MELLI, Domenico Maria
MELLI (Megli, Melio, de Mellis), Domenico Maria. – Figlio di Ercole Giovanni (Reggio Emilia, 22 apr. 1545 - dopo il 1615) e di una Caterina, nacque a Reggio Emilia il 7 dic. 1572, dove fu battezzato il 9 seguente con il padrinato del tragediografo reggiano Gabriele Bombasi.
La famiglia dei Melli, proveniente da un insediamento rurale del circondario (Castelnovo di Sotto, dove tuttora sussiste il toponimo «Case Melli»), dimorava a Reggio già nel sec. XV, con alcuni esponenti saliti a importanti cariche amministrative o ecclesiastiche e altri dediti all’attività notarile.
Il M. fu educato dallo zio paterno don Rodomonte (1542 circa - dopo il 1610), sacerdote mansionario (campanaro e cantore dell’epistola) della cattedrale, che lo affidò, sebbene bambino, a due istituzioni annesse alla chiesa: la scuola di grammatica e canto (aperta a quel tempo non solo ai chierici, ma anche ad allievi non tonsurati) e la cappella musicale. A quest’ultima il M. fu legato per anni, dapprima come «putto soprano», poi come tenore, traendo profitto dagli insegnamenti di Girolamo Carli, Orazio Vecchi e Gioseffo Gianni, maestri della cappella nell’ultimo quarto del Cinquecento. Parallelamente all’attività di cantore, intraprese gli studi di giurisprudenza, addottorandosi in utroque iure e conseguendo nel 1594 l’aggregazione al locale Collegio dei notai (Tacoli). In seguito esercitò la doppia professione di notaio e di cantore, a discapito però della seconda, che condusse con prestazioni irregolari.
In un’istanza del 14 ott. 1597, per esempio, pregava i canonici della cattedrale, dai quali dipendeva come salariato della cappella, di congedarlo per quattro mesi, chiedendo loro – e ottenendo «per la servitù sua sin da fanciullo fatta al […] Capitolo» – che, nonostante il congedo, per «quelli quatro mesi che starà [assente] li corra il suo solito salario», altresì assicurando «che il restante dell’anno servirà secondo il solito» (Reggio Emilia, Archivio capitolare della cattedrale, Memoriali diretti al Capitolo, ad annum). Il suo servizio intermittente venne comunque ricusato il 29 febbr. 1600, allorché i canonici lo privarono dello stipendio con la seguente motivazione: «stando che messer Domenico Maria Melii cantore di questa chiesa non serve a quella, se glie lieva la provigione che tirava dal Capitolo» (Ibid., Libro delle provvigioni, 1593-1605, c. 176v).
Licenziato dalla cattedrale, attese alle incombenze notarili o agli affari di famiglia (sappiamo che si sposò, ma a tutt’oggi non sono stati rintracciati i suoi atti matrimoniali) e frequentò alcuni cenacoli culturali (in particolare l’Accademia degli Elevati, con il nome di Stabile), consolidando legami amicali con eminenti concittadini, tra i quali il poeta Ridolfo Arlotti e il conte Alfonso Fontanelli, ambasciatore estense nonché musicista.
Soggiornò a Padova, quindi a Venezia, dove pubblicò tra il 1602 e il 1609 il suo corpus musicale, ripartito in tre sillogi e formato da 66 composizioni per canto a una o due voci con accompagnamento di «Chittarone, clavicembalo, et altri instromenti». Accolte assai favorevolmente, tanto da meritare varie ristampe, le sue musiche gli assicurarono improvvisa fama e oggi – alla luce degli snodi del primo Seicento italiano – gli assegnano un ruolo di assoluto rilievo tra i precursori della monodia accompagnata.
La sua vena creativa si interruppe nel 1609, tanto che egli passò a una nuova attività esercitando, per conto degli Este duchi di Modena e Reggio o dei loro feudatari Bentivoglio, la carica di podestà in diverse giurisdizioni del ducato: Guiglia (1612-14), Gualtieri (1617-21), Brandola (1621-22), Sassuolo (dal 1° apr. 1622 al 17 nov. 1624), Toano (fino al 7 sett. 1626), Soliera (fino al 1628) e Brescello (dal 1629 al 1633 circa).
Numerose carte autografe del M., specialmente quelle di natura amministrativa, ci informano sulla sua condotta podestarile. In esse emerge la sua personalità equa e ponderata e talvolta vi affiorano cenni autobiografici o notizie musicali. Particolare interesse rivestono le sue lettere indirizzate al nobile Enzo Bentivoglio, parzialmente pubblicate di recente (Fabris). In una di queste, spedita da Gualtieri il 7 genn. 1619, il M. annunciava di essere stato eletto priore della Compagnia della buona morte di Reggio e in tale veste rivelava di voler organizzare degne musiche confraternali (reclutando cantori ed esecutori) per l’imminente e solenne traslazione della sacra immagine della Madonna della Ghiara nel nuovo tempio cittadino a lei dedicato (ibid., p. 359). In un’altra lettera, inviata da Sassuolo il 23febbr. 1623, manifestava inquietudine per la sorte di alcuni volumi della sua biblioteca (tra i quali le rime del Petrarca e del Tasso, «l’Arcadia del Sannazaro e varie commedie»), indebitamente sottratti da un suo collaboratore (ibid., pp. 388 s.). Infine, in una carta spedita da Brescello l’11 giugno 1631, accennava a un suo probabile trasferimento alla podesteria di Castelnovo di Sotto e chiedeva a Bentivoglio di intercedere presso il duca di Mantova Carlo I Gonzaga Nevers affinché autorizzasse un suo soggiorno a Dosolo, dove suo figlio Francesco stava per sposare tale Margherita Tiraboschi (ibid., p. 452).
Si ignorano il luogo e la data della sua morte, avvenuta comunque dopo il 1633.
Stampate con i tipi dell’editore veneziano Giacomo Vincenti, le opere del M. presentano alcuni tratti peculiari. La prima raccolta, la cui lettera dedicatoria data 26 marzo 1602, apre la fervida stagione della monodia accompagnata perché precedette, seppure di poco, le Nuove musiche di Giulio Caccini (che ottennero la licenza di stampa solo il 30 giugno). Anzi, in tale dedicatoria il M. rivelava di avere iniziato la stesura dei suoi pezzi negli anni Novanta del Cinquecento, durante le pause di studio del diritto: «in quei tempi ch’io li composi hebbi altro fine che di passar cantando alle volte quel tempo che doppo il studio delle Leggi mi sopravanzava». In effetti, nel 1602 egli si presentò all’editore con un cospicuo numero di brani già pronti, tanto che risolse di pubblicarli in due raccolte disgiunte: 18 uscirono appunto dopo il 26 marzo e i restanti 23 apparvero a breve distanza, con dedicatoria datata 10 settembre.
La seconda raccolta includeva l’aria Se di farmi morire, riedita da R. Dowland in un’antologia londinese del 1610 (A musicall banquet) comprendente il meglio della coeva musica vocale europea e nella quale il M. e Caccini erano gli unici compositori italiani presenti. Tra il 1603 e il 1609 fu scritta la terza e ultima raccolta, la più articolata nella forma e nello stile e la più consistente (25 composizioni, «nelle quali si contengono madrigali, arie, scherzi, sonetti, dialoghi»), la cui pubblicazione, incoraggiata dal giureconsulto modenese Carlo Albinelli, fu dedicata a Federico Rossi, conte di San Secondo. Il M. rivelò gusti «aggiornati» anche nella scelta dei testi poetici da musicare, scartando gli autori frequentati dalla musica madrigalistica del sec. XVI a favore dei poeti della sua generazione (quali B. Guarini, G. Chiabrera, G.B. Marino, O. Rinuccini, C. Rinaldi e R. Arlotti, la cui canzonetta Arde il core e non chiede apre la prima raccolta). In generale, lo stile del M. si avvicina a quello di Caccini nell’uso prevalente di armonie diatoniche e nella specifica attenzione alle connessioni tra la linea del canto e del basso continuo; nondimeno se ne discosta per l’impiego talvolta ardito di progressioni e cromatismi, nonché per un ricorso più sobrio all’ornamentazione melodica, verosimilmente lasciata alla discrezione improvvisativa dei solisti di canto.
Opere: Musiche di D.M. Melio reggiano dottor di leggi composte sopra alcuni madrigali di diversi. Per cantare nel chittarone, clavicembalo, et altri instromenti… (Venezia 1602; rist. nel 1603 e nel 1609 con il titolo Le prime musiche di D.M. Megli… nelle quali si contengono madrigali et arie a una et due voci…); Le seconde musiche… nelle quali si contengono madrigali, canzonette, arie, et dialoghi, a una et due voci…, sì in soprano, come in tenore, et trasportate, comodo per qual parte si piace… (ibid. 1602; rist. nel 1609); Le terze musiche… nelle quali si contengono madrigali, arie, scherzi, sonetti, dialoghi, et altre, per cantare nel chittarone, clavicembalo, et altro instrumento per una et due voci… (ibid. 1609).
Il M. è stato talora confuso con due omonimi vissuti a metà del sec. XVII, ovvero l’autore di un compendio di grammatica e un fonditore di campane (Tiraboschi).
Fonti e Bibl.: Reggio Emilia, Archivio del Battistero, Libri dei battezzati, 1545-75; N. Tacoli, Parte seconda d’alcune memorie storiche della città di Reggio di Lombardia…, Parma 1748, p. 244; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori…, Modena 1786, pp. 137 s.; N. Cionini, I podestà di Sassuolo, Pisa 1879-81, pp. 63, 107 s.; F. Torelli, Una prima documentazione sui Melii, musicisti di Reggio Emilia, in Il Flauto dolce, X-XI (1984), pp. 35-39; D. Fabris, Mecenati e musici. Documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell’epoca di Monteverdi (1585-1645), Lucca 1999, pp. 332, 343, 347, 359, 364, 367, 388 s., 452; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, p. 352.
S. Rodolfi