca, ministro degli Esteri di Vittorio Amedeo III. Ritenuto maturo poi per incarichi più complessi, il C. fu inviato a Roma quale ministro plenipotenziario presso la S. Sede (30 nov. 1796). Quando Roma venne occupata dai Francesi, vi fu instaurata la Repubblica e Pio VI fu espulso dallo Stato (febbr. 1798), il C. seguì la corte papale in Toscana, avendo ricevuto ordini in tal senso dal proprio governo. Anche Carlo Emanuele IV, ormai sovrano senza potere, fu costretto a cedere all'invasore francese prima la cittadella di Torino (3 luglio 1798), poi, sottoscritta la capitolazione (7 dic. 1798), lasciò il Piemonte diretto in Sardegna, ultimo territorio dei suoi domini ancora rimastogli, Durante il disagiato viaggio, nel gennaio del 1799, la famiglia reale sostò a Firenze ospite del granduca Ferdinando III. Qui il C. fu richiamato al seguito del sovrano quale reggente la segreteria di Guerra di Sardegna. Egli entrò pertanto a far parte di quel ristretto numero di fedeli consiglieri, vicinissimi al re, giudicati molto severamente come "inetti" da V. Alfieri nella Vita scritta da esso. L'assenza di validi ministri, se si eccettuano il Priocca, il Balbo e il Thaon di Revel, si fece infatti sentire nelle successive fasi delle trattative diplomatiche della corte di Savoia. Dopo che il 26 maggio 1799 gli Austrorussi entrarono in Torino, Carlo Emanuele IV sperò in un sollecito ritorno nei propri Stati di terraferma, confidando nell'aiuto dello zar Paolo I; ma la dichiarata avversione dell'Austria lo impedì. Carlo Emanuele IV lasciò la Sardegna, dopo avervi nominato reggente Carlo Felice (18 sett. 1799), e si stabilì a Firenze.
La carriera del C. proseguì pertanto presso un sovrano senza potere: già il 27 ag. 1799 gli era stata conferita la croce dei SS. Maurizio e Lazzaro; fu poi (18 marzo 1800) nominato segretario di gabinetto del re che egli aveva seguito nel soggiorno a Firenze; gli fu inoltre conferita la carica di primo segretario di Stato per la Sardegna "ad latus" del duca del Genevese Carlo Felice (8 apr. 1800). Ricoprendo tali incarichi toccò al C. la conduzione degli affari politici del re di Sardegna nel periodo dell'occupazione austro-russa del Piemonte (giugno 1799-giugno 1800). L'Austria faceva sentire duramente la presenza del proprio esercito in Piemonte e controllava i movimenti della corte sarda, tentando di isolarla diplomaticamente. Migliori erano invece i rapporti con la Russia tenuti da Gaetano Balbo, diplomatico "grossolano ed impetuoso"; egli auspicava un'alleanza con la corte di Pietroburgo e dinanzi alle esitazioni di Carlo Emanuele IV, ritenendone responsabile il C., chiese le dimissioni di questo (maggio 1800). Il C. in realtà seguì con sollecitudine e realismo la situazione; rimane a testimoniare questa sua posizione una copiosa corrispondenza (settembre 1799-giugno 1800) con il cav. Tonso, reggente la segreteria degli Esteri in Torino. Beghe di potere ed attacchi personali non sono assenti nelle fitte pagine diplomatiche: il C. avversò sempre il Thaon di Sant'Andrea, luogotenente generale del Regno a Torino, il quale fu costretto alle dimissioni; né mancarono dissapori con il conte Balbo. Da alcune lettere del C. stesso al Tonso appare però che il suo potere era limitato: egli scriveva infatti di "non avere in mano le fila del lavoro governativo, di saperne poco e di essere interrogato quasi su nulla accettando quello che altri facevano di propria volontà mentre a lui si gridava la croce addosso" (aprile 1800). Certo è che la stima e la fiducia accordate al C. da Carlo Emanuele IV non erano condivise da Carlo Felice, il quale fu sempre estremamente critico nei suoi confronti: questi scriveva al conte di Moriana nel 1801 "Chalambert qui est double comme un signon et poltron comme un cerf; se laisse faire peur par tout le monde". La battaglia di Marengo pose per la diplomazia sarda nuovi problemi; nasceva la necessità di intavolare una trattativa con il Bonaparte, onde evitare l'annessione del Piemonte alla Francia. A tale proposito divergenze di posizioni si profilarono all'interno della stessa famiglia reale e il C. ricevette sovente ordini e messaggi contraddittori. L'annessione definitiva del Piemonte alla Francia (12 apr. 1801) fece cadere ogni illusione in Carlo Emanuele IV, esule ramingo tra Roma e Napoli. Sospetti di attentati al re appaiono chiari in una lettera del C. del 2 luglio 1801. ma, nonostante i soprusi francesi, egli si mostra sempre propenso ad una linea politica che preveda la trattativa più che la denunzia e la dichiarata disapprovazione delle misure napoleoniche. Morta la regina Maria Clotilde, Carlo Emanuele IV attuò il progetto di abdicazione da tempo desiderata. Il C. venne investito dal sovrano della stesura dell'atto formale di abdicazione (21 maggio 1802); il successivo 4 giugno, in Roma nella sala delle udienze di palazzo Colonna, presente il C. quale notaio della Corona, Carlo Emanuele IV abdicò a favore di Vittorio Emanuele I. Il nuovo monarca conservò il segretario di gabinetto nell'incarico, ma i dissapori non mancarono. Carlo Felice, nel suo viaggio a Roma per incontrare il sovrano e la consorte (22 genn. 1803), espresse al fratello il proprio disappunto perché il C. non gli lasciava sufficiente indipendenza nel governo della Sardegna e pregò il re di invitarlo a essere più sottomesso alle sue disposizioni. Di questo colloquio con il sovrano Carlo Felice riferiva al Revel: "je l'ai convaincu de tous ses [del C.] torts..." e lo stesso Vittorio Emanuele I "a paru être lui même très mécontent de son ministre, le tient pour nécessité parce qu'il n'a pas d'autre à mettre à sa place". In effetti i rapporti del C. con la nuova corte non furono buoni: anche la regina Maria Teresa aveva poca stima di lui, così il Roburent.
Il C. si spense a Roma nel 1803.
Non vi è dissenso sull'anno della morte; il mese e il giorno di tale evento sono invece variamente indicati: il 3 luglio da Bianchi, Lemmi, Carutti e Dionisotti; il 28 giugno dal Claretta; il 2 giugno dal Manno. È da escludere la data del 3 luglio: nella lapide della chiesa dei SS. Apostoli si legge "depositus V Kalendas iulii" e si fissa in tal modo l'inumazione al 27 giugno; così cade anche la notizia del Claretta che indica la morte come avvenuta il 28 giugno. In mancanza di dati provenienti dallo stato civile, non abbiamo un giorno preciso da indicare, conosciamo con certezza solo la data di sepoltura: 27 giugno. Il C. aveva sposato il 13 ott. 1784 Ideltrude Faussone di Clavesana; dal matrimonio nacquero tre figli: Aleramo, Luigi, Gabriella.
Fonti e Bibl.:Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte,Lettere di particolari,C, mazzo 72 (ivi, tra l'altro, la lettera inviata dal C. al Tonso dell'aprile 1800); T, mazzo 16; Ibid., Lettere ministri Francia; Ibid., Lettere ministri Austria (1796-1802); Ibid., Carte epoca francese, mazzi 3, 5, 9, 46; Ibid., Arch. Camerale,Patenti controllo Finanze, 1779, reg. 57, f. 144; 1782, reg. 62, f. 60; 1786, reg. 69, f.121; 1791, reg. 83, f. 29; 1794, reg. 95, f. 108; 1795, reg. 96, f. 22; 1796, reg. 100, f. 71; 1800, reg. 103, ff. 111, 112, 118; Ibid., Arch. duca di Genova, in fase di ordinamento, Abbozzi di lettere e mem. del conte di Moriana; Ibid., Lettere di Carlo Felice al conte di Chialamberto; Ibid., Atto di abdicazione di Carlo Emanuele IV; Ibid., Sez. riunite, G. Claretta, Dizionario biogr. geneal. del Piemonte,ad vocem;Torino, Biblioteca d. provincia, G. Gallo, Mem. istor. sopra il re di Sardegna Carlo Emanuele(detto l'infelice), (ms. [1820]); G. Galli, Cariche del Piemonte, III, Torino 1798, pp. 63 s.; A. Ambrosio di Chialamberto, Memorie, Torino 1856, pp. 3 ss.; L. Cibrario, Origini e progressi della monarchia di Savoia, Firenze 1869, pp. 416 ss.; G. Claretta, Una pagina di storia subalpina negli anni 1799-1800, in Arch. stor. ital., s. 3, XVIII (1873), 6, pp. 391-429; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 sino al 1861, Torino 1878, II, pp. 551 ss.; IV, Torino 1885, pp. 344 ss., 519; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, pp. 352, 377 s.; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese 1789-1815, Torino 1889, I, pp. 30 ss.; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la rivoluzione e l'impero francese, Torino 1892, pp. 124 ss., 158, 357; D. Perrero, I reali di Savoia nell'esiglio(1799-1806), Torino 1898, p. 39; A. Manno, Il patriziato subalpino, Firenze 1906, II, p. 47, e Supplemento, p. 493, s.v. Ambrosio; F. Lemmi, Carlo Felice(1765-1831), Torino 1931, pp. 35, 53, 63, 89 ss.