MARTINELLI, Domenico
Figlio di Paolo e di Chiara Pallavicini, nacque a Lucca il 30 nov. 1650, secondogenito di sei figli, di cui quattro maschi e due femmine (Franceschini, p. 4). Già nei primi anni della sua formazione, fu seguito dal padre che, oltre a indirizzarlo allo studio delle lettere, gli insegnò i fondamenti della matematica e del disegno. Rimasto orfano del padre all’età di dieci anni e affidato alle cure del fratello maggiore, poco avvezzo ad assecondare in lui una più che palese inclinazione verso l’arte e l’architettura, il M. fu sospinto sulla via del sacerdozio.
Il 28 apr. 1673 il M. ricevette «tutti gli ordini» e il successivo 1° ottobre fu consacrato sacerdote dall’arcivescovo di Pisa (ibid., p. 8). L’ordinazione sacerdotale, tuttavia, non gli impedì di dedicare buona parte del suo tempo all’architettura; ed è assai probabile che proprio in questi anni, in qualità di architetto, godesse già di grande stima, soprattutto nell’ambiente ecclesiastico lucchese. Ne è prova l’incarico, affidatogli nel 1675 dal capitolo di S. Martino, di rinnovare il «Martilogio» della cattedrale. Il M. produsse una serie probabilmente cospicua di disegni che, riuniti in un volume, consegnò tre anni dopo.
Richiesta e ottenuta, in tutta segretezza, la lettera dimissoriale dal cardinale Giulio Spinola, vescovo di Lucca, il M. lasciò la propria città natale il 28 dic. 1678, diretto a Roma, meta ambita da sempre.
Nei primi tempi del suo soggiorno romano sembra che il M. si sia applicato al rilievo diretto delle vestigia di Roma antica e allo studio delle opere d’arte e delle molte fabbriche da poco ultimate o ancora in corso di realizzazione. Dopo qualche tempo riuscì ad aggregarsi agli accademici di S. Luca, entrando così in diretto contatto con alcuni tra i più noti pittori e architetti allora attivi nella città: da C. Fontana a G. e P.L. Ghezzi, da F. Rosa a C. Maratta (ibid., p. 12).
Nel giugno del 1679 partecipò alla prima classe del concorso accademico di architettura sul tema «Chiesa con due campanili» e, il successivo 8 ottobre, fu giudicato vincitore unico (Roma, Accademia naz. di S. Luca, Arch. storico, Congregazioni, vol. 45, cc. 71v, 72r; Marconi et al.; I disegni di figura). L’anno successivo, fu ancora al M. che i congregati del prestigioso istituto decisero di destinare il premio anche se, in questa circostanza, fu rilasciato «senz’altra giudicatura» non essendosi presentati altri concorrenti (Accademia naz. di S. Luca, Congregazioni, vol. 45, c. 88r).
La stima e la notorietà rapidamente acquisite nell’ambiente artistico e culturale ruotante intorno all’Accademia, nell’arco di appena un quinquennio, gli valsero diversi e prestigiosi riconoscimenti: la nomina di «nuovo Academico di merito» conferita, per «le qualità ottime e sufficientissime», il 25 apr. 1683 e, contestualmente, l’incarico di docente nel corso di architettura, in sostituzione di G. Tomassini, trasferitosi a Napoli (ibid., c. 110v, e Lezioni di architettura); la mansione di «custode» dell’Accademia, attribuitagli il 27 febbr. 1686 (Accademia naz. di S. Luca, Congregazioni, vol. 45, c. 126r); quella di «cappellano» della chiesa accademica dei Ss. Luca e Martina (1688); e infine l’iscrizione al circolo esclusivo della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (Lorenz, 1991, p. 9).
In questo stesso periodo, per tramite dell’Accademia, entrò in contatto anche con importanti committenti stranieri, come il re di Polonia Giovanni III Sobieski, per il quale sviluppò una serie di immaginifici progetti utopici (ibid., pp. 216-220; Lorenz, 2006, p. 24).
Il M. tenne lezioni di architettura in Accademia fino a tutto il 1689. Nella primavera dell’anno successivo chiedeva «licentia […] di portarsi fuori Roma, per affari d’Architettura»; e il 30 apr. 1690 i congregati gliela rilasciavano insieme con «la surrogazione del cappellano» nella chiesa accademica dei Ss. Luca e Martina (Accademia naz. di S. Luca, Congregazioni, vol. 45, c. 145r).
Il 17 maggio partì alla volta di Vienna e, facendo tappa a Venezia, raggiunse la capitale imperiale alla fine di giugno (Franceschini, pp. 18 s.). Fu in Austria, Moravia, Boemia e nei territori di Ungheria oggi corrispondenti alla Slovacchia che il M., nell’arco di un quindicennio, riuscì ad affermarsi pienamente come architetto, stringendo contatti con le famiglie nobili più ricche e influenti tra quelle legate alla corte asburgica: gli Harrach e i Kaunitz, le casate di Liechtenstein e di Schwarzenberg, gli Sternberg, i Liebsteinsky von Kolowrat, i Sinzendorf, i Martinitz, gli Heissler di Heinsheim, i Paar, gli Strattmann, gli Obizzi, i Czernin e molti altri ancora.
Nei primi tre anni del suo soggiorno viennese fu al servizio di Ferdinand Bonaventura conte di Harrach, che lo nominò architetto e cappellano di casa, rispettivamente il 5 maggio e il 12 giugno 1691. E fu proprio per il conte che il M. firmò la prima opera architettonica di una certa importanza, ovvero il restauro e la parziale ricostruzione del palazzo di famiglia sulla piazza Freyung.
Di questo edificio si conservano pochi documenti; ma si sa che i lavori furono terminati nel 1690. È quindi presumibile che i disegni di progetto, ascritti al M., fossero già stati sviluppati a Roma qualche anno prima. Con questa opera il M. riscosse un enorme successo in «quella fascia di committenti che intorno al 1700 era più importante sia del clero che della stessa casa imperiale asburgica» (Lorenz, 2006, p. 23), ossia presso quegli aristocratici legati alla corte cesarea che non esitarono a giudicarlo «incomparabile» con gli altri architetti suoi contemporanei (Naňková, p. 542).
La misura della fulminea affermazione professionale del M. è data dall’incredibile numero di incarichi ricevuti per lo più da amici e parenti dei predetti casati nel periodo subito successivo alla chiusura del cantiere di palazzo Harrach.
Si segnalano, al riguardo, i progetti tutti irrealizzati per il palazzo di Johann Weikhard e Johann Michael von Sinzendorf in Renngasse, databili al 1692 o, come è stato ipotizzato, al periodo immediatamente precedente l’arrivo del M. a Vienna (Lorenz, 1991, pp. 242 s.); del palazzo sulla piazza del Hradschin a Praga per il conte Wenzel Adalbert Sternberg (dal 1692); del palazzo con annesso giardino per il medico Franz Stockhammer (1692-94); la ristrutturazione degli interni e il rifacimento della facciata sulla piazza del Mercato Nuovo del palazzo del principe Ferdinand von Schwarzenberg (ante 1694); la fabbrica di birra nel Liechtenthal, commissionata dal principe Johann Adam von Liechtenstein (1694); il palazzo per il conte Norbert Leopold Liebsteinsky von Kolowrat a Praga (1702-03).
Negli anni che vanno dal 1690 alla fine del 1694, quando il M. si recò in Olanda, le opere effettivamente e largamente eseguite secondo i suoi intendimenti furono relativamente poche ma, a eccezione di alcune commesse minori, come la grande scalinata esterna del palazzo del conte Karl Joseph Paar (1691-94) o il rivestimento ligneo di alcuni ambienti interni del palazzo del conte Theodor Heinrich von Strattmann (1692), si trattò di imprese di assoluto rilievo. Le prime e più importanti di queste, furono commissionate dal conte e futuro vicecancelliere dell’Impero Dominik Andreas Kaunitz: la ristrutturazione del palazzo, oggi sulla Bankgasse, a Vienna e, soprattutto, quella del castello ad Austerlitz (oggi Slavkov u Brna), in Moravia, considerata, a ragione, il suo capolavoro.
L’ammodernamento in forme barocche del castello rinascimentale dei Kaunitz ad Austerlitz fu, tra i lavori portati a termine dal M. nei quindici anni di attività nella Mitteleuropa (dal 1690 al 1705), sicuramente quello che più di ogni altro riuscì a sintetizzare in modo organico le esigenze estetiche dell’aristocrazia asburgica tardoseicentesca con la tradizione del classicismo romano, cui il M. non cessò mai d’ispirarsi. La trasformazione dell’antica residenza – un complesso a quattro ali di ambienti riuniti attorno a una corte rettangolare, cinta da un doppio ordine di arcate che, verso est, si interrompevano in corrispondenza di più antiche preesistenze – era stata avviata prima dell’entrata in scena del Martinelli. Nel 1689, infatti, era stato Henrico (Enrico) Zuccalli, architetto della corte bavarese, a ottenere l’incarico da Kaunitz e a produrre una prima serie di disegni di progetto. Nel 1691, però, il conte affidò al M. la responsabilità di ripensare e condurre il complesso dei lavori di ristrutturazione, persuaso, probabilmente, da una proposta che, per molti aspetti, costituiva un netto avanzamento rispetto alla precedente. Il M. puntò su una netta differenziazione dei quattro fronti dell’edificio, così da garantire quattro diverse possibilità di accesso e relative condizioni di affaccio. Con questa strategia contestualizzante, si creavano i presupposti per la creazione di un sistema, imperniato sul castello, di assi di collegamento con il villaggio di Austerlitz a sud, il giardino delle delizie e il casino a ovest, le scuderie e le dipendenze rustiche a nord e a est. La formula risultò ancora più convincente quando, tra la fine del 1697 e gli inizi del 1698, il M. e il conte, divenuto ormai vicecancelliere imperiale, fecero ritorno a Vienna dopo tre anni trascorsi all’Aia. Fu a questa data che il M., interpretando le aspirazioni di Kaunitz a fare del castello il polo economico e culturale di una regione trainata da una cittadina riconvertita in centro manifatturiero legato all’industria tessile, elaborò il cosiddetto «piano regolatore per Austerlitz» (Lorenz, 1991, p. 150). Il progetto non fu portato a termine per diverse ragioni, prime fra tutte l’improvvisa morte del conte, sopraggiunta nel 1705, e il fallimento della manifattura tessile che non riuscì mai a decollare (Caspani).
Sempre nel 1692 o, forse, l’anno prima, il principe Johann Adam von Liechtenstein assegnava al M. un ruolo decisionale nella esecuzione, già in atto, del grande palazzo con giardino (o «palazzo in villa») a Rossau, oggi parte del IX distretto di Vienna. Il M. intervenne nella tarda estate del 1692, quando già Johann Bernhard Fischer von Erlach nel 1688 e Domenico Egidio Rossi due anni dopo, avevano definito, nelle linee generali, l’impianto nel suo insieme.
Operando nella direzione di un edificio che, strettamente aderente alla struttura e alle qualità figurali del palazzo signorile, risultasse, al fine, considerevolmente più imponente rispetto alla concezione originale, il M. modificò il progetto di Rossi sollevando le ali di un piano-mezzanino. La nuova fabbrica, articolata su tre livelli in altezza, soddisfaceva pure i requisiti che il padre del principe, Karl Eusebius, nel suo trattato di architettura, riteneva assolutamente necessari a un sontuoso palazzo di campagna. Lo stile del M. è ben visibile in facciata dove un ordine gigante di alte lesene, «fasce che servono come pilastri», rinserra una triplice partitura di finestre a edicola, dalla sagoma massiccia e ben profilata (Lorenz, 2006, p. 29).
Con la sospensione dei lavori a Rossau, decisa nel 1694 e protrattasi per alcuni anni, il M. continuò a servire il principe come architetto responsabile della costruzione del palazzo già Kaunitz, venduto dal vicecancelliere imperiale al principe di Liechtenstein proprio in quell’anno.
Nel 1694 Kaunitz dovette recarsi come ambasciatore all’Aia, in missione speciale. Portò con sé il M., con lo scopo di utilizzarlo «in Olanda e nei territori renani, come strumento della politica estera asburgica: come atto di cortesia diplomatica, infatti, il conte Kaunitz procurava ai principi amici dell’imperatore i progetti del suo architetto» (ibid., p. 25).
Si spiegano così gli importanti contatti del M. con personaggi di altissimo rango come il principe arcivescovo di Magonza, Lothar Franz Schönborn, per il quale progettò un castello; l’elettore palatino Johann Wilhelm von der Pfalz, da cui si vide conferire il titolo di ingegnere palatino per il piano di ristrutturazione urbanistica di Heidelberg (Franceschini, pp. 28, 44); o, per finire, il re d’Inghilterra Guglielmo III d’Orange, che richiese un progetto di riassetto dell’ancienne cour di Bruxelles. Anche Federico III Hohenzollern, principe elettore di Brandeburgo e futuro re di Prussia con il nome di Federico I, chiese al conte Kaunitz di avere il M. al proprio servizio per qualche tempo. Secondo Franceschini, il principe avrebbe fatto al M. un’offerta generosa – un impiego stabile, una retribuzione annua di 3000 fiorini, un servitore, una casa ammobiliata e «una tavola con i suoi cavalieri» – ma l’architetto e sacerdote lucchese, per nulla attratto dall’idea di trasferirsi in una corte protestante, rifiutò.
Insieme con il conte Kaunitz, il M. rientrò a Vienna nel 1697. Partì due anni dopo, più che mai desideroso di fare ritorno in patria. Da Lucca, presto si trasferì a Roma per soggiornarvi, tuttavia, solo pochi mesi, essendo stato richiamato in Austria per porre fine a diversi lavori avviati in precedenza. Il 25 apr. 1700 ottenne la licenza dai congregati dell’Accademia (Accademia naz. di S. Luca, Congregazioni, vol. 46/A, pp. 4 s.). Il M. partì alla fine di giugno insieme con l’amico e «padrone», conte Johann Joseph Sternberg, nonché i familiari di quest’ultimo, tutti diretti in Moravia. Superate le Alpi e inoltratosi in Engadina, il gruppo cercò di attraversare l’Eno, tra mille difficoltà e pericoli dovuti alle pessime condizioni del tempo e al moto impetuoso delle acque. Il tentativo di guadare il fiume in piena si risolse in un tragico epilogo: il conte annegò e lo stesso M. riuscì a stento a salvarsi (Franceschini, p. 23).
Alla fine di settembre del 1700 il M., partendo da Vienna e facendo una breve tappa ad Austerlitz per soddisfare alcuni impegni legati all’esecuzione del grandioso «piano regolatore generale», si mise in viaggio alla volta di Praga, dove lo attendeva il conte Georg Adam Martinitz. Nel corso dei due anni trascorsi al servizio del conte, il M. lavorò come direttore dei lavori nel palazzo sito in via Nerudova, basandosi su un progetto che Carlo Fontana aveva prodotto, nella sua versione definitiva, alla fine di marzo di quello stesso anno.
Nel gennaio del 1703 era di nuovo a Vienna anche se non cessò di spostarsi frequentemente da una città all’altra, sovrintendendo alla costruzione di diverse categorie di opere, come ponti, palazzi, piazzeforti e perfino macchine e attrezzature destinate ai cantieri edili.
Con l’improvvisa morte del conte Kaunitz, avvenuta nel gennaio del 1705, le cose si complicarono. Con lui venne a mancare il mecenate più importante nonché il tramite principale presso l’aristocrazia e l’amministrazione imperiale. Nella primavera dello stesso anno la corte imperiale conferiva al M. la nomina di «ingegnere cesareo», cioè di progettista direttamente al servizio di Leopoldo I. La nomina annullava il permesso precedentemente rilasciatogli da Kaunitz a fare ritorno in patria e, con il sequestro di tutti i suoi beni imposto come misura precauzionale dallo stesso imperatore, lo bloccava a Vienna (ibid., p. 33).
Il M. non poté partire prima dell’ottobre del 1705 quando, munito di regolare passaporto, intraprese il viaggio di ritorno in patria. Fece tappa a Lucca per fare visita alla madre e al fratello Gianlorenzo che, attonito nel vederlo presentarsi «come un pezzente» (ibid., p. 34), gli prestò ogni cura prima che si rimettesse in viaggio, diretto a Roma. Il M. giunse nella capitale pontificia nel dicembre di quello stesso anno e, reintegrato nel corpo docente dell’Accademia, fu incaricato di tenere nuovamente il corso di architettura (Accademia naz. di S. Luca, Congregazioni, vol. 46/A, p. 56).
Nel luglio del 1706, tuttavia, l’intemperanza più volte manifestata nei riguardi dell’autorità, lo rese nuovamente protagonista di un grave contrasto, questa volta con i congregati dell’Accademia. La mattina del 4 luglio, nella sala accademica fu affisso il nuovo editto con i temi dei concorsi artistici delle tre classi (pittura, scultura e architettura) nonché i relativi termini per la partecipazione. Per motivi che non si conoscono, il M. «guidato da un scorretto e inconsiderato impulso, senza nessun ordine o facoltà» stracciò il documento (ibid., p. 61). Cinque giorni dopo, riunitisi in assemblea, i congregati decretavano all’unanimità la sua espulsione. Vincendo le proprie iniziali resistenze ad accettare la risoluzione dei congregati dell’istituto, il M. si decise finalmente a presentare istanza di grazia «con molta sommissione e pentimento» e, con la mediazione di Carlo Maratta, principe dell’Accademia, nel settembre del 1709 fu reintegrato (ibid., pp. 107 s.).
Tra il 1710 e il 1716 il M. ricoprì nuovamente il ruolo di docente, tenendo lezioni di prospettiva e architettura. Ma l’aggravarsi delle condizioni generali di salute indusse il M., sospinto anche dalle pressioni di familiari e amici, a stabilirsi definitivamente a Lucca, probabilmente dall’autunno del 1716.
Morì a Lucca l’11 sett. 1718 e fu sepolto nella chiesa collegiata di S. Paolino (Franceschini, p. 44).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 101: G. Sardini, Della moderna civile architettura vitruviana dopo il decadimento delle belle arti latine (ms.), cc. 17 s.; Roma, Accademia naz. di S. Luca, Arch. storico, vol. 28, c. 6v; vol. 45: Domenico Martinelli, Lezioni di architettura; Congregazioni…, cc. 118r, 121v, 122v, 127r, 133r, 138, 140r, 143bisr; vol. 46, cc. 49v, 51v, 54, 57r, 60r, 65r, 127v, 101r; vol. 46/A, pp. 1, 3-5, 62 s., 65-67, 111, 140, 166, 180; G. Franceschini, Memorie della vita di D. M. sacerdote lucchese e insigne architetto, Lucca 1772; H. Tietze, D. M. und seine Tätigkeit in Österreich, in Jahrbuch des Kunsthistorischen Instituts, XIII (1919), pp. 1-46; G.G. Lunardi, Lucchesi all’estero. Un insigne architetto del ’600: D. M., in Lucca, III (1935), 1-2, pp. 5-13; T. Kubátová, Architekt D. M., in Umĕní (Arte), IV (1956), pp. 133-144; E. Hubala, Schloss Austerlitz in Südmären, in Stifter-Jahrbuch, V (1957), pp. 174-200; V. Richter, Náčrt činnosti Domenica Martinelliho na Moravĕ (Note sull’attività di D. M. in Moravia), in Sborník prací Filozofické Fakulty Brnìnské Univerzity (Antologia di studi della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Brno), VII (1963), pp. 49-87; V. Naňková, Fischer z Erlachu a M. v Thunovské korespondenci (Fischer von Erlach e M. nella corrispondenza di Thun), in Umĕní, XXI (1973), pp. 541 s.; P. Marconi et al., I disegni di architettura dell’Archivio stor. dell’Accademia di S. Luca, Roma 1974, I, figg. 26-28; H. Lorenz, D. M. Projekt für Schloss Austerlitz (Slavkov u Brna) in Mähren, in Umĕní, XXIX (1981), pp. 250-258; Id., D. M. und Prag, ibid., XXX (1982), pp. 21-34; G. Arrighi, Un architetto attraverso l’Europa. D. M. nei documenti lucchesi, in Atti dell’Acc. lucchese di scienze, lettere ed arti, n.s., XVII-XVIII (1982-84), pp. 89-113; H. Lorenz, D. M. in Mähren, in Sborník prací Filozofické Fakulty Brnìnské Univerzity, XXX-XXXI (1986-87), pp. 21-34, 42-51; I disegni di figura nell’Archivio stor. dell’Acc. di S. Luca, a cura di A. Cipriani - E. Valeriani, I, Roma 1988, pp. 80, 188; H. Lorenz, D. M. und die österreichische Barockarchitektur, Wien 1991; P. Bossi, Disegni lucchesi di D. M., in Il Disegno di architettura, IV (1993), 8, pp. 25-27; G. Klingenstein, L’ascesa di casa Kaunitz: ricerche sulla formazione del cancelliere Wenzel Anton Kaunitz e la trasformazione dell’aristocrazia imperiale: secoli 17° e 18°, Roma 1993, pp. 55 n. 1, 72-74, 89 n. 71; D. M. architetto ad Austerlitz: i disegni per la residenza di Dominik Andreas Kaunitz (1691-1705) (catal., Milano), a cura di A. Scotti Tosini, Cinisello Balsamo 2006; L.A. Caspani, ibid., pp. 83-87; H. Lorenz, D. M. architetto della Mitteleuropa, ibid., pp. 23-32; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 164.