MONEGARIO, Domenico
– Nato nella prima metà dell’VIII secolo, è conosciuto solo attraverso le scarne notizie fornite dal cronista Giovanni Diacono, che scriveva nei primi decenni del secolo XI, ripreso senza alcuna modifica dalle fonti successive.
Era originario di Malamocco, assurta da poco tempo al ruolo di capitale del Ducato venetico in sostituzione di Cittanova.
Il suo cognome, Monegario o Monetario, potrebbe derivare da «monegarius», che rinvierebbe a un ascendente monaco, o, con maggiore probabilità, da «monetarius», che starebbe a indicare la professione di coniatore di monete esercitata da un suo antenato.
Nel 756 il M. successe – come sesto doge di Venezia, secondo la tradizione – a Galla (o Gaulus), che l’anno prima aveva usurpato il potere dopo l’uccisione del doge Deusdedit (Diodato).
Il governo del M., che si protrasse per otto anni fino al 764, si inserisce nel lungo periodo di instabilità politica che caratterizzò l’esistenza del Ducato per l’arco di tempo di circa trent’anni, contraddistinti da violente lotte interne all’aristocrazia locale.
I momenti salienti di quel periodo di turbolenze furono l’uccisione del doge Orso nel 737, l’elezione nel quinquennio successivo di un magister militum di durata annuale in sostituzione del doge, il ritorno al regime ducale nel 742 con l’elezione di Deusdedit, figlio di Orso, che trasferì la capitale a Malamocco, la deposizione, accecamento e uccisione dello stesso Deusdedit, con l’usurpazione del potere da parte di Galla nel 755, e l’elezione del M. l’anno successivo.
La mancanza di adeguate testimonianze sconsiglia di avanzare ipotesi e spiegazioni troppo rigide per giustificare questi eventi, quali la contrapposizione fra un partito favorevole ai Longobardi e uno filobizantino o, sul piano economico, fra un ceto di possessores, con radicati interessi fondiari e agricoli, maggioritario a Cittanova, e uno fautore dello sviluppo dei traffici mercantili e marittimi predominante a Malamocco.
Le ragioni dei dissensi vanno piuttosto cercate con maggiore fondamento nei cambiamenti istituzionali in atto in quegli anni nella provincia venetica, con un’accentuata contrapposizione tra famiglie, derivanti almeno in parte da funzionari dell’amministrazione bizantina in via di disgregazione – che si identificavano nell’antica magistratura dei tribuni, propensi a una gestione decentrata del potere – e la più accentratrice autorità ducale in fase di rafforzamento, secondo una linea di tendenza del resto comune ai territori italiani di tradizione bizantina.
Tribuni e doge risultavano di conseguenza antitetici fra loro e in dichiarato antagonismo. Ma i sostenitori del M. decisero di affiancargli fin dall’inizio due tribuni da rinnovarsi annualmente, realizzando in questo modo una significativa commistione fra il regime ducale e quello dei magistri militum annuali. La scelta era ritenuta sorprendente da Giovanni Diacono, che scriveva in un’epoca e un contesto ben differenti, non cogliendovi le implicazioni politiche ma giustificandola soltanto come una riprova della stoltezza e volubilità del popolo (Giovanni Diacono, p. 98).
In realtà la decisione dei Venetici era l’indice preciso del delicato momento istituzionale, in cui il potere ducale non era ancora sufficientemente forte per sconfiggere la vecchia tradizione tribunizia.
Se la situazione interna era tutt’altro che stabile, non meno incerta risultava quella internazionale. Il mancato intervento delle forze navali degli abitanti della laguna al momento della conquista di Ravenna da parte del re longobardo Astolfo, nel 751, sembrerebbe indicare che, a differenza del passato, i Venetici non ritennero opportuno in quella circostanza intervenire a favore dell’Impero d’Oriente. D’altra parte, anche Astolfo non manifestò alcuna intenzione aggressiva nei confronti del Ducato, ritenuto evidentemente di secondaria importanza per i suoi progetti di dominio in Italia. Anzi, non esitò a confermare le vecchie concessioni pattuite al tempo di Liutprando e il mantenimento degli antichi diritti goduti in terraferma.
Le sconfitte inflitte ad Astolfo dai Franchi di Pipino e la successiva scomparsa del sovrano longobardo, nel 756 poco dopo l’elezione del M., lasciarono i Longobardi privi di una guida energica in un momento particolarmente delicato, e provocarono un aggravamento della minaccia franca, nonché un rafforzamento della posizione del Papato. Il re Desiderio riuscì ad assicurarsi il favore del papa Stefano II, e di Pipino, promettendo in cambio la restituzione di tutti i territori che erano appartenuti all’Esarcato e alla Pentapoli, oltre a quelli conquistati da Astolfo. Ma la morte, subito dopo, di Stefano II nel 757 evitò a Desiderio di rispettare, se non parzialmente, gli impegni assunti, mentre le richieste di aiuto del nuovo papa Paolo I a Pipino non furono ascoltate.
Non deve pertanto destare sorpresa se, nella carenza di autorità e di presenza dell’Impero, da cui pure continuava a rimanere formalmente dipendente, anche Venezia partecipasse al clima di generale incertezza e di instabilità che caratterizzava il resto dell’Italia un tempo sottoposta al dominio bizantino.
In ogni modo, i rapporti di forza fra i ceti emergenti nelle isole della laguna risultavano ancora molto precari. Nonostante l’espediente al quale si era fatto ricorso con l’istituzione dei due tribuni annuali a fianco del doge, anche il governo del M. fu rovesciato con la forza ed egli fu deposto e abbacinato.
Non sono noti il luogo e la data della sua morte.
Gli successe Maurizio Galbaio, eletto senza contrasti, con il quale ebbe termine il lungo periodo di instabilità politica del Ducato venetico, con il decisivo rafforzamento della figura ducale.
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