FOSCHI, Domenico (Fosco da Rimini)
Nacque probabilmente a Rimini intorno al 1430.
Di lui restano pochissime notizie biografiche: peraltro un certo interesse per il F. si animò in ambito locale solo nel 1763, allorché il riminese Giovanni Bianchi cercò sue notizie presso altri eruditi romagnoli. L'assenza di documenti riminesi espliciti consentì soltanto di formulare l'ipotesi, ripresa da Luigi e Carlo Tonini, che la famiglia Foschi fosse originaria di Montefiore e che il F. fosse in qualche modo imparentato con un Giacomo Foschi, castellano di Castel Sigismondo in Rimini nel 1445.
La più antica testimonianza dell'operosità letteraria del F. è l'elegia che accompagna il trattato De re militari di Roberto Valturio, dedicato a Sigismondo Pandolfo Malatesta (morto nel 1468); essa si legge a c. 198 del ms. 46. 3 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, ma non nelle stampe del trattato. Il carme si diffonde in lodi del Valturio, potentissimo cortigiano e consigliere di Sigismondo, ma contiene qualche accenno personale. Il F. si descrive in condizioni di estrema indigenza e invoca la mediazione del più fortunato collega per ottenere il favore del principe Malatesta. L'elegia venne con ogni probabilità redatta in un'epoca precedente alla definitiva sconfitta di questo: si può perciò ragionevolmente pensare al 1461. Il F. appare persona presumibilmente più prossima ai trenta che ai vent'anni, e forse già si trovava lontano dalla patria e cercava le protezioni per potervi rientrare.
Le successive testimonianze dell'attività del F. portano a Bologna e a vent'anni più tardi, quando di lui è documentata una, probabilmente breve e occasionale, attività di tipografo, testimoniata da un unico incunabolo, in quarto e illustrato, datato 1480 (L. Hain, Repertorium, n. 14109; Ind. gen. degli incunaboli delle biblioteche d'Italia (IGI), n. 5342; M. Sander, Le livre à figure…, Milano 1942, n. 6660), che raccoglie la Sphaera mundi di Giovanni da Sacrobosco e la Theorica planetarum di Gerardo da Cremona.
Il manoscritto 1896 della Biblioteca universitaria di Bologna conserva una lettera indirizzata ad Angelo Poliziano con la quale il F. accompagna e raccomanda lo scritto di Giovanni Garzoni De Alexandro Magno an cum Romanis si collatis signis dimicasset victoriam reportasset. Lo scritto del Garzoni, nobile bolognese e professore in quella università, è dedicato allo stesso F., il quale dunque doveva essersi guadagnato un qualche prestigio nella società colta della città e doveva possedere abbastanza dimestichezza con il Poliziano se a lui toccava il compito di dare un avallo allo scritto inviato in visione.
Da questo tempo in avanti è documentata una parca attività letteraria, tutta svolta a Bologna, alla corte di Giovanni (II) Bentivoglio. Un momento di particolare spicco spettò al F. con l'allestimento della rappresentazione data la sera del 29 genn. 1487, nell'ambito dei festeggiamenti per le nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d'Este.
Dello spettacolo è memoria in un poemetto in ottave di Angelo Michele Salimbeni e in un carme elegiaco di Naldo Naldi, ma la relazione più diffusa e ricca di particolari (comprendente anche i testi recitati) si legge nell'Hymeneo di Giovanni Sabadino degli Arienti, che assistette direttamente allo spettacolo e poté quindi procurarsene copia. Si tratta di una complessa azione coreografica per mezzo della quale la sala, dove poco prima si è celebrato il banchetto, si popola di presenze sceniche e di attori che interpretano divinità pagane e figure allegoriche. Dopo la danza di una fanciullina entrano in successione e prendono posto un "homo peloso come silvano", una torre lignea con la dea Giunone; il palazzo di Venere e Cupido, dove stanno anche le allegorie di Infamia e Gelosia e quattro imperatori accompagnati da altrettante dame; una montagna con una spelonca circondata da boschi, abitata da Diana e otto ninfe; una roccia con una giovane e otto danzatori vestiti alla moresca.
Una volta che macchine e attori hanno preso posto nella sala, la rappresentazione viene animata dai testi, in cui si alternano terzine e ottave, creando un rapporto di contiguità e intreccio tra scena e personaggi della rappresentazione e scena e personaggi della festa in atto. Diana invia una ninfa a offrire una fiera ai principi della festa e a chieder loro ospitalità; la dea lascia poi il suo bosco ed esce a danzare una caccia e quindi una "bassandanza". Cupido nudo e bendato ferisce di un dardo una delle ninfe danzanti: le sue compagne fuggono nel bosco ed ella resta sola a dolersi. Venere, accompagnata da Infamia e Gelosia, viene in scena e tenta di conquistare la ninfa alla sua legge, ma questa non si lascia irretire dalle parole di seduzione della dea. È quindi Giunone che esce a consolare la ninfa e a incoraggiarla al nodo matrimoniale. La ninfa, incerta, torna a Diana e alle sue compagne, ma ne è respinta: si volge allora per soccorso a Giunone, che l'accoglie nella sua torre. Di qui escono infine la ninfa e il suo sposo sotto la guida e la protezione della dea; il matrimonio di Annibale e Lucrezia è replicato nella finzione scenica, realtà e teatro si fondono e confondono.
La rappresentazione rientra, evidentemente, nella tipologia delle feste di corte per occasione matrimoniale e sfrutta l'evocazione dei personaggi della mitologia antica per una semplicissima trama allegorica, la trionfante medietas dello stato matrimoniale tra la castità di Diana e la lascivia di Venere. I versi del F. (e, presumibilmente, la sua regia) non sono privi di dignità e di abilità letteraria, mentre lo spettacolo, come descritto dall'Arienti, risulta uno dei meglio documentati del genere.
Alla festa bolognese il F. fornì anche le terzine, declamate da un attore che impersonava il figlio di Marte e ugualmente riferite nell'Hymeneo, con le quali veniva annunciato e bandito il torneo combattuto da cinquanta giovani il pomeriggio del 30 gennaio.
Fra le altre opere del F. segnaliamo una breve raccolta di versi italiani (sette capitoli e un sonetto) e latini (un'elegia) conservata nel manoscritto 2618 della Biblioteca universitaria di Bologna. Quasi tutti sono testimonianza di omaggio verso i Bentivoglio: una catena di tre capitoli sembra fare ancora riferimento alle nozze di Annibale e al torneo bolognese; un capitolo è dedicato a Giovanni (II) Bentivoglio "pro eius reditu de carcere" e va quindi datato dopo il 13 giugno 1488, quando Giovanni rientrò a Bologna dopo esser stato liberato da una breve detenzione a Faenza, dove si era recato in aiuto della figlia Francesca che aveva fatto uccidere per gelosia il marito Galeotto Manfredi, signore della città. L'elegia latina esalta il risveglio di spirito guerriero nei Bolognesi sotto l'egida del governo bentivogliesco.
Lo stesso manoscritto bolognese conserva un paio di altri sonetti del F. all'interno di una sezione che raccoglie componimenti in morte di fra Mariano da Genazzano, il famoso predicatore, nemico del Savonarola e ammirato dal Poliziano, scomparso alla fine del 1498.
Versi del F. compaiono anche nell'altra celeberrima raccolta bolognese, le Collettanee grece, latine e vulgari per diversi auctori moderni, messe insieme da Giovanni Filoteo Achillini per commemorare la scomparsa di Serafino Aquilano e pubblicate a Bologna nel luglio 1504 da Caligola Bazalieri: il F. vi è rappresentato da un verso greco, due distici latini e tre sonetti, uno dei quali caudato in risposta ad altro di Bernardo Dovizi da Bibbiena.
Ancora legata a Bologna e alla scomparsa di uno dei più autorevoli maestri dello Studio cittadino è l'ultima testimonianza nota dell'attività letteraria del F., un epitaffio composto in onore di Filippo Beroaldo morto il 17 luglio 1505. È probabile che il F. sia morto non molto tempo dopo.
Fonti e Bibl.: Il gruppo più consistente di componimenti del F. si legge nel ms. 2618 della Bibl. univ. di Bologna, cc. 132r-150v (il codice è descritto da E. Lamma, in Il Propugnatore, n.s., VI [1893], pp. 242-250); di qui un capitolo e un sonetto sono pubbl. da L. Frati, I Bentivoglio nella poesia contemporanea, in Giorn. stor. della letter. ital., XLV (1905), pp. 20-22. Nello stesso codice, alla c. 49rv, si leggono i due sonetti per Mariano da Genazzano, per cui si veda F. Cavicchi, Una raccolta di poesie italiane e latine per la morte di fra Mariano da Genazzano, ibid., XL (1902), pp. 151-169. I testi per la rappresentazione nuziale bolognese sono pubblicati dal codice che conserva l'Hymeneo di G.S. degli Arienti (Parma, Bibl. Palatina, ms. H. H. 1. 78) da G. Zannoni, Una rappresentazione allegorica a Bologna nel 1487, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, s. 4, VII (1891), pp. 414-427. L'Hymeneo è stato edito e commentato da I. Campari in una tesi di laurea discussa presso l'Università di Pavia nell'anno accademico 1980-81 (cfr. Teatro del Quattrocento. Le corti padane, a cura di A. Tissoni Benvenuti - M.P. Mussini Sacchi, Torino 1983, p. 14). L'Epitalamio di A.M. Salimbeni si legge nella stampa milanese del 1488 (IGI, n. 8523); le Elegiae di N. Naldi nella stampa fiorentina del 1487 (IGI, n. 6765). Il carme per il Valturio è a c. 198 del ms. 46. 3 della Bibl. Medicea Laurenziana di Firenze (A.M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, II, Florentiae 1775, coll. 375 s.); una copia di G.C. Amaduzzi si conserva nel ms. II. 44 dell'Accad. Rubiconia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone. I versi per Serafino Aquilano alle cc. c2v, g2rv delle Collettanee grece, cit. L'epitaffio per Filippo Beroaldo è a stampa a c. 341r delle Commentationes in Svetonium, Venetiis 1510. La lettera al Poliziano è alla c. 342r del ms. 1896 della Bibl. univ. di Bologna (di qui pubblicata da F. Cavicchi, Una raccolta…, p. 165). L'epigramma dell'Uberti si legge alla c. 3v del ms. S. XXIX. 21 della Bibl. Malatestiana di Cesena. Sui codici ai quali si è qui sopra fatto cenno si veda P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-III, ad Indices (ma la lettera a Codro data come del F. in I, p. 24, è in realtà di Giovanni Garzoni).
Due lettere di Giovanni Bianchi a G. Garampi con notizie sul F. (19 giugno e 7 luglio 1763) sono tra le Lettere al card. Garampi, Rimini, Bibl. Gambalunghiana, ms. 208; tre lettere di Gaetano Marini allo stesso Bianchi (4 giugno, 2 e 20 luglio 1763) con le risultanze delle ricerche bolognesi intorno al F., Ibid., Fondo Gambetti, Lettere autografe al dott. G. Bianchi (G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle bibl. d'Italia, II, Forlì 1892, p. 163). Anche il Mazzuchelli fu interessato alle ricerche intorno al F.: si veda la lettera a lui del Garampi (25 giugno 1763), Bibl. apostolica Vaticana, Vat. lat. 9271, c. 800r. Notizie sul F., in G. Urbani, Raccolta di scrittori e prelati riminesi, Rimini, Bibl. Gambalunghiana, ms. 195, p. 282; A. Bianchi, Memorie di uomini illustri riminesi, Ibid., ms. 275, cc. 22v, 26r; L. Tonini, Bibliografia riminese, Ibid., ms. 1187, ad vocem; G. Marini, Degli archiatri pontifici, I, Roma 1784, p. 148; G.M. Crescimbeni, Comentarj intorno alla storia della volgar poesia, III, Roma 1711, p. 210 (vi è pubblicato uno dei sonetti in morte di Serafino Aquilano); F.S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 674; IV, ibid. 1752, p. 100; G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, II, Brescia 1758, p. 1008; A. Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basini Parmensis Opera praestantiora, II, Rimini 1794, p. 227; G. Vitali, Mem. stor. riguardanti la terra di Monte Fiore, Rimini 1828, pp. 214 s., 421; L. Tonini, Rimini nella signoria de' Malatesta, II, Rimini 1882, pp. 599 s.; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal secolo XIV ai primordi del XIX, Rimini 1884, pp. 237-240; G. Voigt, Il risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo dell'umanismo, I, Firenze 1888, p. 577; L. Piccioni, Di F. Uberti umanista cesenate de' tempi di Malatesta Novello e di Cesare Borgia, Bologna 1903, p. 94; A. Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, pp. 12, 62; I. Sanesi, La commedia, I, Milano 1954, p. 199; A. Rossi, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia 1980, pp. 139-142; F. Pezzarossa, "Ad honore et laude del nome Bentivoglio". La lett. della festa nel secondo Quattrocento, in Bentivolorum magnificentia…, a cura di B. Basile, Roma 1984, p. 66; B. Bentivogli, La poesia volgare. App. sulla tradizione manoscritta, ibid., p. 178.