BOTTO, Domenico Francesco
Nato a Genova il 2 marzo 1825, di famiglia assai modesta, dopo gli studi secondari cominciò a guadagnarsi da vivere scrivendo novelle e piccoli lavori teatrali. Un racconto, Edoardo e Matilde (ambientato nel Piemonte della prima metà del '600 durante la lotta fra i "madamisti" e i "principisti"), pubblicato nel 1842, ebbe due ristampe: una a Torino lo stesso anno nel Museo scientifico letterario artistico, l'altra nel 1844 a Napoli in una raccolta di Racconti e novelle. Ma è nel teatro che il B. fece il suo più felice esordio, con la rappresentazione a Genova, fra il '48 e il '49, della farsa I due diavoli. Intanto frequentava i corsi della prima scuola normale sorta a Genova nel '48, e collaborava al Corriere mercantile per la parte letteraria e le rubriche teatrali. Passò anche alla satira politica (che esercitò con misurata e fine ironia) e fu, con G. Papa, tra i più in vista del ristretto gruppo giornalistico che a Genova, anche durante le vicende del '49, rimase devoto ai principî del moderatismo piemontese. Nel '54-'55 approdava al romanzo psicologico: sono di quegli anni Julia,Sibilla,Le confidenze di una ballerina, e altri feuilletons apparsi sulle colonne del giornale genovese. Ancora il teatro gli procurava un più largo successo di pubblico, con la messa in scena nel 1857 della satira Ingegno e speculazione. Si trattò tuttavia di una stagione assai breve (e quella prima pièce rimase la migliore fra le numerose composizioni e parodie successive del B.), ché la pratica didattica (dal 1856 aveva assunto una supplenza di francese al Collegio nazionale, dal 1860 sarà insegnante di lettere alla scuola normale femminile) e gli impegni pubblicistici finirono presto per disperdere le sue energie, e accentrare i suoi interessi piuttosto sulla critica teatrale e sulle note di costume. G. Piacentini, uno dei fondatori della stampa umoristica piemontese del periodo risorgimentale, lo invitava nel '61 a collaborare alla Gazzetta di Torino. Quattro anni dopo, all'abbandono, del giornale da parte del Piacentini, il B. (che si era fatto trasferire nella capitale subalpina come docente di storia e di italiano nella scuola tecnica di Borgo Po) assumeva la direzione del quotidiano torinese. L'intensa e rapida fortuna, proprio in quegli anni, del teatro dialettale piemontese gli offrì l'occasione per porsi in luce quale appassionato sostenitore della commedia a sfondo sociale, senza altri problemi di figurazione artistica e di rappresentazione della realtà che quelli richiesti dai tradizionali canovacci moralistici o comici del genere divulgativo e popolare.
A Torino il B. aveva anche ripreso, lavorando inizialmente accanto a Pier Carlo Boggio nel comitato direttivo del giornale La Discussione, gli originari impegni di pubblicistica politica in difesa del partito conservatore: la direzione della Gazzetta di Torino, che era l'unico organo ministeriale di effettiva rilevanza rimasto a Torino dopo il trasferimento della capitale, lo rivelerà come uno dei più abili e influenti giornalisti militanti nel campo della vecchia Destra piemontese. Ragioni ideologiche e di concorrenza editoriale lo opponevano in misura sempre più recisa al Bottero e al vecchio giornale subalpino della Sinistra costituzionale, La Gazzetta del Popolo. E fu proprio una delle tante polemiche fra i due quotidiani, condotte con vivace irruenza dal Bottero, a causare il duello che doveva essere fatale al Botto.
La Gazzetta del Popolo, riferendosi in una corrispondenza del 17 genn. 1866 alla voce insistente di una riduzione della rendita pubblica dal 5 al 3% e di una relativa sospensione delle anticipazioni sulle cartelle del debito pubblico, aveva denunciato che della progettata operazione veniva ancora una volta a beneficiare un monopolio come quello della Banca Nazionale, che era ormai tempo di liquidare. L'indomani il B. dalla Gazzetta di Torino aveva replicato rammaricandosi che, da voci di corridoio, si fosse voluto trarre pretesto per suscitare con estrema leggerezza allarme negli ambienti di Borsa e discredito sulla finanza nazionale "oltre ogni limite del giusto". Pubblicista abile e autorevole, ma anche facile alla violenza dialettica e alla polemica, il Bottero scriveva sulla Gazzetta del Popolo del 20 gennaio un trafiletto estremamente offensivo nei confronti della direzione della Gazzetta di Torino, accusata di collusione con gli interessi dell'alta finanza. Pur contrario in linea di principio a risolvere la vertenza con un duello, il B. non poté sottrarvisi. Padrini i giornalisti V. Bersezio e L. Arcozzi-Masino, chiese soddisfazione al Bottero e l'ottenne il 23 gennaio: al primo scontro i colpi andarono a vuoto; al secondo il B. ebbe la peggio.
Ferito alla spalla, la morte lo colse sul finire di una lunga convalescenza, l'8 agosto del 1866.
Bibl.: M. Lessona, F. D. B., in Gazzetta di Torino, 12 ag. 1866, pp. 1 s.; G. B. Passano, I novellieri italiani, II, Torino 1878, pp. 102 s.; G. Mazzoni, L'Ottocento, II, Milano 1934, pp. 998, 1013.