GHIDONI, Domenico
Figlio di Felice e Maria Bambina Inselvini, nacque il 17 nov. 1857 a Ospitaletto, presso Brescia. Di famiglia contadina, mostrò una naturale predisposizione all'intaglio del legno e ricevette un'adeguata preparazione scultorea nella bottega del marmista bresciano Pietro Faitini, dove acquisì grandi capacità tecniche grazie anche al lavoro di copia da materiali di età classica e rinascimentale.
Il percorso del G. ricalca abbastanza fedelmente quello di altri artisti bresciani dell'epoca, per i quali l'unica possibilità di uscire dall'ambiente culturale cittadino, alquanto statico intorno agli anni Ottanta dell'Ottocento, era costituita da una borsa di studio finanziata dal legato Brozzoni. Il G. partecipò al concorso del 1880 e vinse il primo premio con Emigranti, che rimanda a temi e modalità espressive legate alla poetica verista.
In quest'opera il G. affronta il tema dell'emigrazione stemperandone la drammaticità in un episodio venato di pacato sentimentalismo e in cui indulge nella resa dei particolari dei poveri abiti o dell'atteggiamento della bambina abbandonata nel sonno. Il gruppo - esposto e premiato all'Esposizione triennale di Milano nel 1891 (premio Tantardini e croce di cavaliere mauriziano) - venne fuso in bronzo nel 1920 per volontà dell'amministrazione comunale e dell'Ateneo di scienze, lettere e arti di Brescia, quindi collocato nei giardini di corso Magenta, dove è visibile; rispetto al prototipo del 1880 in questa versione il G. eliminò dal gruppo la figura del padre e puntò a ottenere un'immagine incisiva ed efficace attraverso la presenza della sola madre, seduta sulla panchina accanto alla propria bimba addormentata.
Un'altra delle prime opere del G. mostra l'interesse dell'autore per i soggetti del quotidiano e denuncia al contempo la sua capacità di recepire gli stimoli contemporanei rispetto al gusto corrente: il Fellah o L'acquaiolo (Brescia, Musei civici d'arte e storia), firmato e datato 1880, è indicativo di queste tensioni e rimanda sia all'interesse per la resa naturalistica, sia a quello per il mondo orientale ed esotico.
L'adesione ai modi del verismo, benché trattato secondo una personale visione attenta alla resa dei particolari e venata di quieta malinconia, piuttosto che di indignata protesta, avvenne nel G. grazie alla frequentazione dell'ambiente milanese e torinese e in particolare dell'atelier di Odoardo Tabacchi, autore del monumento ad Arnaldo da Brescia (1882) nell'omonima piazza bresciana.
Proprio i rapporti con Tabacchi sono evidenti nei monumenti funebri della famiglia milanese Garbagnati (1884) e in quello Soncini nel cimitero Vantiniano di Brescia, voluto nel 1891 dal conte Gaetano Bonoris per onorare la memoria della madre. La commissione di queste sculture avvenne probabilmente grazie alla segnalazione dell'architetto A. Tagliaferri, in amichevoli rapporti col G. e consulente di Bonoris per la costruzione del castello di quest'ultimo a Montichiari; nel Monumento Soncini il trattamento delle superfici, leggermente increspate, rimanda a una sensibilità vicina a quella "scapigliata", senza peraltro perdere di vista l'adesione alla rappresentazione della realtà. Alcuni dettagli delle sculture, come i fiori disseccati, lasciano invece presagire alcune tensioni simboliste.
Legati alla poetica verista sono il piccolo gruppo La nonna e il nipotino (Brescia, Musei civici d'arte e storia), firmato e datato al 1890, e Le nostre schiave (1894).
Il gruppo, presentato alle Esposizioni riunite di Brera, venne rifiutato dalla giuria per il tema affrontato, la prostituzione. Il G. distrusse quindi l'opera, che ci è nota solo attraverso foto e frammenti in collezioni private. Le tre donne, sedute su un divano in attesa di clienti, erano descritte con grande realismo, ma senza che il biasimo per il fenomeno dello sfruttamento sfociasse in una protesta levata con forza contro la società. Fu comunque sufficiente per travolgere opera e autore in un turbinio di commenti e pareri e per agitare il clima della Milano fin de siècle.
Anche in seguito a questi episodi, il G. tornò a vivere a Brescia, dove era da tempo impegnato a soddisfare una committenza sia privata sia pubblica. Nel 1888 era stato inaugurato il monumento a Tito Speri, in verità risolto in modo abbastanza convenzionale, con l'eroe in piedi su un alto basamento nell'atto di arringare i concittadini alla rivolta. Sempre intorno al 1888 va collocato il monumento funebre a Costantino Quaranta nel cimitero Vantiniano di Brescia, in cui, pur nella rigidità del prototipo del busto-ritratto classico, il trattamento delle superfici fa vibrare la luce di cadenze ancora scapigliate.
Del 1898 è invece l'altra importante commissione pubblica, il monumento al Moretto, ancora una volta con il pittore (A. Bonvicino) raffigurato in piedi (stante) e con una figura femminile ai piedi del basamento.
Il bozzetto rivela però una soluzione ben più aggiornata, informata al monumento alle Cinque giornate di Milano di G. Grandi. La committenza aveva avuto ragione dei tentativi di rinnovamento tipologico del monumento celebrativo, così da eliminare le figure allegoriche immaginate dall'artista disposte secondo un ritmo ascendente intorno all'obelisco centrale, lasciandone solo una caratterizzata da un modellato largo e piano e da una posizione assai composta, nella quale è stata ravvisata una venatura di gusto preraffaellita.
Cronologicamente vicine al monumento al Moretto sono le statue di S. Matteo e di S. Giovanni commissionate dalla fabbriceria della chiesa prepositurale di Alzano Maggiore nel Bergamasco, intitolata a S. Martino, e quelle poste su una guglia del duomo di Milano, raffiguranti Josafat e Joram. Per la chiesa parrocchiale di Ospitaletto realizzò un rilievo in bronzo, Cristo e i fanciulli.
Nel 1897 il G. aveva lasciato un saggio notevole delle sue capacità nel cimitero di Brescia eseguendo il Cristo posto sulla tomba della famiglia Da Ponte; la figura imponente è raffigurata in piedi e mostra l'influenza sul G. di prototipi famosi, quali il Cristo che cammina sulle acque di L. Bistolfi (1895-99) e la coeva scultura d'identico soggetto realizzata da E. Pellini per la tomba Lardera al cimitero monumentale di Milano.
Il percorso svolto dal G. approda in questo lavoro a esiti altissimi, in cui alla potente carica simbolista della figura del Cristo si coniuga una sensibilità di gusto floreale, visibile nei particolari dei pannelli bronzei collocati sull'arco e le incisioni dorate sul marmo raffiguranti fiori dagli steli sottilissimi.
Parallelamente a queste opere di grande impegno e respiro si collocano una serie di piccole sculture e ritratti in forma di busto di personaggi bresciani, tra i quali quello dell'amico A. Tagliaferri (1909; Brescia, Ateneo di scienze, lettere ed arti). Questo ritratto divenne una sorta di prototipo per gli altri che lo scultore realizzò nella fase matura della sua attività (monumenti ad Agostino Vigliani, 1911 circa, e a Giuseppe Gallia: Brescia, cimitero Vantiniano). Invece, nelle opere di piccole dimensioni e di argomento non commemorativo sembra emergere un'inclinazione verso le cadenze liberty, come nel caso dei nudini femminili (Nudo di donna; Nudo di fanciulla: Brescia, Musei civici d'arte e storia) dalle forme allungate ma dal modellato ancora vibrante.
Un'altra importante commissione giunse al G. attraverso la collaborazione con Tagliaferri, che nel 1907 ricevette l'incarico per il nuovo altare nel duomo di Montichiari. La soluzione adottata dall'architetto attribuisce un ruolo importantissimo alla scultura, facendo convivere l'impostazione neomichelangiolesca delle due grandi statue di Virtù con il gusto classicheggiante del fregio e con quello neobarocchetto degli angioletti recanti il velo con il Santo Volto. L'apparato scultoreo venne realizzato dal G., che pose firma e data (1909) sulle allegorie in bronzo di Fede e Speranza, esemplate sul prototipo michelangiolesco delle tombe medicee.
L'attività estrema del G. è segnata nel primo decennio del XX secolo da un'altra opera di grandissima qualità, il monumento funebre a Maddalena Monge Grun, nel cimitero monumentale di Milano, in cui le forme eleganti della donna sono rese nella loro concretezza materica al di sotto dei vibranti panneggi: la lezione del "vero" trova qui la sua più alta ed estrema trasfigurazione in una chiave prettamente liberty.
Il G. morì a Brescia il 2 sett. 1920.
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