MONA, Domenico
– Non si conosce con precisione la data di nascita di questo pittore ferrarese, nato da famiglia «chiara e illustre» (Baruffaldi, p. 5), data che sarebbe da collocare nel 1550, secondo quanto si legge nella chiesa di S. Francesco a Ferrara nella memoria sepolcrale di Francesco Mona, presunto parente.
Incerta è la corretta lezione del nome, che le fonti riportano come Monna (Superbi), o Mona (Baruffaldi, p. 5 n.), o Monio (Scalabrini, p. 12), o Moni (Cittadella, 1784, p. 188). La lezione più recente sembra oscillare tra Monio (Marcolini; Fiori) e Mona (Frabetti; Bentini; Novelli).
Secondo quanto scrive Baruffaldi (pp. 5 s.), il M. entrò da chierico nell’Ordine certosino, ma presto smise l’abito monacale per sposarsi e dedicarsi agli studi di filosofia, medicina e diritto. A circa vent’anni cambiò nuovamente inclinazione per entrare nella bottega del Bastarolo (Giuseppe Mazzuoli), con il quale lavorò fino al 1589, anno della morte di quest’ultimo.
Il suo primo lavoro documentato è la Deposizione per l’altare della sagrestia capitolare del duomo di Ferrara, di cui all’anno 1576 si registra la spesa nel libro II della Fabbrica.
Il dipinto, frutto di un intreccio di esperienze diverse maturate all’inizio della carriera, palesa l’influenza del Bastarolo nell’impostazione della struttura compositiva, ma non mancano suggerimenti della cultura manieristica dell’Italia centrale. Gli accordi cromatici della tela non sono infatti lontani dalla tavolozza di Federico Zuccari e di Francesco Salviati, mentre la metà superiore del dipinto, animato da un paesaggio corsivo, dimostra l’elaborazione di stimoli di area padana e in particolare la conoscenza dei modi di Nicolò Abbati (Bastianino …, p. 179). Allo stesso periodo deve probabilmente ricondursi un dipinto distrutto durante il secondo conflitto mondiale, i Ss. Pietro e Paolo e la caduta di Simon Mago, eseguito per l’altare Cestarelli in duomo e dal 1703 conservato nella sagrestia vecchia (Frabetti, pp. 58 s.).
Tra lo scorcio dell’ottavo decennio e l’inizio del nono sono da ricondurre le pitture per S. Maria in Vado a Ferrara, dove si conserva uno dei più cospicui nuclei dell’opera del Mona.
Il suo primo intervento nella chiesa fu il Martirio dei ss. Vitale e Agricola per la cappella acquisita e rinnovata da Giustiniano Contughi a partire dal 1579 (ibid., p. 59). Per i canonici di S. Maria in Vado il M. eseguì entro il 1581, come testimoniato da Tiburzio Bartoli nella Ferrara compendiata e da Girolamo Merenda nelle Memorie storiche (ibid., p. 60), il ciclo presbiteriale composto dai teleri dell’Assunta, della Natività della Vergine e della Natività di Cristo. Di un S. Girolamo già nel primo chiostro e poi nel refettorio si sono perse le tracce.
Negli stessi anni il M. realizzò anche la Deposizione e la Crocifissione, affidategli nel 1580 da padre Agostino Righini per l’altar maggiore di S. Francesco (Cittadella, 1867). Tre anni dopo sarebbe stata collocata, tra le due pale, una terza opera del M., l’Ascensione, eseguita per sostituire l’opera di identico soggetto di Niccolò Rosselli che si trovava sull’altare dal 1569.
Stilisticamente vicina ai quadroni di S. Francesco è anche la Discesa dello Spirito Santo che faceva parte, insieme con le perdute Annunciazione e Presentazione della Vergine al Tempio, di una serie eseguita per la chiesa del Gesù (Frabetti, pp. 60, 72).
Dopo il 1585 si collocano alcune opere destinate alla ricostruita S. Paolo che nel sisma del 1571 aveva subito gravi danni strutturali.
Per la cappella Mazzoni, la prima a sinistra, il M. dipinse Storie della Vergine, mentre per il presbiterio eseguì l’Adorazione dei magi e tre Storie di s. Paolo (Conversione, Decollazione e Ascensione). Si trattò per il ciclo presbiteriale di una commissione che faceva seguito alle indicazioni testamentarie di Giuseppe Palmiroli, morto nel 1586, che aveva impegnato gli eredi a fare decorare l’altare maggiore della chiesa (ibid., p. 61). Nel ciclo paolino, che doveva certamente essere concluso quando, il 25 genn. 1592, venne scoperta la cappella maggiore, si avvertono segni di un più deciso accostamento stilistico ai modi del manierismo romano che il M. forse conobbe grazie all’aggregazione che dal 25 nov. 1583 univa l’Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue di S. Maria in Vado con quella del Gonfalone di Roma. Le grandi tele infatti denunciano l’assorbimento dei modi michelangioleschi elaborato dagli Zuccari e da Giovanni De Vecchi, tanto da lasciar intuire (ibid.) un possibile viaggio a Roma intorno a queste date.
Il nono decennio coincise anche con una fase di rinnovamento intellettuale in cui il M. entrò in contatto con l’ambiente critico-letterario di Ferrara, e segnatamente con Orazio Ariosto, discendente di Ludovico e commentatore di Torquato Tasso: il M. eseguì la prima illustrazione grafica della Gerusalemme liberata ridotta alla sua vera lettione secondo il proprio originale dello stesso autore … con gli argomenti à ciascun canto di Horatio Ariosti (Ferrara, Biblioteca Ariostea), in cui uno dei primi disegni reca la data «Anno 1580, a. XI. di Giugno». Poco tempo dopo Orazio, posta mano al poema Alfeo, dedicò all’amico M. l’ottava 64 del canto III (Frabetti, p. 61).
Nel corso degli anni Novanta il M. lavorò nel palazzo dei Diamanti per Cesare d’Este, ma è difficile stabilire con precisione in quali ambienti e in quali opere il pittore fosse impegnato.
Baruffaldi (p. 18) riferisce infatti che nel 1598 il M., incaricato di affrescare la porta del Castello verso le Pescherie in occasione dell’ingresso di Clemente VIII in città, dovette per questo lasciare incompiuto «il soffitto d’un camerone con ben nove suoi quadroni». La presenza del M. a palazzo è del resto confermata, pur se vagamente, da documenti modenesi, dai quali si deduce esclusivamente che il pittore era attivo nella cosiddetta stanza del Parto, dove nel 1591 era nato Alfonso III (Frabetti, p. 62).
All’attività di pittore il M. affiancò anche le sue competenze nel campo degli allestimenti di scenografie che, in un centro culturale tanto impegnato nelle realizzazioni teatrali quale fu Ferrara nel Cinquecento, gli fruttarono diversi incarichi.
Nel 1598 diresse i lavori di pittura per gli apparati effimeri celebranti l’arrivo di Clemente VIII, impegnandosi nella decorazione ad armi e fregi di due baldacchini e nell’abbellimento con pitture di porta S. Giorgio (ibid.). Il gusto illustrativo e teatrale e la scorrevole versatilità della sua pittura dovettero essere determinanti per la carriera di scenografo e di decoratore, che costituì senz’altro una buona parte della sua attività. In qualità di decoratore, nello stesso 1598 ricevette un compenso «pel disegno di corami mandato in Piemonte» (Cittadella, 1868).
Le fonti ricordano, tra le opere pittoriche della maturità, un perduto ciclo di affreschi eseguito nella cappella del Rosario in S. Domenico (Baruffaldi, pp. 19 s.; Cittadella, 1784).
Della stesso periodo sono anche il Miracolo di s. Diego commissionato da Amelia Contughi Trotti per la chiesa ferrarese di S. Spirito e la Visitazione per la cappella Monari nella collegiata di S. Biagio a Cento, opere che probabilmente restarono nella bottega per diversi anni prima di giungere a conclusione (Baruffaldi, p. 20).
La Bentini (in Bastianino …, pp. 185 s.) ha ricondotto al catalogo del M. la Madonna in gloria d’angeli della cattedrale di S. Cassiano a Comacchio, caratterizzata da un ammorbidimento della tavolozza, da collocarsi sullo scorcio del secolo, tra le commissioni per S. Paolo a Ferrara e per la collegiata di Cento.
Secondo le fonti, quando il M. cinquantenne rimase vedovo, fu tanto sconvolto da interrompere l’attività artistica (Baruffaldi, p. 22). Secondo altre testimonianze citate nebulosamente da Frabetti (p. 63), pare che dovette fuggire da Ferrara in seguito a un incidente con un Pietro Aldobrandini, primo legato pontificio insediato in città. In ogni caso il pittore si trasferì a Modena presso il duca Cesare d’Este e da questi fu inviato a Parma, dove le sue tracce si perdono, salvo per una pala con la Maddalena trasportata in cielo da angeli, oggi dispersa, ma che fino al 1930 si conservava in duomo nella cappella Baiardi (ibid.).
La tradizione colloca nel 1602 la morte del M., per la quale tuttavia non si conoscono supporti documentari.
Fonti e Bibl: A. Superbi, Apparato de gli huomini illustri della città di Ferrara …, Ferrara 1620, p. 127; G. Baruffaldi, Le vite de’ più eccellenti pittori e scultori ferraresi (1697-1722), II, Ferrara 1846, pp. 5-23; G.A. Scalabrini, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara e de’ suoi borghi …, Ferrara 1773, pp. 12, 36 s.; C. Cittadella, Catalogo istorico de’ pittori e scultori ferraresi e delle opere loro …, II, Ferrara 1784, pp. 188 s.; L.N. Cittadella, Memorie istorico-monumentali-artistiche del tempio di S. Francesco in Ferrara, Ferrara 1867, p. 79; Id., Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara, I, Ferrara 1868, p. 348; M. Novelli, Note ferraresi, in Musei ferraresi, V-VI (1975-76), pp. 51-56; J. Bentini, Il restauro di due tele di D. M. in S. Maria in Vado, ibid., VII (1977), pp. 60-64; C. Tarozzi - M. Simonetti - S. Baroni, Tecnica pittorica e trattamento, ibid., pp. 65-73; G. Frabetti, L’autunno dei manieristi a Ferrara, Ferrara 1978, pp. 56-96 (con bibl.); Bastianino e la pittura a Ferrara nel secondo Cinquecento, a cura di J. Bentini, Bologna 1985, pp. 177-186; L. Scardino, Un documento inedito sulla quadreria Strozzi-Sacrati, in Romagna arte e storia, XVIII (1998), 52, pp. 97-113; V. Fortunati Pietrantonio - S. Colonna, La pittura in Emilia e in Romagna. Il Cinquecento, Milano 1996, II, p. 143; La leggenda del collezionismo. Le quadrerie storiche ferraresi (catal., Ferrara), a cura di G. Agostini - J. Bentini - A. Emiliani, Bologna 1996, p. 147 n. 40; E. Fiori, in La Pinacoteca nazionale di Ferrara. Catalogo generale, a cura di J. Bentini, Bologna 1992, pp. 283 s. n. 315; G. Marcolini, La collezione Sacrati Strozzi. I dipinti restituiti a Ferrara, Ferrara 2005, pp. 112 s. n. 18; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 53.