PANDOLFI, Domenico
PANDOLFI (Pandolfi Mealli), Domenico (in religione Giovanni Antonio). – Secondogenito di Giovanni Battista Pandolfi e quartogenito di Verginia Bartalini, fu battezzato a Montepulciano il 27 novembre 1624.
Il padre era servitore di monsignor Silvano Cocconi (insigne giurista e letterato di nobile famiglia poliziana, vicino al cardinal Carlo Borromeo), al cui seguito si era trasferito a Montepulciano da Isola della Scala.
La madre era vedova di Mario Mealli, dal quale aveva avuto due figli, Lorenzo e Giovan Battista; nel 1623 quest’ultimo, tra gli otto e i nove anni, era stato condotto da Antonio Taroni come cantante castrato alla corte di Cracovia. Dal secondo letto nacquero quattro figli: Maddalena, Domenico, Santi e infine Antonio, venuto alla luce dopo la morte del padre nel gennaio 1629.
Di lì a poco Domenico, con Lorenzo e la madre, raggiunse a Venezia Giovan Battista Mealli, che nel frattempo era divenuto cantore in S. Marco: qui anche Domenico fu subito «messo all’esercizio» (Longo, 2005, pp. XII s.), non si sa in quale ruolo.
Non vi sono altre notizie fino al 1660. In quest’anno il nome di «don Giovanni Antonio Pandolfi Mealli» compare sul frontespizio di due raccolte di Sonate a violino solo per chiesa e camera, le opere III e IV, entrambe pubblicate a Innsbruck con la qualifica di «musico del Serenissimo Ferdinando Carlo arciduca d’Austria» (governatore del Tirolo) e dedicate rispettivamente all’arciduchessa Anna e a Sigismondo Francesco d’Austria, fratello minore dell’arciduca (ed. facsimile a cura di E. Gatti-F. Longo, Magdeburg 2011). Non vi è traccia delle precedenti opere I e II. Nello stesso anno il nome di «Giovanni Antonio Mealli» compare nei documenti relativi ai musicisti di camera della corte tirolese, che avrebbe lasciato il 15 febbraio (Senn, 1954, pp. 265, 405; Longo, 2005, pp. XXXVIII-XL).
Per l’evoluzione del nome dobbiamo ipotizzare che Pandolfi fosse entrato in religione (ibid., pp. X s.) e avesse assunto (forse per interessi ereditari) il doppio cognome, che poi depose (ibid., pp. IX-XIV; Gatti-Longo, 2011, pp. 4-6). Nel 1669, con il solo cognome proprio, il musicista ricomparve come autore di una nuova raccolta di musiche strumentali, edita a Roma (Sonate cioè Balletti, Sarabande, Correnti, Passacagli, Capriccetti e una Trombetta a uno e dui violini con la terza parte della viola a beneplacito; ed. facsimile a cura di F. Longo, Messina 2005), con la qualifica di «musico istrumentista di violino» nella cappella senatoria del duomo di Messina. Qui fu partecipe d’una delle fasi più prospere della città, della quale dovette però intravedere anche il prossimo, rapido declino: quando infatti, il 21 dicembre 1675 (Saitta, 1967), fu costretto a darsi alla fuga per omicidio, il conflitto franco-spagnolo per il controllo della città era ormai in atto.
Il delitto avvenne in duomo ai piedi del primo coro, e l’unica cronaca esplicita in cui compaiano i nomi della vittima e dell’uccisore riferisce che Pandolfi, «sacerdote di Monte Pulciano», sarebbe stato lungamente provocato dal cantante romano Giovannino Marquett «impertinente secolare et eunuco» (Molonia-Espro, I, 2001, pp. 107 s.), finché, impossessatosi della spada del rivale, lo colpì. Il provocatore doveva appartenere, forse per via di un’adozione, all’importante famiglia senatoria messinese dei Marquett (o Marchett), che si era apertamente schierata contro la Spagna, circostanza avvalorata dal di lui abbigliamento «alla francese»: i rivoltosi locali avevano infatti accolto i soccorritori francesi adeguandosi alla loro moda, a differenza dei lealisti come don Giovanni Antonio La Rocca principe d’Alcontres, il dedicatario delle Sonate di Pandolfi (Auria, 1697, p. 152).
Riguardo agli avvenimenti seguiti alla fuga da Messina, la fonte messinese allude a una temporanea permanenza in Francia (Molonia - Espro, 2001, p. 108), mentre gli atti madrileni ne attesterebbero una a Catania; a Madrid don Giovanni Antonio Pandolfi prese servizio come «músico de violín» nella cappella reale il primo aprile del 1678 (Jambou, 1989, pp. 469-514; Longo, 2005, pp. XLI-XLIV), restandovi – con frequenti spostamenti a Roma, forse al seguito del nunzio pontificio Savo Mellini – fino al 1687.
Non si hanno più notizie di Pandolfi dopo il 1687, possibile anno di morte.
Delle sue opere si conoscono le stampe delle sonate del 1660 e del 1669; una copia della sonata n. 2 dell’opera III con attribuzione ad Antonio Bertali nel cosiddetto Partiturbuch di Jakob Ludwig del 1662 (Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, ms. 34.7.Aug., cc. 20-31). Inattendibile sembrerebbe l’attribuzione delle Fantasie in un manoscritto opera di vari copisti dei secoli XVIII-XIX (Roma, biblioteca privata G. Rostirolla).
Le due raccolte di sei sonate per violino e basso del 1660, pubblicate in partitura, sono talmente omogenee da far pensare a un’unica dozzina poi distribuita in due libri. Spiccano gli andamenti lenti in stile recitativo; abbondano gli episodi di variazioni su basso ostinato (ciaccona diatonica e cromatica, romanesca, passacaglio). Si osservano peraltro i limiti imposti dall’uso della tipografia, che inibisce un’adeguata visualizzazione dei passaggi polifonici.
Anch’essa realizzata con caratteri mobili, ma pubblicata in parti staccate, la raccolta del 1669 è costituita da 18 composizioni: a sei Capriccetti a tre parti seguono otto brani a due violini e basso (una Sarabanda, cinque Balletti, una Trombetta e un Passacaglio) e un Balletto e tre Capriccetti a violino solo e basso.
In tutte e tre le opere, secondo un uso coevo abbondantemente documentato soprattutto nelle pubblicazioni strumentali dei musicisti lombardi, i singoli brani sono intitolati a personaggi vicini all’autore.
Delle sonate dell’opera III la prima è dedicata a Benedetto Stella, priore cistercense originario di Civita Castellana, uomo di lettere, scienziato e musicista la cui presenza è documentata soprattutto nel Perugino e nel Lazio; la seconda è dedicata ad Antonio Cesti; la terza ad Atto Melani o forse più probabilmente al violinista-compositore Antonio Melani; le ultime tre a cantanti nella compagnia tirolese di Cesti: Paolo Castelli, Clemente Antoni e Pompeo Sabbatini (Seifert, 2003, p. 48; Senn, 1954, pp. 263 s.).
Nell’opera IV, la prima sonata è dedicata a Gioseffo Bernabei, la seconda, terza e quarta ad altri cantanti di teatro attivi con Cesti, Antonio Viviani, Filippo Bombaglia (detto ‘Monello’) e Giovanni Giacomo Biancucci; la quinta si rivolge ancora a Benedetto Stella e l’ultima a una nobildonna perugina, Teodora Vincioli.
Anche le composizioni messinesi sono intitolate a colleghi di cappella; vi si riconoscono, in ordine gerarchico, maestri, vice-maestri, organisti, prime voci fino ai semplici strumentisti: Vincenzo Tozzi, ‘Candeloro’ (alias Bernardo Storace), Antonio Drago, Michelangelo Falvetti, Placido Cara, Filippo Muscari, Agostino Folcognoni (primo soprano), Francesco Ferrotti, Giuseppe Giusto, Pietro Lo Giudice, Nicolangelo Trinci, Giovannino Marquett (una delle sonate più ampie nella raccolta, intitolata al cantante che sarebbe poi stato ucciso da Pandolfi), Giuseppe Monforti, Pietro Raimondo, Pietro Maurizio; la brevissima Sarabanda è rivolta al «portero» della cappella Domenico Micari (cfr. Messina, Biblioteca regionale, F.N.183: G. Arenaprimo, Appunti dalla tabella dei pagamenti della cappella senatoria del 1663, c. 57), e la «trombetta» denominata Spata Fora è intitolata al principe Francesco Spatafora, ammiccando nel contempo a un trombettiere d’egual nome. Nell’ultima sonata, realizzata su un basso ostinato e dedicata al suonatore di basso Luca Catalano, sembra potersi cogliere un intento ironico, visto che proprio nel brano a lui intitolato il suonatore si ritrovò a sostenere le ghiribizzose evoluzioni del violino reiterando le stesse spoglie figurazioni; questo, probabilmente, nello spirito generale della «nobilissima accademia» che si tenne in casa del dedicatario, il principe La Rocca, e durante la quale, al suono del claviorgano del nobile ospite, le composizioni dovettero venir eseguite.
Fonti e Bibl.: Messina, Archivio di Stato, Archivio privato La Rocca, Acta varia vol. 19, c. 631: 10 ottobre 1678 – Inventario dei beni ereditari del fu Giovanni La Rocca, principe d’Alcontres e marchese di Roccalumera, testamento del 22 settembre 1678; Loyola, Archivo y Biblioteca Musicales Padre Otaño: N. Hergueta, Profesores músicos de la Real Capilla de S. M. según documentos de su archivo, 1898, ms., p. 117; V. Auria, Historia cronologica delli signori viceré di Sicilia, Palermo 1697, p. 152; W. Senn, Musik und Theater am Hof zu Innsbruck, Innsbruck 1954, pp. 263-265, 365, 405; Il Giornale di Messina, 29 ottobre 1675-24 aprile 1677, a cura di A. Saitta, Milano 1967 (21 dicembre 1675); L. Jambou, Documentos relativos a los músicos de la segunda mitad del siglo XVII de las Capillas reales y Villa y Corte de Madrid, sacados de su Archivo de Protocolos, in Revista de musicología, XII (1989), p. 500; W. Apel, Italian violin music of the seventeenth century, Bloomington 1990, pp. 169-172; G. Cuneo, Avvenimenti della nobile città di Messina (1695-1702), a cura di G. Molonia - M. Espro, I, Palermo 2001, pp. 107 s.; H. Seifert, Cesti and his opera troupe in Innsbruck and Vienna, in La figura e l’opera di Antonio Cesti nel Seicento europeo, a cura di M. Dellaborra, Firenze 2003, p. 50; L.K. Stein, Desmarest and the Spanish context: musical harmony for a world at war, in Henry Desmarest (1661-1741), a cura di J. Duron, Sprimont 2005, pp. 95, 99; Giovanni Antonio Pandolfi Mealli da Montepulciano:Sonate (messinesi) a uno e due violini, Roma 1669, facsimile, a cura di F. Longo, Messina 2005; Giovanni Antonio Pandolfi Mealli: Sonate op. III e IV for violin & b.c., facsimile, a cura di E. Gatti - F. Longo, Magdeburg 2011; C. Frei, L’arco sonoro. Articulation et ornementation. Les différentes pratiques d’exécution pour violon en Italie au XVIIe siècle, Lucca 2011, pp. 31-35; D. Chiatto, Le testimonianze musicali in Messina dal IV sec. a.C. al XVI sec. d.C. e la cappella musicale dal XV sec. al XVIII sec., Messina 2013, ad ind.