SILVO, Domenico
– Nacque nel primo quarto dell’XI secolo, figlio di un certo Stefano, variamente attestato nei decenni precedenti (nulla si sa della madre).
Nel 1071 venne eletto doge per acclamazione. Secondo la testimonianza del chierico Domenico Tino, testimone oculare dell’avvenimento, la sua elezione avvenne subito dopo i funerali del suo predecessore Domenico Contarini, per volontà dei veneziani affluiti sulla spiaggia di S. Nicolò di Lido, mentre all’interno della chiesa omonima le maggiori autorità religiose e numerosi ecclesiastici pregavano affinché fosse designato un uomo degno di tale carica. Non essendosi levata alcuna voce contraria, Silvo fu sollevato sulle spalle da alcuni dei presenti e trasportato su una barca. Qui giunto, ordinò che gli fossero tolti i calzari, mentre il chierico, salito a sua volta sull’imbarcazione, intonò il Te Deum fra il tripudio della folla.
Il nuovo doge venne quindi condotto fino alla riva di S. Marco, accolto dal clero ordinato in processione e accompagnato nella basilica ancora in fase di costruzione, dove, entrato scalzo in segno di umiltà, si prosternò ringraziando Dio per l’onore concessogli, ricevendo le insegne del potere poste sull’altare. Dopo di che si trasferì nel palazzo ducale, seguito da un grande corteo di popolo, dal quale ottenne il giuramento di fedeltà, disponendo di lì a poco per i donativi di consuetudine e gli interventi opportuni (Domenico Tino, Relatio de electione Dominici Silvi Venetorum ducis, a cura di L.A. Berto, 1999, pp. 101-105).
La scelta del nuovo doge avvenne, stando alla testimonianza di Tino, senza contrasti. Si trattò infatti di un pacifica transizione di poteri da Contarini a Silvo, che apparteneva a una famiglia di recente affermazione, risultando attestata come attiva nella vita politica solo a partire dall’ultimo ventennio del X secolo. Del resto, Silvo era stato uno dei principali collaboratori del suo predecessore, comparendo per la prima volta in qualità di sottoscrittore, assieme allo stesso doge, in un atto del vescovo di Olivolo, Domenico Contarini, omonimo e probabilmente parente del doge, risalente all’agosto del 1046 (Benedettini in S. Daniele, a cura di E. Santchi, 1989, pp. 5 s.). Alcuni anni più tardi inoltre, attorno al 1055, il Contarini inviò lo stesso Silvo e Bono Dandolo come ambasciatori presso l’imperatore Enrico III, ottenendo dal sovrano tedesco il rinnovo dei secolari privilegi di cui godevano i veneziani nell’ambito del Regno italico.
I primi anni di Silvo furono ispirati alla continuità delle politiche seguite nell’ultima fase di governo da Contarini, improntate alla ricerca di buone relazioni con i due imperi e il Papato, nonché alla ricercata assenza di conflitti che potessero turbare in qualche modo la prosperità dei traffici marittimi e di quelli terrestri. Durante il suo mandato il doge provvide al completamento della costruzione della basilica di S. Marco, lasciata interrotta dal suo predecessore, terminando le opere murarie e dando avvio all’esecuzione della decorazione musiva. Si attribuiscono infatti alla sua epoca, pur con qualche dubbio, i mosaici dell’abside (Cristo pantocratore e figure di santi e apostoli) e dell’ingresso che immette alla chiesa (la Theotokos, apostoli ed evangelisti), nonché una Deposizione, di cui rimangono solo alcuni resti, sul tetrapilo di sud-est del presbiterio.
Riprendendo un’iniziativa di Contarini che non aveva dato buoni risultati, Silvo intervenne in aiuto del patriarcato di Grado, al cui titolare, Domenico Marango, Leone IX nel 1053 aveva dato pieno riconoscimento, ponendo fine al plurisecolare contrasto con il patriarca rivale di Aquileia. Malgrado il successo così ottenuto, il patriarcato gradense versava però in gravi difficoltà economiche, per cui il doge intervenne nel settembre del 1074 elevando un’imposta a carico di alcuni enti ecclesiastici, vescovati e monasteri, il cui ricavato sarebbe dovuto andare al patriarcato stesso. Ciò nonostante, alcuni mesi dopo, nel dicembre del 1074, Gregorio VII, scrivendo al doge, pur riconoscendo le buone intenzioni dei veneziani, non risparmiò loro le accuse, lamentando la miseria in cui versava la sede patriarcale e ammonì Silvo affinché provvedesse di conseguenza. Alcuni anni più tardi, nel 1077 e ancora nel 1081, il medesimo pontefice esortava invece il Silvo a non avere contatti con personaggi colpiti dalla scomunica, con evidente riferimento a Enrico IV, indizio che depone a favore dei buoni rapporti intrattenuti allora da Venezia con l’Impero germanico, tanto che il doge non ritenne mai necessario chiedere il rinnovo dei tradizionali privilegi all’imperatore tedesco.
Nel campo della politica internazionale, si andava intanto complicando la situazione nel settore adriatico. Il disimpegno militare dell’Impero bizantino da quell’area aveva di fatto abbandonata a se stessa la Dalmazia che rivestiva un ruolo di primaria importanza per gli interessi veneziani. Un intervento del doge Contarini non aveva risolto il problema, che si aggravò con la comparsa dei Normanni, i quali, ormai consolidatisi nell’Italia meridionale, ambivano a espandersi anche sulla sponda orientale di quel mare. Nella primavera del 1075 il conte Amico assediò l’isola di Arbe, prese prigioniero il re croato Petar Krešimir IV e affermò il dominio normanno su Spalato, Traù, Zara, Zaravecchia e forse anche su Nona.
Bisanzio, a cui competeva ancora la sovranità nominale di quelle località, non fu in grado di intervenire, per cui toccò a Silvo agire. Il doge riuscì a espellere fra la fine del 1075 e l’inizio del 1076 i Normanni dai territori conquistati, ristabilendo la situazione preesistente e vedendosi riconoscere dalle città dalmate liberate come loro senior. In questa occasione, l’imperatore Michele VII Ducas gli conferì il rango di protoproedos, un titolo assai considerevole mai concesso in precedenza ad altri dogi. Da quel momento, Silvo, che fino al 1075 si era intitolato Venecie et Dalmacie dux, si fregiò del nuovo titolo bizantino. Fu probabilmente allora che il doge ottenne in sposa una nobile bizantina, Teodora Ducas, figlia, presumibilmente, di Costantino X e, quindi, sorella di Michele VII, mentre da un precedente matrimonio aveva avuto un figlio, anch’egli di nome Domenico, imparentato con la potente famiglia Candiano, che aveva dato cinque dogi a Venezia, il quale premorì al padre, risultando scomparso nel 1086.
La nuova moglie del doge, a quanto pare, diede scandalo a Venezia per le sue abitudini e il suo amore del lusso, al punto da essere, secondo una tradizione consolidata, severamente ripresa da Pier Damiani nel suo De Institutione monialis. In realtà, il santo ravennate non si riferiva a Teodora Ducas, che non avrebbe potuto conoscere, essendo scomparso nel 1072, quanto piuttosto a un’altra principessa bizantina andata sposa a Giovanni, figlio di Pietro II Orseolo, nel 1004.
L’insuccesso del conte Amico non arrestò le ambizioni normanne. Nel maggio del 1081 Roberto il Guiscardo salpò da Brindisi e sbarcò a Valona, conquistata poco prima dal figlio Boemondo mandato in avanscoperta, quindi occupò Corfù e pose l’assedio a Durazzo. Il nuovo imperatore, Alessio I Comneno, nell’impossibilità di fronteggiare la minaccia con le proprie forze, inviò un’ambasceria a Venezia per sollecitare un aiuto militare.
Dopo aver posto le proprie condizioni, Silvo organizzò una spedizione navale che nel mese di luglio attaccò e sconfisse la flotta normanna, ma il successo fu vanificato qualche tempo dopo da una sconfitta subita dall’esercito bizantino nei pressi di Durazzo. Quest’ultima città cadde nel febbraio del 1082 in mano al Guiscardo che a questo punto marciò direttamente sulla capitale dell’impero, salvo interrompere la sua avanzata per rientrare in Italia, dovendo fronteggiare la discesa di Enrico IV in direzione di Roma. Nel frattempo a Costantinopoli Alessio I mantenne gli impegni assunti con i veneziani, concedendo loro nel maggio di quell’anno amplissimi privilegi che comprendevano titoli nobiliari, fra i quali l’altissima dignità di protosebastos a Silvo che poneva il doge sullo stesso piano della famiglia imperiale essendo stata concessa fino ad allora solo a parenti stretti dell’imperatore, nonché elargizioni di denaro, proprietà fondiarie, tra cui un quartiere nella capitale, e privilegi di natura commerciale che avrebbero posto i veneziani in una posizione di assoluta preminenza nel commercio orientale negli anni successivi.
Nel frattempo la guerra continuava con alterne fortune. Nel 1083 gli alleati ottennero notevoli successi, riconquistando fra l’altro Corfù. Ma l’anno dopo il ritorno del Guiscardo capovolse la situazione, con una brillante vittoria riportata sulla flotta veneto-bizantina nel novembre del 1084 vicino alla stessa isola. La sconfitta ebbe immediati contraccolpi anche a Venezia, dove Silvo, ritenuto responsabile della disfatta, fu destituito, sostituito da Vitale Falier.
Dopo la perdita del potere, l’ex doge visse ancora qualche anno, continuando a fregiarsi della dignità imperiale di protosebastos che gli era stata conferita, seguendo la consuetudine bizantina, in forza della quale i titoli assegnati non erano revocabili e si estinguevano solo con la morte del detentore. Dopo il 1087 di lui non si hanno più notizie certe.
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