MAROLÌ, Domenico
– Nacque a Messina «circa l’anno 1612» da Pietro, mercante di origine greca. Le date di nascita e di morte, nonché molte notizie biografiche, si ricavano dalla Vita di D. M. pittore, cittadino messinese, inserita nelle Vite de’ pittori messinesi di F. Susinno (1724), opera alla quale si rimanda dove non altrimenti indicato.
L’alunnato, dall’età di ventidue anni, presso lo studio di Antonino Alberti detto il Barbalonga, pittore messinese di tendenza classicista e allievo a Roma del Domenichino (Domenico Zampieri), segna la prima attività del Marolì. Perduta durante il terremoto del 1908, la sua prima opera, un Padre Eterno dipinto per la chiesa di S. Michele che riprendeva modelli del Barbalonga, è riconducibile al primo periodo della sua produzione il Martirio dei ss. Placido, Eutichio, Flavia e Vittorino per la chiesa di S. Paolo, anch’esso distrutto nel 1908, ma noto attraverso un’antica fotografia.
Sebbene Susinno sembri porre il dipinto dopo il soggiorno veneziano, la fotografia ha indotto a collocarlo in una fase precedente per i retaggi manieristi delle scelte compositive, quali le figure ancora bloccate in una gestualità stereotipata, la forte vicinanza ai modi del Barbalonga e la ripresa di moduli del Domenichino. L’ipotesi troverebbe conferma in una nota ricordata in scritti ottocenteschi, redatta sulla base dei documenti dell’archivio della chiesa, dove si indicava una datazione al 1650 (La Farina, 1836; Hyerace, 1984).
Documentato dalle fonti, ma di incerta datazione, è il «Presepio, così ben condotto con figure al naturale sul gusto del Bassano» (Susinno, p. 208) per la chiesa di S. Maria della Grotta, prima ritenuto posteriore al soggiorno veneziano (si vedano i contributi di Natoli e Campagna Cicala) e oggi ricondotto, con il suo «schietto naturalismo» di ascendenza napoletana, a una data non posteriore alla metà degli anni Quaranta (Hyerace, 1984, accolto in Campagna Cicala, 2006).
All’età «di anni 30 in circa» Susinno pone il soggiorno a Venezia, dove il M. poté «studiare la magia di quel colorire» e «seguire le opere di Paolo Veronese» (p. 205). L’attività veneziana è documentata nella Carta del navegar pitoresco di M. Boschini (1660), che ricorda il M. come apprezzato pittore di soggetti pastorali, dai quali trasse anche un’incisione.
L’incisione è lungamente descritta: «Che ’l Marolì che ha geni pastorali, / e in tute le altre cose inzegno acuto, / no’ podendo in t’un quadro far de tuto; / che ’l fazza donca un puoco d’animali. / E un pastorell, che tegna in fren un can, / defensor d’altre bestie de più sorte, / che ’l sia ingrintà, che ’l rogna, e bagia forte […] E giudicio de l’homo racional / domina ogni bestiazza, ogni animal. / Scriver per moto soto se ghe puol’» (p. 629). Ai soggetti pastorali del M., purtroppo finora non rintracciati, fanno riferimento anche L. Pascoli, che ne loda il «rappresentare al vivo animali, pastori, e boscaglie», e L. Lanzi, che ricorda del soggiorno a Venezia gli «animali che ivi dipingeva bassanescamente» (II, p. 334), riprendendo il legame con l’affermata tendenza bassanesca già proposto da Boschini (p. 691).
Testimoniato solo da Susinno è un soggiorno a Bologna negli anni veneziani, durante i quali il M. sposò una donna di cui aveva «fatto il ritratto» (p. 206) ed ebbe un figlio, Pietro, poi pittore attivo soprattutto a Napoli.
Le richieste del messinese F. Di Giovanni avrebbero indotto il M. a tornare in patria intorno al 1660 e a incorrere però, insieme con il figlioletto, nella pericolosa avventura del rapimento da parte di «una rapace fusta di turchi» (p. 206) che li avrebbe ridotti in schiavitù per tre anni a Tunisi, prima di concederne il rientro a Palermo.
Dubbi permangono sulla cronologia del soggiorno veneziano, conclusosi secondo Susinno nel 1660, probabilmente sulla scorta della data di edizione dell’opera di Boschini. La Carta era in realtà in gran parte completata già nel 1656 (A. Pallucchini, in Boschini, pp. XVIII s.), circostanza che consentirebbe di anticipare di qualche anno il rientro in Sicilia del M. e di contenere l’attività veneziana tra il 1650 e il 1657 (Hyerace, 1984; Campagna Cicala, 1992), sebbene egli risulti nel Catalogo de gli pittori di nome, che al presente vivono in Venezia aggiunto alla Venetia di F. Sansovino da G. Martinioni (1663). L’ipotesi di un più breve soggiorno veneziano coinciderebbe con la probabile datazione al 1657 di una Madonna della Lettera, oggi nel municipio di Catania, proveniente dalla chiesa omonima, copia di un analogo soggetto del Barbalonga. Il dipinto è probabilmente da identificare con quello di analogo soggetto donato dal Senato di Messina alla città di Catania nel 1657 e ricordato in L’amicizia tesoriera, ossia Relazione della festa fatta in Catania per la Madonna della Lettera… di G. Rasi, edita a Catania nello stesso anno (Molonia) e in seguito negli Annali della città di Messina di C.D. Gallo del 1756 (Hyerace, 1984). Difficile valutare l’influsso del soggiorno veneziano sull’opera, dato il forte condizionamento imposto dal modello del Barbalonga, e precisare quanto il M. «sempre studiando, copiando, ed imitando le pitture di Paolo mutò maniera» (Pascoli).
Rientrato a Messina, il M. realizzò due grandi tele, non rintracciate: un Sacrificio di Isacco, in cui avrebbe imitato tanto bene la natura da eguagliare Caravaggio (Michelangelo Merisi) anche per le «ombre tanto gagliarde» (Susinno, p. 207), e un S. Sebastiano curato dalle pie donne.
Dispersi sono anche un dipinto con Thamar violata dal fratello, documentato in inventari ottocenteschi del Museo di Messina (Hyerace, 1984); una S. Elisabetta nella collezione messinese Brunaccini (La Corte Cailler); due «mezze figure» di S. Scolastica e S. Cunegonda per la chiesa della Maddalena dei benedettini di Messina (Susinno, p. 209).
La sola opera firmata e datata 1665 è il Sacrificio di Melchisedech per la cappella del Sacramento del duomo di Reggio Calabria, dove il debito alla prima formazione messinese si mescola a suggestioni caravaggesche e approfondimenti naturalistici soprattutto nei volti anziani.
Documentata dalla più antica letteratura (Susinno; Pascoli; Hackert - Grano) è l’Estasi di s. Pietro d’Alcántara proveniente dalla chiesa di S. Maria di Portosalvo a Messina e ora nel Museo regionale.
Successivo alla tela reggina (Campagna Cicala, 1990) o di poco anteriore (Id., 2006), il dipinto presenta soluzioni innovative rispetto alla produzione precedente del M.: da un lato intenti più marcatamente naturalistici di derivazione riberesca, con probabili influenze di P. Novelli, ben evidenti nel volto del santo, dall’altro moduli di più aggiornata ispirazione barocca, nell’impostazione compositiva, nell’ampia apertura di paesaggio, nel movimento che permea tutto il dipinto, nella varietà coloristica, nelle pieghe mosse degli abiti.
L’ultima opera del M. è la decorazione a «buon fresco» della cupola della chiesa gesuita di S. Nicola a Messina, con l’Eterno Padre e putti nel lanternino, «tutto dipinto con gusto e mirabil arte nello scortare della figura all’in su» (Susinno, p. 210). L’opera, interrotta a causa del sopraggiungere della morte del M., è andata distrutta insieme con la chiesa durante il terremoto del 1783.
Il M. morì a Scaletta Zanclea (non lontano da Messina) il 23 maggio 1676, e fu seppellito nella chiesa di S. Nicola dei Greci.
Perdute sono anche opere ricordate dalle fonti e riconducibili a generi diversi: oltre alle scene pastorali, le «tempeste di mare» per le quali era noto a Messina e apprezzato anche da A. Scilla, realizzate già durante il soggiorno veneziano se Boschini verseggia di suoi «vasselli in mar / che i temporali i fa precipitar» (p. 691); le «figure di donne […] offensive della pudicizia» (Susinno, p. 210), ricordate anche come «Veneri e donne ignude» (Grosso Cacopardo, p. 135) o «immagini di donne plausibili, quantunque di questo pericoloso talento abusò quanto il Liberi», che Lanzi giudicava di oltraggio alla morale (II, p. 334); qualche ritratto citato da Susinno, il quale aggiunge anche che il M. «intendeva l’architettura militare» (p. 210). Sono stati inoltre attribuiti al M. alcuni dipinti: Loth e le figlie, oggi al Museo regionale di Messina (Hyerace, 1984; Campagna Cicala, 1990 e 1992); Giacobbe che inganna Isacco (Hyerace, 1984; Campagna Cicala, 1992 e 1999) e Giacobbe, Labano e le figlie (Hyerace, 1986; Campagna Cicala, 1990) alla Galleria regionale della Sicilia Palazzo Abatellis a Palermo; Noè ebbro, proveniente dalla collezione messinese Brunaccini (Hyerace, 1995).
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare… (1581), a cura di G. Martinioni, Venezia 1663, p. 21; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco (1660), a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, pp. 629, 691; F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 203-211; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, II, Roma 1736, p. 50; C.D. Gallo, Gli Annali della città di Messina, III, Messina 1758, pp. 83 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1789), Bassano 1809, II, p. 334; III, p. 257; F. Hackert - G. Grano, Memorie dei pittori messinesi (1792), Messina 2000, pp. 100-104; G. Grosso Cacopardo, Memorie dei pittori messinesi, Messina 1821, pp. 133-135; Id., Guida per la città di Messina, Messina 1826, pp. 78 s.; C. La Farina, Intorno le belle arti e gli artisti fioriti in varie epoche a Messina…, Messina 1835, pp. 84-90; Id., Intorno alla biografia di Onofrio Gabrieli pittore da Messina, in Il Faro, I (1836), pp. 42 s.; Id., Messina e i suoi monumenti, Messina 1840, pp. 123 s.; Messina e dintorni. Guida a cura del Municipio, Messina 1902, pp. 319, 334, 347, 350; G. La Corte Cailler, Il palazzo e la galleria Brunaccini, in Arch. stor. messinese, II (1902), p. 141; A. Salinas - G.M. Columba, Terremoto di Messina. Opere d’arte recuperate, Palermo 1915, pp. 46, 59; E. Mauceri, Pittori secenteschi del Museo di Messina: D. M., Giovanni Van Houbracken, Agostino Scilla, in Boll. d’arte, XX (1926), pp. 110-112; G. Fiocco, Pittura veneziana del Seicento e del Settecento, Verona 1929, pp. 48, 75; R. De Logu, Seicento pittorico messinese, in Italia letteraria, I (1931), p. 4; S. Bottari, La cultura figurativa in Sicilia, Messina-Firenze 1954, pp. 83 s.; M. Accascina, Museo nazionale di Messina, in Boll. d’arte, XLI (1956), p. 347; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 272 s.; G. Consoli, Messina. Museo regionale, Bologna 1980, pp. 54 s.; E. Natoli, Frammenti del Seicento messinese, in Quaderni dell’Ist. di storia dell’arte medievale e moderna, IV (1980), pp. 35-38; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, pp. 313 s., 318; F. Campagna Cicala, Avant propos sul Seicento pittorico messinese, in Onofrio Gabrieli, 1619-1706 (catal.), Messina 1983, pp. 46 s.; G. De Vito, Un quadro di Nunzio Rossi a Messina ed altri apporti napoletani, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1983, p. 9; L. Hyerace, Precisazioni su D. M. e due inediti, in Prospettiva, XXXVIII (1984), pp. 58-69; Id., Un’aggiunta al catalogo del M., in Nuovi Annali della facoltà di magistero dell’Università di Messina, 1986, n. 4, pp. 413-415; G. Molonia, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 803; C. Siracusano, La pittura del Seicento in Sicilia, ibid., p. 529; F. Campagna Cicala, Un’antologia di frammenti. Dipinti seicenteschi inediti o poco noti delle collezioni del Museo di Messina (catal.), Messina 1990, pp. 62-65; Id., in F. Zeri - F. Campagna Cicala, Messina. Museo regionale, Palermo 1992, pp. 40, 123-125; E. Natoli, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, II, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, pp. 334 s.; L. Hyerace, D. M.: un restauro e un recupero, in Quaderni dell’attività didattica del Museo regionale di Messina, 1995, n. 5, pp. 53-60; M.T. Sorrenti, Una scheda per D. M., in Calabria sconosciuta, XXI (1998), pp. 43-46; F. Campagna Cicala, La pittura del Seicento nella Sicilia orientale, in Storia della Sicilia, X, Roma 1999, pp. 233-235; Id., in Acquisizioni e restauri 2002-2005 (catal.), Messina 2006, pp. 24-277; E. Bénézit, Dictionnaire des peintres…, Paris 1999, V, p. 792; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 127.