GUGLIELMINI, Domenico
Nacque a Bologna, da Giulio e da Gentile Neri, il 27 sett. 1655. A Bologna studiò matematica con G. Montanari e medicina con M. Malpighi: dal primo fu introdotto alle scienze fisiche e all'osservazione astronomica, dall'altro apprese la biologia, l'anatomia e le tecniche d'uso del microscopio, secondo gli indirizzi sperimentali di cui i due professori erano sostenitori nello Studio bolognese.
A Bologna l'attività delle accademie private era strettamente connessa all'insegnamento universitario ed era prassi corrente, attuata dai docenti, impartire lezioni in casa propria, per introdurre nuovi metodi di studio e nuove materie rispetto a quelle dell'insegnamento ufficiale. Montanari nel 1655 organizzò l'Accademia della Traccia o dei Filosofi, che aveva un netto carattere di scuola e della quale il G. fu membro. L'Accademia, con un'impostazione filosofico-sperimentale secondo l'ideale baconiano di pubblica utilità della scienza, terminò la sua attività nel 1678.
Ventunenne, il G. prese parte alla controversia sorta tra Montanari e P.M. Cavina sulla distanza dalla Terra di una meteora apparsa nel 1676, sostenendo pubblicamente le tesi del primo nello scritto Volantis flammae… (Bologna 1677). Il 29 ag. 1678 si laureò in medicina e l'anno successivo gli fu concessa la lettura onoraria di matematica.
Risale al 15 sett. del 1680 una lettera del G. a Montanari, di notevole interesse per la scienza delle acque, che fu uno tra i preminenti interessi del Guglielmini. Nello scritto si richiamò alla tradizione emiliana degli studi di idraulica, di idrometria e regolazione delle acque - rappresentata, tra gli altri, da B. Castelli, G.D. Cassini, G.B. Barattieri, G.B. Riccioli e dallo stesso Montanari - che aveva come fonti l'idrostatica archimedea, le opere di G. Dal Monte e il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua di G. Galilei, per affermare che uno dei fattori determinanti di distinzione tra le leggi della velocità acquisita dai gravi e quelle dello scorrimento delle acque era riposto nella pressione esercitata dal liquido in superficie. Prendendo le distanze dal Castelli, il G. ritenne che il rapporto tra velocità e pressione delle varie parti dell'acqua segue la legge della "subduplicata proporzione delle profondità, e non della semplice proporzione che era necessario accordare alla teoria di Castelli" (Maffioli, 1994, p. 168).
Negli anni 1680-81 gli interessi del G. furono però rivolti verso la natura delle comete e, sulla scia di Montanari, che aveva rifiutato la tesi aristotelica dell'eternità dei corpi celesti, egli sostenne la tesi cartesiana nella De cometarum natura et ortu epistolica dissertatio…, pubblicata a Bologna nel 1681.
Nello scritto il G. si mostra seguace della cosmogonia cartesiana, dunque della teoria della costituzione dell'universo a partire dai tourbillons che avvolgono ogni astro, e di quella relativa alla formazione delle comete, secondo la quale queste sarebbero prodotte dall'aggregazione delle particelle pesanti del terzo elemento e si porrebbero in orbite esterne al cielo, essendo corpi sopralunari, in accordo con le osservazioni di T. Brahe. Il G., tuttavia, considerava la tesi non una spiegazione "vera o verisimile", ma l'unica ipotesi atta a "render conto" dei fenomeni.
Nel 1684 stampò a Bologna l'Observatio solaris eclipsis anni 1684. Bononiae habita die 12 Iulii… Passò poi a occuparsi di chimica, mostrandosi seguace delle dottrine atomistiche nelle Riflessioni filosofiche dedotte dalle figure de' sali, discorso tenuto nell'Accademia di A.F. Marsigli il 21 marzo 1688 e pubblicato, con dedica al principe M. Borghese, nel Giornale de' letterati (X, [1688], pp. 231-261; poi in volume, Padova 1706), ampliato in un secondo tempo nella De salibus dissertatio… (Venezia 1705), dedicata a C. Martinelli e avversata da G.C. Schelhammer.
L'Accademia filosofica sperimentale di A.F. Marsigli - della quale il G. fu membro dal 1687 - per la concezione del metodo, delle possibilità e finalità della scienza, non era lontana da quella di G. Montanari. Marsigli insisteva sulla distinzione tra il campo della rivelazione, riservato ai teologi, e quello dell'esperienza, proprio di una filosofia che escluda la metafisica dal suo ambito. A differenza dell'Accademia di Montanari, essa non aveva carattere di scuola e funse da esempio quale modello organizzativo per la riforma, da Montanari proposta ma non attuata, per rimediare alla decadenza nella quale in quegli anni versava lo Studio bolognese. L'Accademia si estinse nel 1689.
Nella Dissertatio, considerata un notevole contributo alla fondazione della cristallografia moderna, il G. sviluppa alcune considerazioni epistemologiche non dissimili da quelle di Montanari, affermando che la via per pervenire alla verità consiste nel fondare la filosofia sulla storia naturale, avvalendosi del metodo baconiano e seguendo la lezione galileiana di matematicizzazione e geometrizzazione della natura.
Lo scritto del G., che precorre le scoperte di R.-J. Haüy (1743-1822), va collocato: in primo luogo nell'ambito degli studi chimici coltivati in Germania e in Inghilterra da J.R. Glauber, R. Boyle, F. Hoffmann, J. Mayow ecc., dato che il G., che condusse le sue ricerche sui sali con il microscopio, attribuiva alla disciplina un fondamento empirico e sperimentale contro la tradizione alchemica, pur nella specifica indagine relativa alla forma dei sali; in secondo luogo, nell'ambito dell'atomismo italiano della seconda metà del XVII secolo, che faceva capo all'idea della quantità indivisibile in geometria (corrispondente a quella di atomo in fisica), formulata da B. Cavalieri. A proposito della cristallizzazione dei sali, il G. afferma che gli angoli formati dalle facce dei cristalli sono costanti e la forma del cristallo grosso è analoga a quella delle minime particelle dello stesso: ogni cristallo è, infatti, un aggregato di corpuscoli ed è la risultante di particelle elementari di forma poliedrica. La tesi del G. fu rifiutata da W. Homberg, il quale affermò che la figura costante dei sali nella loro cristallizzazione deriva dagli alcali con i quali si uniscono.
L'11 luglio 1686 il Senato di Bologna conferì al G. l'intendenza generale delle acque nel Bolognese. Già a partire dal 1681, l'assunteria di Confini ed Acque nominò il G. "teorico matematico" da affiancare al pubblico perito C. Saccenti nelle misurazioni di verifica relative a una proposta avanzata da Ferrara concernente il ripristino della navigazione tra Bologna e Ferrara. Nel 1686 il Senato bolognese bandì un concorso per la soprintendenza e il G. venne preferito al modenese G. Rondelli. In seguito, il G. avanzò varie proposte per ripristinare la navigazione tra le due città. I Ferraresi volevano incanalare il Reno di valle in valle mentre, secondo il G., il ricettacolo naturale dei fiumi non sono le valli, ma il mare o un "fiume reale". Tra il 1686 e il 1691 l'attività di mediazione e di informazione svolta dal G. tra le due città fu molto intensa ed egli sostenne il progetto di inalveazione del Reno nel Po.
Il 29 ott. 1690 gli fu conferito l'incarico di professore di matematica - fu il primo a spiegare, a Bologna, i principî della geometria analitica di Cartesio - e la direzione del Taccuino astronomico e astrologico medico; fu nominato soprintendente alla chiusa di Casalecchio, ai paraporti, al ponte di Reno e tra il 1690 e il 1691 pubblicò a Bologna, in due parti, lo scritto Aquarum fluentium mensura…, dedicato al Senato bolognese e subito recensito dagli Acta eruditorum Lipsiae, che accompagnarono il resoconto con le note critiche di D. Papin, dalle quali prese avvio un dibattito tra i due scienziati che coinvolse G.W. Leibniz, Ch. Huygens e A. Magliabechi.
Il punto di partenza dello scritto è la dimostrazione del principio dell'efflusso elaborato da E. Torricelli, che il G. estende ai casi dell'efflusso in canali inclinati od orizzontali in base alle leggi galileiane relative al moto uniforme o uniformemente accelerato dei corpi, quindi alle regole relative al momento della discesa dei gravi sui piani inclinati. La distribuzione parabolica delle velocità lungo la verticale, con valore nullo in superficie (rappresentativa del valore delle diverse velocità medie nei differenti punti di una sezione trasversale), comporta che le portate varino come "i cubi delle velocità al fondo: poiché queste sono proporzionali alle radici quadrate delle profondità, le portate stesse sono proporzionali alle potenze 3/2 delle profondità". La regola del G. individua una costante tra la portata e l'altezza della sezione e, a differenza di Galilei e Borrelli, interessati al moto accelerato delle acque, egli applica il grafico delle velocità a un "flumine in eodem statu manente", considerando i diversi valori delle velocità in ogni parte del fiume, indipendentemente dalla relazione tra tempo e spazio percorso.
La prima recensione dello scritto negli Acta eruditorum Lipsiae del febbraio 1691 (pp. 72-75), attribuita a Leibniz, suscitò la reazione di Papin, che contrastò le tesi del G. negli Acta del maggio 1691 (pp. 208-213), sulla base della dimostrazione "syphonis Wurtembergi in vertice effluentis" pubblicata negli Acta del maggio 1590 (pp. 223-228). Il G. fu informato delle obiezioni dello scienziato francese - formulate in base alla sola lettura della recensione, piuttosto che del libro del G. - da una lettera di Leibniz a Magliabechi del 23 ag. 1691, prima di leggerle negli Acta. Dopo aver visto il giornale, scrisse a Leibniz (24 dic. 1691) per avere il suo giudizio sulla questione. Questa lettera fu seguita da un'altra a Magliabechi (16 febbr. 1692), relativa ai sifoni, contro le tesi sostenute da Papin che si basavano sulle osservazioni condotte nel Württemberg. Le due lettere furono stampate con il titolo di Epistolae duae hydrostaticae… (Bologna 1692).
Il rapporto tra il G. e Leibniz, di fondamentale importanza per i successivi sviluppi della scienza bolognese e per l'introduzione in Italia del calcolo infinitesimale - Leibniz vide nel G. uno dei pochi in grado di contribuire alla diffusione del calcolo nella penisola - iniziò a Bologna, tra il 26 e il 27 dic. 1689, quando Leibniz andò a visitare M. Malpighi in compagnia del G., e proseguì attraverso la corrispondenza sia diretta che i due intrattennero tra il 1690 e il 1692, quindi tra il 1696 e il 1705, sia indiretta, che aveva quale principale intermediario Magliabechi; sono, inoltre, numerosi i riferimenti al G. rinvenibili nel corpus della corrispondenza leibniziana. Le lettere tra i due, oltre al principio dell'efflusso o alla teoria guglielminiana delle salium figurae, condivisa da Leibniz, oltre alle concezioni leibniziane della monadologia e dell'armonia prestabilita, riguardarono la polemica tra "empirici e razionali", protrattasi anche dopo la morte di Malpighi e relativa all'applicabilità dei teoremi fisico-matematici alla fisiologia, dunque alla validità del modello meccanicistico nell'ambito delle "scienze della vita", nel momento in cui Leibniz maturava la sua critica al meccanicismo.
Alla fine del 1692 Innocenzo XII inviò i cardinali F. D'Adda e F. Barberini per dirimere la controversia tra Bologna e Ferrara, relativa all'inalveazione del corso del Reno nel Po. I due incaricarono il G. quale intendente delle acque nel Ferrarese e nel territorio di Ravenna, commissionandogli la progettazione di lavori idraulici che, tuttavia, non ebbero esecuzione.
Nel 1694 a Bologna fu istituita, appositamente per il G., la nuova cattedra di idrometria, la prima in Europa: l'avvenimento segnò il riconoscimento dello statuto di scienza a una disciplina che precedentemente era stata considerata parte dello studio delle "matematiche miste" e determinò l'evoluzione della stessa da tecnica e pratica delle acque - così come era concepita, ad esempio, da Riccioli - a disciplina teorica.
Nel 1695 il G. aiutò Cassini, tornato a Bologna, a restaurare e perfezionare la meridiana costruita nella chiesa di S. Petronio circa quarant'anni prima, della quale il G. si era più volte servito. Il G. pubblicò poi il resoconto delle operazioni necessarie alla costruzione e alla verifica dello strumento (in G.D. Cassini, La meridiana del tempio di S. Petronio… rivista e restaurata l'anno 1695, Bologna 1695, pp. 34-38). Il rapporto con Cassini, che proseguì attraverso la corrispondenza, gli permise di entrare a far parte di due tra le più prestigiose istituzioni scientifiche del periodo: nel 1696 fu ammesso al numero degli associati dell'Académie royale des sciences di Parigi e, l'anno successivo, tra quelli della Royal Society; fu lo stesso Cassini a suggerire al G. di dedicare a J.P. Bignon, presidente dell'Accademia parigina, lo scritto considerato dai contemporanei, così come dalla più recente storiografia, la sua opera principale: Della natura de' fiumi, trattato fisico-matematico (Bologna 1697).
Nell'esposizione programmatica del metodo adottato per l'investigazione delle proprietà dei fiumi, il G. sincretizza diversi approcci riconducibili alla scuola galileiana e a quella medico-naturalistica facente capo a Malpighi. Lo scopo dello scritto è la ricerca delle proprietà dei fiumi e delle loro ragioni. Il G. si propone, infatti, di "mettere in chiaro" le regole osservate "dalla natura medesima nella condotta de' fiumi", mentre è affermata anche la finalità pratica verso cui la "scienza delle acque" è proiettata: quella, cioè, di "illuminare" gli architetti delle acque affinché la conoscenza delle cause non li faccia più agire ciecamente. L'esperienza, infatti, secondo il G., non va scissa dalle teorie e nel capitolo IV (pp. 52-83) egli mette a punto l'ipotesi secondo la quale la natura del fluido è riposta nella "tessitura" e figura nelle minime particelle che lo compongono. Il modello meccanicistico permette di cogliere le differenze e le analogie tra corpi solidi e liquidi: "mentre in un corpo solido il moto rettilineo del centro della sua massa è lo stesso delle sue parti, il fluido è composto da piccole particelle distaccate che si muovono in diverse direzioni con differenti velocità" (Maffioli, 1994, p. 262). Il G., tuttavia, considerava le singole particelle dei fluidi soggette alle stesse leggi del moto dei corpi solidi e nell'analisi della composizione delle forze tra di esse egli formula i principî dell'idrometria basandosi su una concezione atomistica del corpo naturale, al quale è possibile estendere il trattamento matematico (ibid., pp. 256-262). Oltre a stabilire i principî dello scorrimento delle acque, nel Della natura de' fiumi il G. riferisce i dati dell'osservazione empirica relativi ai fiumi, ne descrive i cambiamenti del corso, le cause degli straripamenti, la necessità e opportunità di costruire dighe o leve per contenere le acque o per sopperire alla debolezza degli argini.
Lo scritto ebbe vasta eco: Cremona e Mantova ricorsero al G.; la Repubblica di Venezia il 16 nov. 1698 gli conferì la cattedra di matematica a Padova, vacante per la morte di S. Angeli, mentre continuava a conservare il titolo di professore a Bologna, e nel 1700 lo inviò in Dalmazia a riparare le rovine di Castelnuovo, quindi in Friuli.
Nel 1701 il G. pubblicò a Venezia la dissertazione De sanguinis natura et constitutione ristampata in Olanda (Ultraiecti 1704); nel 1702 ottenne la cattedra di medicina teorica a Padova e stampò a Venezia la Pro theorica medica adversus empiricam sectam praelectio… (ristampata a Utrecht nel 1704 insieme con il De sanguinis), con la quale attaccò G.G. Sbaraglia in difesa delle teorie malpighiane. Nel 1706 scrisse la Exercitatio de idearum vitiis…, stampata a Padova, poi a Leida nel 1709; nel 1710 a Venezia pubblicò il De principio sulphureo, dedicato a Clemente XI.
Negli studi medici il G. è seguace delle teorie iatromeccaniche che riconducevano la chimica alla meccanica corpuscolare, ai principî meccanicistici e all'applicabilità dei teoremi fisico-matematici alla fisiologia, sulle orme di Borrelli, Bellini e Malpighi: secondo il G. lo studio del "corpo idraulico" e quello del "corpo umano" dovevano avvalersi di metodi tra loro affini e nessuna delle scienze fisiche, tra cui la medicina, poteva essere affrontata prescindendo dalla meccanica, dalla geometria e dall'aritmetica.
Il G. morì a Padova il 12 luglio 1710 e fu sepolto nella chiesa di S. Massimo.
La sua Opera omnia mathematica, hydraulica, medica et physica fu pubblicata postuma, in due volumi, a Ginevra, nel 1719.
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