MILELLI, Domenico.
– Figlio di Giuseppe, nacque a Catanzaro il 25 febbr. 1841.
Il M. si formò in Calabria, dapprima nel seminario della sua città e poi presso il collegio degli scolopi a Crotone, dove fu educato al classicismo. Fuori dalle aule scolastiche, tuttavia, ben presto fece esperienza del romanticismo, che non sarebbe stato mai del tutto estraneo alla sua produzione letteraria. Terminati gli studi, lasciò la Calabria – dove sarebbe tornato solo saltuariamente – dando inizio a quei frenetici e irrequieti spostamenti che lo portarono a vivere in diverse città italiane (da Milano a Palermo, passando per Bologna, Genova, Firenze, Roma, Napoli, la Puglia e Catania). Tale nomadismo fu uno fra gli aspetti della sua esistenza scapigliata: scevro dal cercare il successo, il M. preferì vivere alla giornata, frequentando le osterie «in cui si invocavano i pugnali per uccidere i tiranni» e i circoli antimonarchici diffusi in tutta la penisola.
La polemica sociale, che il M. interpretò come scontro anche fisico tra ricchi e poveri, fu chiara e scoperta fin nei suoi primi componimenti e gli valse le lodi, fra gli altri, di F. Turati: «Neviga il verno, nel tugurio muore / il poverello; / Finì per fame; briaco il signore / Compera baci e spasima in bordello» (dal Prologo alla prima raccolta di versi del M.: In giovinezza, Catanzaro 1873).
Nelle sue continue peregrinazioni, il M. andò in cerca di quei poeti la cui fama lo aveva raggiunto nella provincia in cui era nato. A Milano divenne amico di I.U. Tarchetti, alla morte del quale ne riunì le poesie nel volume Disjecta (Bologna 1879); in quello stesso anno diede alle stampe Gioconda (Ragusa 1879), storia di una ragazza rapita, sedotta e venduta, che molto ricorda la Paolina (Milano 1866) di Tarchetti. Ma fu a Bologna che il M. fece un incontro determinante per la sua vita, divenendo allievo di G. Carducci, il cui nome promise di portare «sempre nel core sigillato con filiale gratitudine» (cfr. Verde antico, Roma 1885, p. XVI). Da Carducci, che gli raccomandò di liberarsi da suggestioni e ascendenze romantiche comprese quelle derivanti da G. Leopardi e A. Manzoni, il M. apprese l’anticlericalismo, il satanismo e la blasfemia («È parola di Dio la ghigliottina», scrive in Non essere ed essere, per cui cfr. In giovinezza).
Vicino per gli ideali, ma soprattutto per lo stile di vita, alle realtà ai margini della società, il M. frequentò tuttavia anche alcuni salotti letterari, tra cui spiccano quelli della contessa Clara Maffei (Chiara Carrara Spinelli) e dell’editore A. Sommaruga, riuscendo ad acquisire un certo peso nei circoli vicini a G. Prati e ad A. Aleardi. E proprio agli esiti romantici di questi due poeti, che furono tra i suoi più cari amici, si rifanno le sue prime opere, tra cui la citata raccolta In giovinezza, nella quale è presente altrimenti una vena realistica. In una dimensione di più ampio respiro, maturò invece il Canzoniere (Roma 1884), influenzato dalla lettura di Ch. Baudelaire e A. de Musset. Sempre in quel periodo il M. fece parte della redazione di Cronaca bizantina, la celebre rivista pubblicata a Roma da Sommaruga cui collaborarono personaggi di primo piano del mondo letterario italiano. Proprio allo spregiudicato editore si deve l’ideazione dello pseudonimo «Conte di Lara» (con il quale il M. pubblicò la raccolta Rime, ibid. 1884) che, con ogni evidenza, sperava di sfruttare la popolarità di un’altra sua autrice, Eva Cattermole Mancini, conosciuta appunto come «Contessa Lara» e sempre oggetto di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica per la sua vita scandalosa.
Tuttavia l’attività del M. non si limitò alla sola scrittura di versi o di articoli di giornale; anche se per brevi periodi, fu conferenziere, dicitore di versi, custode di monumenti, traduttore, professore di letteratura e direttore di ginnasio.
Insofferente alle regole di ogni tipo, versò perennemente in condizioni economiche precarie: da professore «[…] non faceva lezione e litigava coi colleghi e col preside o si faceva imprestare danaro dagli alunni e dai bidelli» (Stiavelli). Proprio affinché potesse essere nominato professore in qualche liceo del Regno, il ministero della Pubblica Istruzione gli chiese di esibire un titolo di studio: sprezzante come sempre amava essere nei confronti di ogni autorità, il M. rispose che lo aveva perso combattendo al Volturno. Tali atteggiamenti lo portarono in più occasioni ad aggravare ulteriormente la sua condizione, in specie nel 1896 quando si ritrovò malato e senza soldi. Il mondo letterario si mobilitò, allora, in suo soccorso e molti amici gli inviarono aiuti: tra questi, oltre a M. Rapisardi che gli spedì un intero mese di stipendio, vi fu Carducci, maestro e amico di un tempo, nonostante i rapporti tra i due, dopo l’avvicinamento del poeta alla monarchia, si fossero definitivamente deteriorati.
Così, se Carducci poté scrivere nel biglietto di accompagnamento «Mando non pel Milelli, che non merita nulla, mando per quei poveri figli che il Milelli non ha saputo educare», questi, dal canto suo, dimenticando l’eterna gratitudine promessa in gioventù, rispose con dei versi pieni di acredine, rimandando al mittente le 10 lire ricevute (v. Cianflone, pp. 29 s.).
Tra il 1883 e il 1903 il M. lavorò alla raccolta Kokodè: rapsodia (Ragusa 1903): sorta di autobiografia in cui un amaro bilancio esistenziale si coniugava con l’altrettanto amara e consapevole fine della gioventù, trascorsa invocando la Repubblica e Satana. Alla delusione per l’Italia postunitaria, così lontana dai suoi sogni e dalle sue aspirazioni, rassegnato contrappose ironici consigli opportunisti per i posteri.
Il M. morì a Palermo il 23 dic. 1905.
Altre opere: Ad Ugo Foscolo (Catanzaro 1864); Foglie di cipresso (Mirandola 1866); Cantina politica a Giulia Centurelli (ibid. 1867); Introduzione al corso di letteratura sulla filosofia dell’arte (Catanzaro 1869); Hjemalia (Milano 1877); Odi pagane (ibid. 1879); Odi alla povertà (Bologna 1879); Discerpit (Ravenna 1881); Il ratto di Elena (Catanzaro 1882); Mescolanza (Roma 1886); Nuovo canzoniere (Cosenza 1888); Il libro delle prose (Casalbordino 1889); Rottami (Milano 1890); Risonanze (Napoli 1891); Poemi antichi (Cosenza 1894); Prometeo (Caserta 1899); Laocoonte (Aquila 1899); Poemi de la notte (Caserta 1899); Pellegrinaggio breve (Ragusa 1903); Gemme sparse (Napoli 1906).
Fonti e Bibl.: V. Della Sala, Profili meridionali, Roma 1886, pp. 85-99; F. Paternostro, Il libro dei poemi di D. M., in Il Pensiero contemporaneo, 1899, n. 1, p. 12; G. Stiavelli, L’ultimo poeta bohémien, Roma 1906; G. Patari, L’opera poetica di D. M., Cosenza 1912; B. Croce, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in Id., La letteratura della Nuova Italia, IV, Bari 1915, p. 344; E. La Face, D. M., Messina 1922; G. Cianflone, D. M., Palmi 1933; F. Flora, Storia della letteratura italiana, Milano 1957, pp. 202 s.; G. Mariani, Storia della scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1967, pp. 44, 369, 786, 788, 852; La letteratura italiana. Storia e testi (Laterza), VIII, 2, L. Bolzoni, Il secondo Ottocento: lo Stato unitario e l’età del positivismo, Roma-Bari 1975, p. 372; P.C. Masini, Poeti della rivolta, Milano 1978, p. 129; M. Montanile, Unità d’Italia e separatezza calabrese in un bozzetto di D. M., in Per una idea di Calabria. Immagini e momenti di storia calabrese. Atti del Convegno … 1981, a cura di P. Falco - M. De Bonis, Cosenza 1982, ad ind.; P. Crupi, Storia della letteratura calabrese: autori e testi, III, Ottocento, Cosenza 1995, pp. 101-113; A. Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza 1996, I, pp. 403-407; L. Aliquò Lenzi - L. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Diz. bio-bibliografico, Reggio Calabria 1955, pp. 207-214.
P. Posteraro