MIONI, Domenico
MIONI (Mion), Domenico (Domenico da Tolmezzo, Domenico di Candido). – Nacque intorno al 1448 a Tolmezzo, da Candiusso (Candido), cuoiaio, figlio del pittore Giovanni (Quai, 1967). All’inizio del 1462 Candiusso, trasferitosi a Udine, affidò il M. come apprendista al pittore Giovanni del fu Simone di Fanna, conosciuto come Giovanni di Francia (o Francione), pittore e intagliatore originario di Spilimbergo. Questi si impegnò a mantenere il M. per sei anni e a liquidarlo con 10 ducati alla fine del tirocinio (Joppi - Bampo, pp. 3, 7, doc. I). Morto il maestro nel 1467, il M. richiese alle autorità di ottenere l’affrancamento dall’apprendistato con un anno di anticipo rispetto al termine prefissato, per aprire una bottega in proprio. La richiesta dovette andare a buon fine, dal momento che l’anno successivo egli è documentato con la qualifica di maestro (Joppi). Nel 1469 stipulò i patti nuziali con Romea, figlia di un fabbricante di ruote (Joppi - Bampo, pp. 3, 8, doc. II).
Dal matrimonio nacquero sei figli: Franceschina (maritata con il pittore Marco Bello, di origine veneziana), Susanna, Tommasa, Giovanni (che proseguì l’attività paterna), Caterina e Girolamo.
Dalla metà dell’ottavo decennio il M. si impose progressivamente come il più prolifico e apprezzato intagliatore dell’area udinese-carnica, della cui vasta produzione resta un’abbondante documentazione di ricevute e intimazioni di pagamenti (in gran parte pubblicate da Joppi - Bampo), ma un numero relativamente ristretto di esemplari. La prima attestazione risale al 1475, quando il M. realizzò l’ancona del Crocifisso per S. Maria della Pieve di Gemona, cui fece seguito di un paio d’anni l’accordo con la Comunità di Domegge di Cadore per proseguire gli affreschi precedentemente avviati e lasciati interrotti nella cappella di S. Giorgio. Perdute queste opere, il più antico manufatto superstite è la tavola dipinta a tempera, firmata e datata 1479, commissionata dalla Confraternita dei sartori di Udine per l’altare di S. Lucia nel duomo (Udine, Civici Musei) e pagata al M. nel 1480.
La tavola si presenta nella forma di un finto trittico con cimasa, ripartito in scomparti da colonne e trabeazione dipinte: nella fascia inferiore sono raffigurati al centro la Madonna col Bambino e s. Lucia, inquadrati ai lati dai Ss. Ermacora e Fortunato e da S. Omobono e il beato Bertrando di Geniès; in quella superiore, Cristo morto sorretto dagli angeli, due Angeli inginocchiati all’interno delle volute laterali di raccordo, Angelo annunciante e Vergine Annunciata alle estremità. Nel complesso l’opera sintetizza la semplificazione formale tipica della temperie artistica friulana di fine Quattrocento, cui non sono estranei gli esempi di A. Mantegna e dei Vivarini, tradotti tuttavia in un idioma che mantiene una marcata caratterizzazione locale. Moderni elementi di ascendenza veneta, come i fregi lombardeschi che ornano la struttura architettonica o le nicchie prospettiche che ospitano i personaggi, convivono con rimanenze tardogotiche, quali il fondo oro o la pedana poliloba del trono di Maria. Le figure sono concepite con un risalto volumetrico che costituisce un tratto tipico e riconoscibile in tutta l’arte del M., anticipando le serie di santi dei successivi gruppi scultorei e dei polittici lignei, ma conservando, rispetto ai prodotti di intaglio, un’accentuata linearità sottolineata dalle pieghe delle vesti. Tipica è anche l’assenza di toni drammatici, che dona un’inflessione pacata al tema cristologico della Passione, inverata nell’immagine della Pietà e prefigurata in quella dell’Infante che stringe il simbolico cardellino, cui si intreccia il ruolo di intercessione dei santi, incardinati nell’istituzione ecclesiastica aquileiese. Al dipinto si possono avvicinare altre due tavole (Udine, Civici Musei), raffiguranti un Angelo armato di spada e Re David penitente, probabili frammenti di un polittico, che sviluppano un tema biblico (2 Sam, 24, 17) legato alla peste (Bergamini, 2002).
A parte questi rari esemplari su tavola, l’attività pittorica del M. (che nei documenti è costantemente menzionato con l’epiteto di «depentor») si fuse pienamente con quella scultorea. Ne offre testimonianza il polittico eseguito per la pieve di S. Pietro a Zuglio, commissionato nel 1481, in corso d’opera nel 1482, stimato da periti nel 1484 e recante, accanto alla firma del M., una data mutila da leggere probabilmente come 1483.
Il complesso consta di un unico corpo con predella e con due ordini sovrapposti di nicchie, entro le quali sono ospitate statue in legno dipinto e dorato, che, trafugate nel 1981, sono state sostituite da copie (Zambon; Pignagnoli). In origine erano raffigurati i Padri della Chiesa nella predella, S. Pietro attorniato da sei apostoli nel registro mediano, la Madonna col Bambino tra altri sei apostoli in quello superiore. A differenza della pala di S. Lucia, la struttura è di impronta gotico-fiammeggiante, con un fastoso coronamento a guglie e fogliami su cui si stagliano figurette di Profeti; inoltre, la suddivisione in scomparti isola ciascun personaggio dagli altri, annullando ogni forma di dialogo e di unificazione spaziale. Tuttavia l’equilibrio cromatico e proporzionale fra le parti conferisce all’insieme un effetto di armonia incentrato sulla naturalezza delle figure, colte in atteggiamenti composti e rapportate agli spazi delle nicchie, delimitati da archetti a tutto sesto.
Queste caratteristiche formali contraddistinguono l’intera produzione del M., le cui opere manifestano una notevole coerenza stilistica lungo l’intero arco della sua carriera. Reiterando forme e atteggiamenti, egli si concentra sulla regolarità dei movimenti, sulla compattezza dei volumi, sulla piacevolezza dei volti, come appare nel sobrio ed elegante trittico raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Sebastiano (collezione privata, già castello di Filacciano), firmato e datato 1484. Analoghe qualità si riscontrano nel gruppo scultoreo della Madonna col Bambino (Dilignidis, frazione Socchieve, S. Gottardo), firmato e datato 1486, dove si apprezza anche la funzione del colore, che non viene mai subordinato all’intaglio bensì ne costituisce parte integrante, tanto che alcuni dettagli dei volti sono interamente affidati al pennello.
Nel nono decennio si segnalano ancora alcune opere documentate ma perdute, come una pala per S. Maria di Buja (1481), una statua di S. Rocco per i Ss. Rocco e Sebastiano a Zugliano (1483), un’ancona per S. Ilario a Enemonzo (1484), un polittico per la chiesa parrocchiale di Forni di Sotto (1485). Ancora in situ è invece il polittico nella pieve di S. Maria Maddalena a Invillino, databile al 1488 grazie a una serie di pagamenti (Quai - Bergamini, p. 38), nel quale sono raffigurati, all’interno di una struttura tipologicamente identica a quella di Zuglio, soltanto ridotta nelle dimensioni, S. Maria Maddalena tra quattro santi (registro inferiore) e la Madonna col Bambino tra quattro sante a mezzo busto (registro superiore). Dello stesso anno è anche la Madonna col Bambino nella chiesa della Madonna sul Monte a Zuglio.
A queste date il M. sembra essersi ormai affermato come uno dei principali artisti udinesi. Per la sua bottega passa un apprendista di talento, quale Martino da Udine (meglio noto come Pellegrino da San Daniele), che sarà uno dei principali esponenti della pittura friulana di inizio Cinquecento. Il M. lo accolse dopo un primo tirocinio presso Antonio da Firenze, accusato di molestie contro il giovane e sottoposto a un processo cui lo stesso M. presenziò come testimone nel maggio 1489 (Joppi - Bampo, pp. 27 s.).
Nel medesimo anno, oltre a un perduto polittico per S. Croce a Baseglia di Spilimbergo, apparentemente simile nella struttura a quello di Invillino, realizzò la Madonna col Bambino per S. Maria a Cormons (ora Cjase de Plêf Antighe, Raccolte d’arte S. Adalberto), altro insigne esempio di misura ed equilibrio, in cui il M. conferisce monumentalità ai corpi torniti, compensando la mancanza di approfondimento interiore con un senso di solenne concentrazione emotiva, appropriata alla funzione devozionale delle opere.
Nell’ultimo decennio del secolo la sua attività fu molto intensa, come attestato da un numero elevato di lavori di cui resta traccia soltanto nei documenti: un altare ligneo per S. Pietro a Buja (1492), ancone per S. Michele a Vidulis (1493) e per S. Lorenzo a Sottoselva (1494); una statua di S. Floriano per Grions di Sedegliano, un’opera non specificata per la chiesa di Pozzecco, ancone per S. Maria a Tomba di Mereto, per la chiesa di Orgnano e per la Confraternita di S. Giovanni di Codroipo, quest’ultima raffigurante S. Giovanni Battista tra i ss. Giovanni Evangelista e Zaccaria (tutte del 1495); un’ancona per S. Ilario a Enemonzo (1496); un polittico a tre ordini per la chiesa di Villaorba e un altro per Pozzo di Codroipo (1497); ancone per S. Vitale a Mariano e per S. Lorenzo a Talmassons (1498); due statue di S. Sebastiano e S. Rocco per Ontagnano e un’ancona per Ariis (1499).
Fra le opere di questo periodo sopravvivono la Ss. Trinità nell’omonima chiesa di Coltura di Polcenigo, firmata e datata 1494, e il polittico di S. Floriano a Illegio, i cui pagamenti si riferiscono al 1497, ennesima declinazione di uno schema oramai consolidato, con S. Floriano e la Madonna col Bambino collocati al centro dei due rispettivi ordini e affiancati da effigi di santi. Sullo scadere del secolo può essere collocato anche il polittico della parrocchiale di Forni di Sopra, in cui un plastico e movimentato gruppo di Maria col Bambino è sormontato, come nella pala di S. Lucia, da quello di Cristo morto sorretto da angeli.
Allo schiudersi del nuovo secolo il M. risulta attivamente coinvolto nella vita politica udinese, trovandosi a far parte del Consiglio della Comunità fra 1496 e 1501, nonché intervenendo alla Convocazione (o Consiglio minore) in qualità di deputato dell’ordine popolare nel 1501. Nel frattempo proseguì con incessante fervore l’attività artistica, che raggiunse uno dei suoi vertici nel S. Martino e il povero della chiesa di S. Martino a Ovaro, generalmente ricondotto attorno al 1500 e assimilabile all’analogo gruppo già nella parrocchiale di Pelos di Cadore (ora disperso). Databile a questi anni è anche il polittico a sei scomparti, Madonna col Bambino e santi, in S. Michele al Cimitero a Carpeneto, ancora custodito nella cassa originale, nel quale, all’interno di uno schema semplificato e ridotto che dà nuovo risalto alle masse corporee delle figure, si vuole riconoscere un consistente intervento di collaboratori.
Numerose altre opere perdute sono documentate nei primi anni del Cinquecento: un’ancona per Ss. Maria e Zenone a Corona (1500); altre due per S. Daniele a Mereto di Tomba e per la chiesa di Flambro (1501); un’opera imprecisata per il duomo di Venzone, un’ancona per S. Tommaso a Perteole (raffigurante nel mezzo un tabernacolo del corpo di Cristo e le figure di Maria e dei ss. Tommaso, Andrea, Rocco, Sebastiano), una per S. Tommaso a Villanova (Incoronazione della Vergine con altre figure), un altare per Caporiaccio (tutti del 1502); ancone per Canussio, S. Giacomo a Fagagna, S. Martino a Nogaredo di Prato, S. Pietro Martire a Udine e la chiesa di Pozzuolo (1503); altre due per S. Domenico a Ziracco e S. Marizza di Varmo (1504); una per la Confraternita di S. Cristoforo a Udine (1505), alla quale fu iscritto nel 1505-06; un’ancona per Villaorba, un trittico con i Ss. Vincenzo, Bartolomeo e Martino per i Ss. Marco e Tommaso a Vergnacco, forse un altare per S. Andrea a Strazzis, uno per la chiesa di Trezzo e un’ancona per Pozzuolo (1506).
La data della morte del M., presumibilmente avvenuta a Udine, si ricava da un documento del dicembre 1507, in cui i figli, in qualità di eredi, riscuotono il pagamento per un’ancona realizzata dal defunto padre per la chiesa di Vergnacco (Joppi - Bampo, p. 6).
Giovanni, figlio del M., nato probabilmente a Udine intorno al 1485, proseguì l’attività artistica del padre e ne rilevò la bottega, come attestato dal fatto che ancora nel 1509 incassava un compenso per una pala eseguita dal M. per la chiesa di Villaorba (ibid.). Giovanni morì nel 1531 presumibilmente a Udine dopo una carriera di discreto successo. La sua opera più rappresentativa è l’ancona in legno dipinto realizzata nel 1509 per S. Maria dei Battuti a Valeriano (Pordenone, Museo civico d’arte), raffigurante l’Adorazione della Trinità nella predella, il Compianto su Cristo morto nel registro mediano, la Madonna col Bambino in trono e i ss. Giovanni Battista, Stefano, Lorenzo e Valeriano in quello superiore. Rispetto alle creazioni del M., questa si distingue per la scomparsa di suddivisioni interne nell’impianto architettonico, cui fa riscontro l’adozione di uno spazio unificato nella scena centrale; qui le figure si profilano contro uno sfondo dipinto e acquistano una caratterizzazione fisionomica e un piglio narrativo sconosciuti all’arte del M., pur senza eccedere in drammaticità. Anche il repertorio di candelabre e mascheroni e le sfingi che ornano le volute manifestano l’adesione a un lessico figurativo aggiornato sugli esempi del primo Rinascimento veneziano.
Il ruolo centrale della famiglia Mioni nel panorama artistico friulano è sancito inoltre dall’attività di Martino, fratello del M., che tra il 1480 e il 1490 abbandonò il mestiere paterno per abbracciare l’arte dell’intaglio e della pittura. Trasferitosi a Udine, eseguì numerosi lavori per chiese in quell’area e fino in Carnia, di cui resta soltanto una Madonna con Bambino proveniente dalla chiesa di Orgnano (Udine, Civici Musei), firmata e datata 1498, in linea con la produzione del fratello, con il quale probabilmente collaborò più volte. Morì anch’egli nel 1507, lasciando la bottega ai figli. Quattro di questi furono artisti: Vincenzo, documentato fra 1501 e 1527; Giovanni, conosciuto con il cognome Martini, che si distinse soprattutto come pittore divenendo uno tra gli artisti friulani più noti del primo Cinquecento; Paolo detto di Martino, documentato dal 1524 al 1546; Giacomo detto di Martino, documentato dal 1518 al 1541.
Fonti e Bibl.: V. Joppi - G. Bampo, Nuovo contributo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori e intagliatori friulani, Venezia 1887, pp. 1-12, 27 s.; V. Joppi, Contributo quarto ed ultimo alla storia dell’arte nel Friuli ed alla vita dei pittori, intagliatori, scultori, architetti ed orefici friulani, Venezia 1894, p. 15; F. Quai, Precisazioni su D. da Tolmezzo, in Quaderni della Face, 1967, n. 32, pp. 6-8; G. Nicoletti, D. da Tolmezzo, Udine 1969 (con bibl.); F. Quai - G. Bergamini, Documenti per lo studio dell’arte in Friuli nei secoli XV e XVI, in Sot la nape, XXXV (1983), 1, pp. 37-39; 2-3, pp. 29-31; F. Quai, Arte e pietà nelle speziarie: D. da Tolmezzo - 1501, in Quaderni della Face, 1988, n. 73, pp. 55-58; F. Dell’Agnese, in Il Museo civico d’arte di Pordenone, a cura di G. Ganzer, Vicenza 2001, pp. 86 s.; G. Bergamini, in La Galleria d’arte antica dei Civici Musei di Udine, I, Dipinti dal XIV alla metà del XVII secolo, a cura di G. Bergamini, Vicenza-Udine 2002, pp. 56-59; Id., Andrea Bellunello e la scultura lignea in Friuli nel XV secolo, in A Nord di Venezia. Scultura e pittura nelle vallate dolomitiche tra gotico e Rinascimento (catal., Belluno), a cura di A.M. Spiazzi et al., Cinisello Balsamo 2004, pp. 258-260; E. Francescutti, ibid., pp. 276 s.; G. Pignagnoli, Analisi tecnica, stato di conservazione e restauro dell’altare di D. da Tolmezzo di S. Pietro a Zuglio (1483), in Vultus Ecclesiae, V (2004), pp. 63-67; L. Zambon, D. da Tolmezzo: sulle tracce del capolavoro negato; vicende storiche, ipotesi ricostruttive e restauro della pala di D. M. per la pieve di S. Pietro in Carnia, ibid., pp. 57-61; P. Pastres, La scultura lignea rinascimentale nell’Alto Friuli: sulle tracce dei protagonisti, in Sot la nape, LX (2008), 2, pp. 5-12; Allgemeines Künstlerlexikon (SAUR), XVI, pp. 115 s. (con bibliografia).
G. Tagliaferro