MANCINI, Domenico
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo pittore, attivo in area padana all'inizio del secondo decennio del XVI secolo.
L'unica sua opera nota è una Madonna in trono col Bambino e un angelo musicante, firmata e datata 1511, attualmente conservata nel duomo di S. Sofia a Lendinara. Il dipinto, pur essendo in larga parte di derivazione, non ha mancato di richiamare l'attenzione della critica, che ne ha da sempre riconosciuto, forse con enfasi eccessiva, l'alta qualità esecutiva; esso è collocabile facilmente nell'orizzonte della pittura veneziana del primo decennio del XVI secolo, gravitante attorno a Giovanni Bellini, al fenomeno del cosiddetto "giorgionismo" e, in particolare, alla maniera della prima attività di Tiziano. Si è in definitiva via via creato un vero e proprio "caso Mancini" che fa ancora discutere gli storici dell'arte.
La tavola, ricordata dalle fonti già nel 1569, proviene dalla chiesa di S. Francesco nella stessa Lendinara, dove era collocata sull'altare della cappella dell'Immacolata Concezione (Sgarbi - Pizzamano, in Brandolese, p. 69); in origine faceva parte di un trittico comprendente due scomparti laterali raffiguranti rispettivamente i Ss. Giovanni Evangelista e Giacomo e S. Girolamo e un altro santo non identificato. In seguito allo smembramento dell'opera, avvenuto in occasione della soppressione del complesso conventuale francescano nel 1769, i due pannelli furono ricoverati nella chiesa di S. Maria Elisabetta e, dopo la demolizione dell'edificio, passarono in possesso di Brandolese, come egli stesso testimonia (p. 33); oggi risultano dispersi. La parte centrale, invece, venne trasferita dalla Confraternita della Ss. Concezione di S. Francesco in S. Sofia, dove lo stesso Brandolese ne registrò la presenza nel 1795 (p. 32). La Madonna col Bambino è delineata sul modello della pala con la Madonna col Bambino e i ss. Pietro, Caterina, Lucia e Girolamo e un angelo musicante, eseguita da Giovanni Bellini per la chiesa veneziana di S. Zaccaria nel 1505, di cui ripete con minime varianti la composizione, le pose e le tonalità cromatiche. Il viso dell'angelo che suona il liuto, invece, presenta analogie stringenti (Joannides, p. 125) con il volto del Compagno della Calza affrescato da Tiziano sulla facciata di terra del fondaco dei Tedeschi (Venezia, Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro), estremamente rovinato ma "leggibile" attraverso un'acquaforte di Anton Maria Zanetti (1760). Gli esiti delle indagini radiografiche (1978) e riflettografiche (1983), che evidenziano alcuni lievi cambiamenti, in particolare rispetto a una prima redazione dell'angelo, e il riconoscimento di una congruenza francamente piuttosto debole con lo stile di Dosso Dossi (Giovanni Luteri) hanno condotto Trevisani a sostenere l'idea di un completo rifacimento della tavola da parte di Dosso. L'ipotesi, accolta con molta cautela dai soli Sgarbi e Pizzamano (p. 72), risulta però assai problematica perché eccessivamente vaga rispetto alle circostanze e alle ragioni dell'eventuale intervento, oltre che per il tentativo di accostare il viso dell'angelo alle sembianze del s. Sebastiano che figura nella pala con la Madonna in gloria e santi, licenziata da Dosso per il duomo di Modena. Il menzionato affresco tizianesco, tuttavia, consente di individuare la "fonte" dell'angelo lendinarese, permettendo di confutare almeno le congetture intorno al modello proposto in rapporto alla parte inferiore dell'opera del M., ritenute del resto insostenibili, nel complesso, da gran parte della letteratura successiva.
Tale carattere stilistico ha suggerito la possibilità di costruire un piccolo corpus per il M., orientando la ricerca, peraltro senza risultati apprezzabili, tra i dipinti anonimi o problematici di area veneta, tra le repliche del maestro uscite dalla bottega di Bellini, così come tra le più controverse opere del giovane Tiziano.
Wilde, che per primo tentò di trovare una sistematica soluzione al problema Mancini, aveva raggruppato una piccola serie di dipinti sotto il nome del Maestro degli Idilli, proponendone l'identificazione con l'autore della tavola lendinarese. La congettura, relativa a opere anonime come il cosiddetto Concerto già Landsdowne (Pulborough, Sussex, Bignor Park) e alla tela raffigurante Due ninfe e un pastore (Londra, National Gallery), risulta accettata ancora negli anni Cinquanta, per perdere poi progressivamente seguito. Tra le annotazioni dello studioso va comunque registrata l'attenta focalizzazione, ricca di sviluppi, delle forti somiglianze tra le pieghe ombreggiate della manica destra di Maria e della forma della sua veste terminante sotto i piedi del Bambino nella pala di Lendinara e le stesse parti del dipinto, oggi generalmente assegnato a Tiziano, che rappresenta la Madonna col Bambino tra i ss. Antonio da Padova e Rocco (Madrid, Prado). Nel 1949 Gamba (p. 211) presentò come opera del M. una Madonna col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Pietro, che all'epoca apparteneva alla sua collezione e ora non è più reperibile. L'attribuzione era sostenuta in ragione del riscontro di analogie stilistiche con la Madonna lendinarese, ormai non più discutibili a causa della scomparsa del dipinto, sebbene esso sia annoverato tra i possibili autografi ancora da Romagnolo (p. 420) e Hope (1996, p. 241). Gamba (p. 211, fig. 164) dava inoltre conto della presenza del nome "Mancini" nella medaglia dipinta sul cappello di uno dei due personaggi raffigurati in un'opera della raccolta Dalla Zonca di Venezia, qualificata con il titolo generico di Due amanti e di cui non si hanno più notizie. L'iscrizione appariva posticcia già all'epoca, ma lo studioso riteneva che potesse conservare la memoria di una scritta originale. L'opera costituisce tuttavia una delle repliche di un dipinto della Pinacoteca di Dresda, ragionevolmente assegnato ad Altobello Meloni. Nei suoi elenchi della pittura veneziana Berenson (p. 111) accolse erroneamente il dipinto già Dalla Zonca come firmato, accostandogli in modo non corretto un piccolo gruppo di opere, passate poi, con maggiore sostegno argomentativo, nei cataloghi di altri artisti di area veneta. Zampetti (pp. 113, 208) invece assegnò al pittore, sia pure ipoteticamente, la tela con Cristo e l'adultera di Glasgow (Kelvingrove Art Gallery and Museum), legata in genere al nome di Tiziano, nonché un Ritratto di suonatore (Vienna, Kunsthistorisches Museum), riconoscendovi un'inspiegabile affinità con la pala di Lendinara. Più di recente la questione di un possibile nucleo di dipinti assegnabile al M. è stata ripresa da Richardson che, pur non sottraendo all'anonimato il Cristo e l'adultera di Glasgow e la Madonna col Bambino del Prado, ha insistito sulle analogie delle due tele con la pala di Lendinara, reputando l'ipotesi dell'autografia manciniana quantomeno legittima. Nella stessa linea analitica si sono quindi collocati Hope (1993, 1996, 2003) e Holberton, disponibili a sottrarre definitivamente al corpus tizianesco i due dipinti in questione, perché ritenuti poco coerenti con il resto della produzione giovanile del pittore cadorino, e a inscriverli nel catalogo del Mancini. Holberton in particolare (pp. 257 s.), confortato dall'opinione di Hope, si è espresso decisamente per l'assegnazione al M. anche del Concerto campestre del Louvre. Del medesimo parere, sebbene non circostanziato, è Brown, che ha ritenuto possibile spendere il nome del M. anche in relazione ad altre due opere assai problematiche e appartenenti presumibilmente alla giovinezza di Tiziano, la Fuga in Egitto (San Pietroburgo, Ermitage) e la Madonna col Bambino Bache (New York, Metropolitan Museum). Tali supposizioni - che non hanno incontrato il favore diffuso della comunità scientifica, incline piuttosto a privilegiare le tradizionali assegnazioni in favore di Tiziano - sono fondate sulla rilevazione di alcuni dettagli condivisi dai dipinti esaminati, ma che non paiono sufficienti a sostenere l'espunzione del nucleo di dipinti discusso dal catalogo tizianesco e il conseguente passaggio in quello del Mancini. Detto della sorprendente somiglianza tra la paletta del Prado e la tavola del M. (Wilde, p. 99), sembrano in effetti superficiali, per esempio, le similitudini riscontrate da Holberton tra il viso dell'angelo di Lendinara e quello dell'adultera, così come quelle tra il panneggio della Madonna e il drappo attorno alla vita dello stesso personaggio nella tela di Glasgow, o comunque non tali da legittimare l'espansione del catalogo del M. nella direzione supposta. Rimane maggiormente plausibile e tutto sommato più semplice l'ipotesi che il M. avesse avuto occasione di studiare le opere del primo decennio di Tiziano, compresi i discussi affreschi del fondaco - per la datazione dei quali il dipinto lendinarese potrebbe costituire un terminus ante quem - magari collaborando con lui in qualche circostanza e rielaborandone gli spunti nella pala di Lendinara. Essa - non lo si può sottovalutare - è un collage di modelli e non consente congetture più ampie sullo stile dell'artista, destinato, salvo decisivi ritrovamenti documentari, a rimanere poco meno che anonimo.
Fonti e Bibl.: P. Brandolese, Del genio de' Lendinaresi per la pittura e di alcune pregevoli pitture di Lendinara (1795), a cura di V. Sgarbi, Rovigo 1990, pp. 32 s., 40 e 69-73 (Schede critiche, a cura di V. Sgarbi - P. Pizzamano); B. Berenson, Pitture italiane del Rinascimento. La scuola veneta (1932), Firenze 1958, I, pp. 110 s.; II, tavv. 692-696; J. Wilde, Die Probleme um D. M., in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, VII (1933), pp. 97-135; Cinque secoli di pittura veneta (catal.), a cura di R. Pallucchini, Venezia 1945, pp. 72 s.; C. Gamba, Contributi alla conoscenza di D. M., in Critica d'arte, VIII (1949), 3, pp. 211-217; Giorgione e i giorgioneschi (catal.), a cura di P. Zampetti, Venezia 1955, pp. 113, 200, 206-210; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia 1962, I, pp. 20, 25, 35, 39, 55, 118, 246, 301; II, tavv. 601-604; T. Pignatti, Giorgione, Venezia 1969, pp. 128, 140; L. Magugliani, Introduzione a Giorgione e alla pittura veneziana del Rinascimento, Milano 1970, p. 151; S.J. Freedberg, La pittura in Italia dal 1500 al 1600 (1971), Bologna 1988, pp. 185 s.; R. Pallucchini - F. Rossi, Giovanni Cariani, Cinisello Balsamo 1983, pp. 326, 362; F.L. Richardson, in The genius of Venice (catal.), a cura di J. Martineau - C. Hope, London 1983, pp. 168-171 (schede nn. 34, 35); F. Trevisani, La pala della Madonna in trono, in Restauri nel Polesine (catal., Rovigo), a cura di F. Trevisani, Milano 1984, pp. 133-166 (con bibl.); D.A. Brown, Bellini e Tiziano, in Tiziano (catal.), Venezia 1990, p. 66 n. 19; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, III, Supplemento e ampliamenti, Hildesheim-Zürich-New York 1991, p. 86; P. Pizzamano, Le pitture, in P.L. Bagatin - P. Pizzamano - B. Rigobello, Lendinara, Treviso 1992, pp. 209 s., 219 s.; Id., Il duomo e la torre campanaria di S. Sofia, in Il duomo di S. Sofia nel bicentenario della consacrazione, Lendinara 1993, pp. 44 s.; A. Ballarin, in Le siècle de Titien (catal.), Paris 1993, pp. 351, 385, 402 s. (schede nn. 36, 42 a, 44); P. Holberton, The pastorale or fête champêtre in the early sixteenth century, in Titian 500, a cura di J. Manca, Washington, DC, 1993, pp. 256 s.; C. Hope, Tempest over Titian, in The New York Review of books, 10 june 1993, pp. 25 s.; Id., in The Dictionary of art, XX, London 1996, pp. 240 s.; A. Romagnolo, La pittura nel Polesine di Rovigo 1500-1540, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1996, pp. 417-420; P. Joannides, Titian to 1518, New Haven-London 2001, pp. 98, 125; M. Falomir, in Tiziano (catal.), a cura di M. Falomir, Madrid 2003, pp. 142 s. (scheda n. 3); C. Hope, Titian's life and times, in Titian (catal.), a cura di M. Jaffé, London 2003, p. 14; P. Humfrey, Christ and the adulteress and Head of a man, in The age of Titian. Venetian Renaissance art from Scottish collections (catal.), a cura di P. Humfrey et al., Edinburgh 2004, pp. 80-82; I.M. Faggetta, in Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara dal Quattrocento al Settecento (catal., Rovigo), a cura di V. Sgarbi, Cinisello Balsamo 2006, pp. 64 s. (scheda n. 13); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 604.