MAZZOCCHI, Domenico
– Nacque a Civita Castellana, non lontano da Viterbo, nel 1592 da Ostilio e da Girolama di Marta; fu battezzato l’8 novembre nella cattedrale.
La famiglia era di ceto popolare ma non priva di mezzi economici; i Mazzocchi, che figurano nei registri parrocchiali di Civita Castellana per 198 volte tra il 1575 e il 1798 (Cardinali, p. 7), provenivano forse da una località sulla via Cassia presso Vetralla, detta Mazzocchio, che potrebbe aver dato il cognome alla famiglia (Schrammek, p. 25). La madre del M. proveniva dalla diocesi di Sutri.
Il M. studiò nel seminario diocesano di Civita Castellana; sulla sua formazione potrebbe aver influito la personalità del colto vescovo A. Longhi. Nel seminario ebbe la tonsura clericale nel 1605 e gli ordini minori l’anno seguente. Di certo proseguì gli studi letterari e filosofici, ma mancano notizie fino al 28 genn. 1614, quando il M., insieme con altre 52 persone (nove di Civita Castellana), ottenne la cittadinanza romana dal Consiglio segreto del Senato di Roma. Il trasferimento a Roma, forse già prima del 1614, coincise probabilmente con i suoi studi musicali, peraltro non documentati. Forse fu allievo di B. Nanino, che era nativo di Vallerano, in diocesi di Civita Castellana. Prima del febbraio 1619 all’Università romana della Sapienza conseguì il titolo di iuris utriusque doctor, titolo che, al momento del conferimento degli ordini maggiori da parte del vescovo di Civita Castellana I. Fabriani, il M. già possedeva. Il 30 marzo fu ordinato sacerdote nella cappella del palazzo vescovile.
Nel 1621 entrò al servizio del cardinale Ippolito Aldobrandini. Da allora visse a Roma in palazzo Aldobrandini come membro della «famiglia» del cardinale Ippolito, del principe Giovanni Giorgio, e poi della principessa Olimpia, figurando nei ruoli della casata tra coloro che avevano diritto, oltre allo stipendio, a «pane, vino e companatico di palazzo» (Annibaldi). L’anno di inizio del servizio presso gli Aldobrandini si ricava da quanto scrisse egli stesso nelle Musiche sacre e morali del 1640 dedicandole a Olimpia: «Sono hormai venti anni, ch’io consacrai me medesimo allo splendore della casa di V. E.». Il rapporto potrebbe tuttavia essere nato in precedenza: il cardinale Pietro Aldobrandini, zio di Ippolito e di G. Giorgio, fin dal novembre 1600 era stato governatore di Civita Castellana; al suo patrocinio vanno forse ricondotte le giovanili vicende del M. a Roma. Ma è nel 1621 che, attraverso le nozze di G. Giorgio con Ippolita Ludovisi, gli Aldobrandini, imparentatisi con il papa regnante (Gregorio XV), tornarono al centro della scena politica. Morto il cardinale Pietro nel febbraio 1621, Ippolito, fatto a sua volta cardinale il 19 aprile, assunse stabilmente il M. al proprio servizio con mansioni di segretario: l’attività musicale, svolta per gli Aldobrandini o altrove, fu un di più, ma tale da assicurargli stima e fama.
Come compositore, il M. compare per la prima volta tra gli «eccellentissimi autori» della Raccolta di varii concerti… (Roma 1621), un’antologia di musica profana edita dallo stampatore G.B. Robletti: due arie strofiche, per soprano («per la sig. C. C.C.») e per tenore; l’antologia, aperta da musiche di Nanino, rimanda agli ambienti musicali attivi presso i cardinali A. Peretti Montalto e S. Borghese. Il M. comparve poi nell’antologia mottettistica Sacri affetti contesti, curata da F. Sammaruco e pubblicata a Roma all’inizio del 1625; l’antologia, comprendendo autori dell’Italia settentrionale ed essendo dedicata al cardinale di Trento C. Madruzzo, fu diffusa al di là dell’ambito romano. Con ogni probabilità il M. prese parte nell’agosto dello stesso anno a una festa data dal cardinale Ippolito nella villa Aldobrandini di Frascati, in cui cantò L. Vittori. Subito dopo compose il melodramma La catena d’Adone, lavoro di grande rilievo artistico e documento di una linea ideologica divergente da quella voluta da papa Urbano VIII Barberini.
Il soggetto, ridotto a libretto teatrale («favola boschereccia») da O. Tronsarelli, era infatti tratto dall’Adone di G.B. Marino, poeta tanto avversato da papa Barberini quanto amato dagli Aldobrandini, memori degli anni trascorsi da Marino presso il cardinale Pietro. Marino era morto nel 1625 e Urbano VIII stava facendo esaminare l’Adone dai teologi del S. Uffizio: produrre un’opera tratta da quel poema era dunque un gesto di forte significato. Senza dubbio la fine cultura del M., aperta allo sperimentalismo modernista di Marino, ebbe parte precipua nell’operazione. Complesse furono le vicende della rappresentazione, che non si tenne nel palazzo degli Aldobrandini bensì in quello di E. Conti presso la torre delle Milizie; nello spettacolo, che in un primo tempo prevedeva l’intervento di canterine poi sostituite da evirati, furono introdotte arie e «mezz’arie» per rompere «il tedio del recitativo» (secondo le parole del M. stesso nella partitura a stampa); lo spettacolo fu arricchito da un magnifico allestimento scenico, diretto dal Cavalier d’Arpino (G. Cesari), con il primo uso noto a Roma dei periaktoi per le mutazioni di scena a vista. Per le sette recite del febbraio 1626 il cardinale Ippolito ottenne dal cardinale F.M. Del Monte, protettore della Cappella pontificia, i celebrati cantori Vittori, L. Sanci, F. Bianchi e B. Nicolini. Si stamparono l’«argomento» dell’opera e il libretto, che ebbe in pochi mesi quattro edizioni; nella prima si ricorda la presenza tra il pubblico dei «principi, e principesse di Roma» insieme con quella dell’«Invidia», sconfitta dal «Plauso». In effetti il patriziato romano intervenne alle recite e le applaudì, come confermano gli Avvisi del tempo, che però non citano alcun cardinale. Di «molti cardinali», nonché dei «nepoti pontificii» parla invece una lettera del patrizio veneto A. Donato, presente alla prima rappresentazione (Witzenmann, 1970, p. 16). Poiché l’opera spiacque al papa, non è improbabile che abbia contribuito a far mettere il poema di Marino nell’Indice dei libri proibiti (1627). Dato il clima di riprovazione che spirava dall’alto, si ritenne opportuno inserire nell’edizione originale del libretto una stiracchiata Allegoria della favola di tono moralizzante, riprodotta anche nella partitura a stampa.
Nell’estate del medesimo 1626 il M., al seguito del cardinale Ippolito, fu alla corte di Parma, dove si rinsaldarono i tradizionali legami tra i Farnese e gli Aldobrandini. Poiché a Parma furono eseguiti e apprezzati alcuni brani della Catena d’Adone, il M., recatosi a Venezia per curare l’edizione a stampa della partitura, la dedicò al duca Odoardo Farnese (24 ott. 1626). Anche la scelta di stampare l’opera a Venezia, presso A. Vincenti, sembra un indizio di opportuna prudenza (ibid., p. 20).
Sporadiche le notizie sul M. negli anni successivi. Nel 1629 una sua aria fu pubblicata a Roma da Robletti nell’antologia Le risonanti sfere. Due anni dopo fu, al seguito del cardinale Ippolito, alla villeggiatura di Frascati insieme con i cantori Vittori, Bianchi e Nicolini, suoi amici. Sempre a Frascati Ippolito ospitò, nel giugno 1634, tre cardinali e l’ambasciatore di Spagna, ai quali fu offerta una «dilettevole opera pastorale», lodata per l’eccellenza dei musici (Avvisi di Roma, in Ademollo) e probabilmente composta dal Mazzocchi. A questa fase risale anche il perduto (tranne alcuni brani) oratorio Coro di profeti, eseguito nella sala dei filippini alla chiesa Nuova per la festa dell’Annunciazione di un anno anteriore al 1638; è anzi credibile che esso sia al più tardi del 1632, anno in cui G. Ciampoli, autore del testo poetico, fu allontanato da Roma da Urbano VIII, del quale era stato segretario. Molto giovò al M. la carriera di suo fratello Virgilio, che nel 1635 entrò al servizio del cardinale F. Barberini, nipote del papa. Il M. prenderà parte alle accademie musicali presso quel colto mecenate, entrando in rapporti di reciproca stima con G.B. Doni e accogliendone le idee sui generi e modi della musica antica. Tramite il cardinale Barberini trovò favore anche presso Urbano VIII. Come già altri musicisti prima di lui, prese a comporre le poesie latine del pontefice, che nell’ottobre 1637 gli assegnò un beneficio di 36 scudi annui sulla chiesa parrocchiale di Aversa.
Nel 1638 furono pubblicate tre sue importanti raccolte (i Dialoghi e sonetti, dedicati al cardinale Ippolito, i Madrigali, dedicati al cardinale Barberini, e gli Urbani VIII… poemata, consacrati al papa), originali sia per modernità delle musiche sia per veste editoriale, curata dal M. in ogni dettaglio. Nel luglio dello stesso 1638 morì il cardinale Ippolito lasciandogli una pensione vitalizia di 50 scudi annui. Il principe G. Giorgio era morto l’anno prima (il M. ne onorò la memoria ponendo in musica suoi versi nei citati Dialoghi); il compositore passò quindi al servizio della figlia, l’adolescente Olimpia, a sua volta amante di lettere e musica. Pochi giorni dopo la morte del cardinale Ippolito, Olimpia sposò Paolo Borghese. All’una e all’altro il M. dedicherà propri lavori: nel 1640 le Musiche sacre e morali a Olimpia, definita «una Pallade da Dio prodotta», l’anno dopo un dramma agiografico a Paolo. Uscivano intanto altre sue opere: sempre nel 1640 un componimento a 3 voci (Volga al ciel le luci, e ’l core), sorta di cantata spirituale, nella Raccolta d’arie spirituali curata a Roma da V. Bianchi, nel 1641 l’Aeolus, tratto dall’Eneide. Tra il 1640 e il 1645 il M. adottò un piccolo orfano romano, Ilario Raveri, del quale curò l’educazione e che fece proprio erede; Ilario sarà sacerdote e nel 1665 entrerà al servizio come maggiordomo e uomo di fiducia del cardinale F.M. Mancini.
Prima del 1645 l’attività compositiva del M. si era sostanzialmente conclusa. Se in gran parte essa si svolse nel quadro dei suoi rapporti con gli Aldobrandini, certo egli fu presente anche in altri ambienti musicali della città, in particolare nelle esecuzioni per le maggiori feste della basilica di S. Pietro, dove tra il 1628 e il 1640 è documentata la sua assidua partecipazione come direttore di uno dei «cori» in cui erano ripartiti gli esecutori. Fu maestro di cappella dell’Arciconfraternita degli Angeli Custodi, favorita dalla principessa Olimpia; nel 1636 diresse le musiche per la loro festa in presenza del protettore, cardinale Maurizio di Savoia. Oltre a comporre per il complesso di viole del cardinale Barberini alcuni dei suoi Madrigali, fu di certo attivo per l’oratorio della chiesa Nuova; compose alcuni mottetti latini probabilmente destinati all’oratorio del Ss. Crocifisso (Sacrae concertationes, 1664); alcune sue composizioni furono scritte per l’Arciconfraternita della Trinità dei pellegrini, protetta dal cardinale Ippolito, e per il monastero delle convertite al Corso.
Un esplicito atto d’amore verso la sua città natale fu il dramma agiografico del 1641, del quale è perduta la musica ma resta il libretto; vi si narra il martirio dei santi patroni di Civita Castellana, nella cui cattedrale, per iniziativa dello stesso M., l’opera fu rappresentata il 16 sett. 1641 per esser poi replicata nelle sale dei palazzi romani. Era un vero melodramma, con dieci personaggi, cori e balli. Il testo poetico fu scritto a sua esplicita richiesta dall’amico Tronsarelli; il libretto fu pubblicato a cura del M. e ornato da un’antiporta incisa dal suo compatriota G. Sasso. Una posteriore copia manoscritta del libretto (forse preparata per una ripresa dell’opera voluta dal cardinale P. Ottoboni) riporta l’organico strumentale originale.
Il soggiorno in patria spinse il M. a occuparsi dell’antichità di Civita Castellana; a questi studi si dedicò per anni, trascurando la musica: isolati sono due componimenti editi a Bracciano da F. De Silvestris nell’antologia di Ariette del 1646. Nello stesso anno usciva il saggio Veio difeso, dedicato dal M. ai conservatori e popolo di Civita Castellana, la quale veniva da lui identificata con l’antica Veio, già collocata in altri disparati luoghi dagli umanisti e antiquari rinascimentali. La sua ipotesi fu però confutata l’anno dopo da F. Nardini.
Ne scaturì, per quasi un ventennio, una garbata ma insistita polemica con scritti dall’una e dall’altra parte. L’obiezione principale all’ipotesi del M. era quella dell’eccessiva distanza di Civita Castellana da Roma rispetto alle misure che gli autori antichi indicavano per Veio; nell’ultimo suo lavoro al riguardo, il Supplimento del 1663, dedicato al cardinale Mancini, egli cercò di superarla pubblicando in appendice un Syntagma dell’erudito cinquecentesco G. Castiglione, che per primo aveva sostenuto l’identità di Veio con Civita Castellana. Ma l’opinione di Nardini, che collocava Veio presso l’odierna Isola Farnese, prevalse già all’epoca presso studiosi di fama come L. Holstenius (L. Holste) e R. Fabretti, e sarà confermata, a partire dal 1760, dai rinvenimenti archeologici.
Prima ancora della pubblicazione del Veio difeso era morto il fratello Virgilio (3 ott. 1646), per il quale il M. dettò una bella iscrizione commemorativa, tuttora esistente nella cattedrale di Civita Castellana; in essa (e altrove) il M. adottò uno stemma familiare raffigurante una pianta fiorita, forse di cicoria («mazzocchio»). L’anno seguente la principessa Olimpia, rimasta vedova, sposò C. Pamphili, nipote del nuovo papa Innocenzo X. A quel principe il M. dedicò nel 1653 un’apologia della sua ipotesi su Veio. Aveva intanto curato, tramite il prestanome F. Benedetti, la pubblicazione degli inediti Psalmi del fratello Virgilio (1648), del quale pubblicò un mottetto all’interno delle Sacrae concertationes in cui dava alle stampe propri mottetti e dialoghi per oratori latini composti molti anni prima. Dagli Aldobrandini ebbe un beneficio sull’altare maggiore della chiesa di S. Nicola in Carcere, di patronato di quella famiglia, e da Innocenzo X una pensione annua di 30 scudi (1651). Il 23 marzo 1661 fece testamento, annullando quello precedente, del 1654.
Il M. morì a Roma nel suo appartamento in palazzo Aldobrandini il 21 genn. 1665. Per sua espressa volontà, fu sepolto nella chiesa della Maddalena (santa da lui amata, personaggio di diverse sue composizioni) dei padri ministri degli infermi, con servizio funebre cantato.
Oltre ad alcuni legati, lasciava erede dei beni romani il figlio adottivo Ilario, e di quelli di Civita Castellana il cugino Lorenzo. Nella cattedrale di Civita Castellana si era preparato un sepolcro marmoreo con iscrizione, lì rimasto almeno fino al 1738 e poi distrutto durante dei lavori di restauro. Già in vita fu lodato dall’Eritreo (G.V. Rossi), da P. Della Valle, da A. Kircher, da Doni; questi lo unì al fratello Virgilio nel riferire la stima generale che li circondava «per l’eccellente perizia […] d’ogni sorte di musica» e più ancora per la loro «natural modestia e gentilezza di costumi» (Annotazioni sopra il compendio de’ generi e de’ modi della musica, Roma 1640, p. 339). Alcuni decenni dopo la morte fu considerato da G.O. Pitoni «celebre e stimatissimo compositore di camera», stile in cui «mostrò la vivacità del suo grand’ingegno».
Vissuto nell’età di transizione dalla polifonia osservata allo stile concertato, il M. fu un dichiarato seguace del gusto «moderno», non solo nelle nuove forme monodiche con basso continuo, ma anche nella ricerca espressiva della «musica erudita», usando il genere cromatico e sperimentando quello enarmonico. Nell’unica partitura teatrale rimasta, La catena d’Adone, realizzò un’opera ben diversa dai prototipi di stile fiorentino allora in voga a Roma, aprendo il campo agli sviluppi futuri; la rottura del recitativo con pezzi chiusi di vario tipo e dimensione fu una novità geniale, non compresa dal contemporaneo S. D’India, che criticò l’opera come «tutta piena di canzonette» (Reiner, p. 248). Modelli di stile patetico furono considerati da Kircher due componimenti pubblicati nei Dialoghi e sonetti: Lagrime amare, un arioso che figura cantato dalla Maddalena e che nell’interpretazione di Vittori suscitò l’ammirazione dell’Eritreo, e il lamento della virgiliana «Mater Euryali», che in una esecuzione in casa del prelato F. Raimondi colpì anche un detrattore della musica moderna, L. Guidiccioni, che fu visto, secondo Della Valle (citato in Solerti, p. 170), «liquefarsi di dolcezza». La chiara consapevolezza del M. circa l’originalità del proprio stile emerge dalle prefazioni rivolte ai lettori, dove propose un apparato notazionale tanto accurato da costituire un’anticipazione di simili prassi del XX secolo. Nell’avvertimento relativo a Lagrime amare, Gaspari vide una dichiarazione di poetica non dissimile dai principî di letterati e compositori del suo tempo. Nei Madrigali l’autore mescolò con finezza lineamenti stilistici vecchi e nuovi: il punto di partenza, anche nello stile cromatico, era C. Gesualdo, proposto come modello nelle riunioni accademiche presso il cardinale Barberini, dove alcuni componimenti si eseguivano a voce sola, realizzando le altre parti con un complesso di archi («viole»), secondo l’uso raccomandato da Doni (Hammond, p. 102). Furono pubblicati sia in parti staccate sia in partitura; questa recava un avviso ai lettori scritto in punta di penna, nonché didascalie per l’esecuzione apposte ai singoli madrigali. Sempre al campo della musica vocale da camera appartengono i Poemata sulle poesie latine di Urbano VIII e, in buona parte, le Musiche sacre e morali, dove il M. si confrontò con l’ottavo libro di madrigali di C. Monteverdi. Per ogni componimento indicò l’autore dei versi (alcuni di sua penna); si ha così un quadro dei suoi rapporti con il mondo letterario del tempo, comprensivo di autori della cerchia barberiniana ma anche di poeti ben diversi, tra cui l’esiliato Ciampoli e il «dannato» Marino. Su versi di Marino è il Christo smarrito che conclude la raccolta, sorta di piccolo oratorio in volgare in cui l’evangelico episodio si svolge tra recitativo monodico e coro a 4 voci; le parole di Maria, configurate come «lamento», appaiono più da amante che da madre, per cui sorprende la commistione di sacro e di erotico. Il genere oratoriale, che riappare nelle Sacrae concertationes, è tenuto presente in diversi componimenti di queste raccolte, anche quando sono di genere profano come l’Aeolus e i Dialoghi.
Composizioni: La catena d’Adone (Venezia 1626); Dialoghi e sonetti (Roma 1638: testi tratti dall’Eneide, da opere di T. Tasso e da poeti del suo tempo); Madrigali a cinque voci, et altri varii concerti (Roma 1638: madrigali a 5 voci con e senza basso continuo, più altri componimenti a 4-8 voci «variamente concertati» su testi di poeti del tempo); Urbani VIII olim Maffaei cardinalis Barberini Poemata (Romae 1638: componimenti a 1-3 e 6 voci su versi di Urbano VIII); Musiche sacre e morali (Roma 1640: componimenti a 1-4 voci su versi di poeti del passato e viventi); Praetereunt anni […] et Aeolus (Romae 1641: elegia a voce sola su versi di Urbano VIII e dialogo a 3 voci tratto dall’Eneide); Sacrae concertationes […] pro oratoriis (Romae 1664: mottetti e dialoghi a 2-9 voci). Restano inoltre arie e mottetti pubblicati in antologie romane del 1621, 1625, 1629, 1640, 1646; manoscritte restano un’aria a 2 voci (Amant’, io ve l’avviso, Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, Q 49, in un’antologia della famiglia Del Nero databile agli anni Venti del Seicento) e una ciaccona per soprano (S’io mi parto, ò mio bel sole, Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 2472). Altri suoi brani erano in un codice della Biblioteca nazionale di Firenze (Magl., XIX 22) mancante dal 1883. Dell’oratorio Coro di profeti (in tre parti, poesia di Ciampoli) restano alcuni brani, editi nei Madrigali e nelle Musiche sacre e morali. Perduto è il dramma del 1641 Il martirio de’ santi Abundio prete, Abundantio diacono, Marciano e Giovanni suo figliuolo cavalieri romani.
Opere letterarie (edite a Roma): Veio difeso (1646); Lettera et apologia del difensor di Veio (1653); Supplimento a Civita Castellana circa la sua distanza da Roma (1663). Tre componimenti poetici, da lui stesso posti in musica, furono editi nelle Musiche sacre e morali del 1640.
Fonti e Bibl.: G.O. Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica (1713), a cura di C. Ruini, Firenze 1988, pp. 300 s.; A. Ademollo, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo, Roma 1888, pp. 18 s.; G. Gaspari, Catalogo della Biblioteca musicale G.B. Martini di Bologna, III, Bologna 1893, p. 108; A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1903, pp. 148-179; G. Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, III, Roma 1913, p. 89; A. Cardinali, Cenni biografici di Domenico e Virgilio Mazzocchi, Subiaco 1926; S. Reiner, «Vi sono molt’altre mezz’arie…», in Studies in music history. Essays for O. Strunk, Princeton 1968, pp. 241-258; W. Witzenmann, D. M., 1592-1665. Dokumente und Interpretationen, Köln-Wien 1970 (lavoro di riferimento, cui si rinvia per le fonti e la bibl. precedente); Id., Zum Oratorienstil bei D. M. und M. Marazzoli, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte XII, a cura di F. Lippmann - W. Witzenmann, Köln 1979, pp. 52-93; C. Annibaldi, L’archivio musicale Doria Pamphilj. Saggio sulla cultura aristocratica a Roma fra 16° e 19° secolo, in Studi musicali, XI (1982), p. 295; S. Franchi, Drammaturgia romana, Roma 1988, pp. 144 s., 220 s., 246; Id., Osservazioni sulla scenografia dei melodrammi romani nella prima metà del Seicento, in Musica e immagine… Studi in onore di M. Bogianckino, a cura di B. Brumana - G. Ciliberti, Firenze 1993, pp. 161 s.; W. Witzenmann, Viene alla luce il primo autografo musicale di D. M., in Nuova Riv. musicale italiana, XXVII (1993), pp. 263-280; Id., Beiträge der Brüder Mazzocchi zu den musikalischen Akademien Kardinal F. Barberinis, in Akademie und Musik, a cura di W. Frobenius et al., Saarbrücken 1993, pp. 181-214; F. Hammond, Music and spectacle in Baroque Rome. Barberini patronage under Urban VIII, New Haven-London 1994, pp. 101 s., 106 s., 110; W. Witzenmann, Tecnica mottettistica in F. Foggia e D. M., in F. Foggia «fenice de’ musicali compositori»… Atti del I Convegno internazionale di studi…, a cura di A. Botti Caselli, Palestrina 1998, pp. 175-195; B. Schrammek, Zwischen Kirche und Karneval. Biographie, soziales Umfeld und Werk des römischen Kapellmeister Virgilio Mazzocchi (1597-1646), Kassel-Lucca 2001; G. Rostirolla, Musiche e apparati nella basilica Vaticana per le feste dei santi Pietro e Paolo e della dedicazione dalla fine del XVI al primo quarto del XVII secolo, in Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert: Kirche und Fest, a cura di M. Engelhardt - C. Flamm, Laaber 2004, p. 460; S. Franchi, Le attività musicali di un sodalizio silvestrino a Roma: l’Arciconfraternita degli Angeli Custodi dalla fondazione (1614) alla metà del Settecento, in Laeta dies. Musiche per s. Benedetto e attività musicali nei centri benedettini in Età moderna, a cura di S. Franchi - B. Brumana, Roma-Fabriano 2004, pp. 265, 278; T. Chirico, «Il martirio de’ santi Abundio prete, Abundantio diacono, Marciano e Giovanni»: una sconosciuta fonte librettistica, in «Vanitatis fuga, aeternitatis amor». W. Witzenmann zum 65. Geburstag, a cura di S. Ehrmann-Herfort - M. Engelhardt, Laaber 2005, pp. 289-306; S. Franchi, Annali della stampa musicale romana dei secoli XVI-XVIII, I, 1, Roma 2006, pp. 397, 505, 602, 612, 751-762, 764, 797-801, 814, 825, 878 s., 910-912; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, pp. 194 s.