GRADENIGO, Domenico
Figlio di Giacomo di Pietro, discendente in linea diretta dal doge Pietro, e di Elena Zorzi di Andrea, nacque a Venezia intorno al 1423. I genitori si erano uniti in matrimonio l'anno precedente, e oltre a lui ebbero almeno un altro figlio maschio, cui venne attribuito il nome Giacomo, ricorrente nella famiglia a ogni generazione. Di eventuali sorelle le fonti tacciono.
Nulla si conosce della sua infanzia e della sua giovinezza, così che i primi dati certi riguardano la sua ammissione al Maggior Consiglio, nel 1447, al raggiungimento dei 25 anni prescritti dalla legge, e il matrimonio, risalente allo stesso anno, con Lucrezia, figlia di Pantaleone da Veglia (o da Veggia). Il fratello Giacomo, più giovane di 5-6 anni, presentato in avogaria di Comun dalla madre, ormai vedova, fu invece ammesso il 29 nov. 1448 a seguito dell'estrazione della balla d'oro.
Il G., almeno per quanto è dato conoscere, si affacciò sulla scena politica veneziana alquanto avanti con gli anni, forse per una precisa scelta di vita, o perché non particolarmente favorito dalla sorte, o piuttosto perché in quel periodo la buona stella dei Gradenigo conosceva una momentanea congiuntura d'appannamento dopo la sfolgorante parabola trecentesca. Il primo incarico pubblico di cui si abbia notizia risale infatti al 5 maggio 1460, quando fu eletto advocatus per Curias. L'ufficio era di nessuna importanza politica ma, riservato per legge ai patrizi, consentiva loro di lucrare stipendio e utilità varie. Che il G. in questi anni fosse particolarmente interessato a irrobustire il patrimonio familiare appare ulteriormente dimostrato dal fatto che il 15 maggio 1462 concorse all'appalto di una delle galere della "muda" di Beirut, aggiudicandosi la seconda delle quattro messe all'incanto per la somma di 242 lire (di grossi) e 1 ducato.
Di modesto spessore anche i pochi incarichi sostenuti negli anni immediatamente successivi. Eletto sopraconsole nel maggio 1463, lasciò l'ufficio nel seguente mese di giugno per passare tra gli auditores veterum sententiarum (auditori vecchi), ruolo che gli garantiva maggiori utilità, mentre tra il 1466 e il 1467 fu ufficiale ad videndum rationes X officiorum, magistratura revisoria che richiedeva specifiche capacità tecniche piuttosto che particolare predisposizione alle difficili arti della politica e della diplomazia. Appare quindi decisamente in controtendenza e affatto sorprendente la nomina del G. ad ambasciatore presso Giacomo II di Lusignano, re di Cipro, avvenuta il 9 giugno 1469. In questa occasione il G. aveva il compito di definire nei dettagli le nozze del sovrano con Caterina Corner, da tempo concordate, e accogliere sotto la formale protezione della Repubblica l'isola - importantissima per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo orientale, e per questo ambita anche da Turchi e Aragonesi. Si trattò in ogni caso di una missione diplomatica di non eccezionale rilevanza, visto che il quadro generale era ormai ampiamente tracciato, ma che richiese pur sempre al G. abilità, tatto, accortezza, senso della misura, in considerazione anche del delicato momento attraversato da Venezia, impegnata in un difficile confronto con i Turchi. Il G. rispose pienamente alle aspettative riposte in lui dal Pregadi e, portate felicemente a termine le trattative con il sovrano, poté far ritorno in patria prima dell'inverno.
Nell'aprile dell'anno successivo, il G. fu quindi eletto capitanio delle galere di Alessandria, incarico militare gravato di non poche responsabilità, che gli consentì di misurarsi ancora una volta con esperienze del tutto inusitate e di mettere in mostra anche buone capacità di comando.
Dopo un'assenza di qualche anno dalle scene pubbliche, ai primi di agosto del 1474 il G. fu eletto ambasciatore presso la corte napoletana di Ferdinando I d'Aragona, in sostituzione di Giovanni Emo che completava il suo mandato, e con il quale ritornò poi a Napoli nel novembre dell'anno successivo.
Nel giugno del 1476, insieme con Leonardo Boldù, il G. fu quindi nominato provisor in Lombardiam ad recensendas reformandasque gentes nostras. Dopo la morte di Bartolomeo Colleoni (2 nov. 1475) le sue truppe erano infatti rimaste del tutto allo sbando, prive della benché minima struttura organizzativa e soprattutto di soldo, particolare questo che le avrebbe inevitabilmente portate a cercare altri ingaggi, magari al servizio di potenze italiane ostili a Venezia. Grazie all'accurato e minuzioso lavoro dei due provveditori, le truppe, adeguatamente ridimensionate nei ranghi e sfoltite degli elementi meno validi, diversamente organizzate rispetto all'immediato passato e parzialmente ridistribuite tra gli altri condottieri in quegli anni al servizio della Serenissima, trovarono invece ottimale collocazione nei primi nuclei permanenti delle forze di terra veneziane.
Il 14 marzo 1477 il G. ottenne il suo incarico di maggior prestigio: fu eletto infatti ambasciatore presso Luigi XI, re di Francia, e investito del delicato compito di intavolare con il sovrano trattative non solo per assicurare al commercio veneziano la più ampia libertà di navigazione nelle acque francesi, ma per giungere, se possibile, alla stipulazione di un vero e proprio trattato di pace e di amicizia. Nell'ambito di questi obiettivi di massima, tutto era comunque lasciato alla capacità e alla discrezione dell'inviato, come recitavano le sue istruzioni. Il G. tardò parecchio a muoversi da Venezia, perché non trovava l'appannaggio sufficiente alle esigenze della missione, ma soprattutto perché la redazione della commissione da parte delle tre "mani" del Collegio (savi del Consiglio, savi di Terraferma e savi agli Ordini) richiese più tempo del previsto e solo il 3 maggio il documento poté essere sottoposto all'approvazione del Pregadi. Nel viaggio di avvicinamento alla corte francese, allora alle frontiere del Regno con la Piccardia, il G. avrebbe dovuto fermarsi a Milano, per illustrare alla duchessa reggente Bona di Savoia lo scopo della sua missione in terra di Francia, enfatizzandone soprattutto le motivazioni commerciali rispetto a quelle politiche.
L'ambasciatore veneziano, giunto a destinazione tra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio, avviò subito le trattative con i due interlocutori che gli erano stati assegnati dal sovrano, i cancellieri Pierre Doriole e Boffille de Juge. Il 23 agosto Luigi XI ratificava gli accordi raggiunti fino a quel momento tra le parti e dichiarava, unilateralmente e come segnale di buona volontà, una tregua di tre mesi. Tuttavia, in considerazione della difficoltà delle comunicazioni tra la corte francese e Venezia, i dispacci del G. poterono giungere alla Serenissima non prima del 20-21 settembre. La risposta preparata dal Collegio, che recepiva in tutto e per tutto i risultati di questi primi abboccamenti, venne approvata dal Pregadi solo il 29 settembre e comunicata con qualche lentezza al diplomatico, costretto quasi a improvvisare in assenza di direttive sicure e soprattutto in sintonia con i progressi delle trattative, che ciò nonostante proseguivano con sostenuta regolarità. In questa occasione il G. dimostrò un'eccezionale abilità diplomatica, anticipando di fatto tutte le deliberazioni che venivano assunte a Venezia con rilevante ritardo e dando segno di saper interpretare anche nei minimi dettagli la volontà del Collegio e del Pregadi. Così, dopo che il 4 dicembre gli erano giunte le ultime, particolareggiate istruzioni e un mandato ad negotia dai contenuti molto più estesi rispetto ai precedenti sindicati, il 9 genn. 1478, a Tours, il G. poteva sottoscrivere a nome della Repubblica l'auspicato accordo di pace con Luigi XI. Il giorno stesso il sovrano promulgava il trattato e pubblicava alcune lettere patenti per mezzo delle quali prescriveva a tutti i suoi ufficiali di non recare più offesa ai Veneziani, ai loro sudditi, alle loro navi e galere.
Che il re fosse rimasto particolarmente soddisfatto dall'andamento e dai risultati dei negoziati intercorsi tra i suoi plenipotenziari e il G. è ampiamente dimostrato dal fatto che immediatamente dopo la sottoscrizione dei patti si affrettò a creare il G. cavaliere e a informarne la Repubblica, con calde parole d'elogio. Prima di ripartire per Venezia il G., conformemente agli ordini ricevuti dal Consiglio dei dieci, ottenne anche la completa liberazione delle galere veneziane, del loro carico e dei loro equipaggi, ancora trattenuti dai Francesi. Nel viaggio di ritorno, come già era avvenuto per l'andata, il G. si trattenne qualche giorno a colloquio con Bona di Savoia, dalla quale venne accolto calorosamente e con tutti gli onori: "per relation del nobel citadin et ambassador nostro Domenego Gradenigo el chavalier, tornato de Franza, havemo intexo quanto humana, dolze e honorificamente per madona duchessa lui è stato ricevuto et acharezato cum singular demostratione de precipua benivolentia et amor" (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Deliberazioni segrete, reg. 28, c. 49r). Il 17 marzo il G. era comunque già rientrato in patria.
Il 18 maggio 1478 il G. fu tra coloro che elessero doge Giovanni Mocenigo e, a partire dai primi di giugno del medesimo anno, entrò a far parte del Collegio tra i savi di Terraferma. Con tutta probabilità fu questo l'ultimo suo incarico pubblico. Invero, uscito dal Collegio per compiuto mandato alla fine del 1478, non viene più segnalato in alcun'altra magistratura o altro ufficio della Repubblica.
Morì nel corso del 1479, come attesta indirettamente il fatto che il 29 novembre di quell'anno fu Lucrezia, "uxor quondam viri nobilis ser Dominici Gradenigo", a presentare il figlio Nicolò all'avogaria di Comun per l'estrazione della balla d'oro (Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 164/3, c. 177r).
Gli Arbori del Barbaro attribuiscono al G. cinque figli maschi: in ordine di nascita, Pietro, Alvise, Nicolò e Vincenzo, "provati" in Maggior Consiglio rispettivamente il 3 nov. 1467, il 27 nov. 1476, il 29 nov. 1479 e il 25 ag. 1480, tutti prima del compimento del venticinquesimo anno d'età. A questi è poi da aggiungere Giovanni Francesco, forse morto durante l'infanzia. Dei figli del G., solo Alvise ebbe un cursus honorum degno del casato d'appartenenza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, cc. 67, 78; 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 250v-251r, 382r; Avogaria di Comun, Balla d'oro, regg. 163/2, c. 260v; 164/3, cc. 176r-177r; Cronaca matrimoni, reg. 107/2, c. 145v; Prove d'età, regg. 169/1, cc. 74v, 134r, 138r; 170/2, c. 255r; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Regina, c. 178r; Misc. atti diplomatici e privati, b. 44, n. 1318 bis; Commemoriali, regg. 15, c. 125r; 16, cc. 126r-129r; Segretario alle Voci, Universi, reg. 6, c. 83r; Senato, Deliberazioni, Mar, regg. 7, c. 63r; 9, c. 10r; Deliberazioni segrete, regg. 24, c. 35r; 26, cc. 125r, 134v, 137v, 142v, 145v, 147v, 148v, 150r, 158r, 160v, 176v; 27, cc. 4r, 9, 10r, 12v, 18v, 45v, 77rv, 83r; 28, cc. 5r, 6r, 11r, 49r, 50v, 68r, 86v, 99r, 100r-101r, 102rv, 105r, 107r, 130v, 131r, 132r, 135r; Sindicati, reg. 2, cc. 82r n. 153, 92v n. 166, 93r n. 167; Indici, 86 ter: G. Giomo, Indice per nome di donna dei matrimoni dei patrizi veneti, II, p. 485; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio della Serenissima Republica di Venezia, II, c. 103r; Codd. Gradenigo, 133/I, c. 167v; 133/II, cc. 55v-56r; L. de Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre sous le règne des princes de la maison de Lusignan, III, Paris 1855, pp. 311 s., 316, 320, 865; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 179 s. n. 178, 224-226 nn. 110-113; P.M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise du XIIIe siècle à l'avènement de Charles VIII, II, Paris 1896, pp. 31, 98-100, 102-110, 112-114, 382, 387, 393 s.; Aspetti e momenti della diplomazia veneziana (catal.), a cura di M.F. Tiepolo, Venezia 1982, p. 36 n. 72.