FONTANA, Domenico
Figlio di Sebastiano e di una Domenica, nacque a Melide, piccolo borgo del Canton Ticino, nel 1543. Come riferiscono i suoi biografi, nel 1563 si trasferì a Roma, attratto dalle grandi imprese edilizie del periodo della Controriforma, e iniziò la sua attività come stuccatore nella chiesa di S. Maria in Vallicella. Durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585) fu nominato architetto pontificio, svolgendo tuttavia un ruolo di semplice capomastro con competenze di misuratore e tecnico.
Solo l'incontro, avvenuto nel 1574, col futuro Sisto V (Felice Peretti, noto come "il cardinale di Montalto") offrì al F. una grande opportunità professionale fondata su una vera e propria intesa ideologica di contenuti spirituali e programmatici, che tra il 1577 e il 1581 si concretizzò nei lavori promossi all'interno della basilica di S. Maria Maggiore, con la realizzazione del mausoleo in onore di Nicolò IV e della cappella del Presepe, e nella costruzione della villa Peretti Montalto (distrutta).
Tali opere sono il risultato di un chiaro e lungimirante progetto di valorizzazione della basilica mariana e della zona alta della città sul colle Esquilino, elaborato ed eseguito in più fasi dal F., come dimostrano anche gli interventi di ampliamento della villa verso le terme di Diocleziano e la creazione di nuovi assi viari, attività intrapresa durante il pontificato del Peretti che, insieme al nuovo acquedotto Felice, confermano la precisa volontà programmatica del cardinale di sviluppare con nuove infrastrutture un'area già investita dagli interventi di Pio IV (1559-1565) e Gregorio XIII. La zona diventerà centro ideale della città rinnovata, così come rappresentato da C. Nebbia e G. Guerra in un affresco della Biblioteca Vaticana (1588-1589), dove una veduta prospettica decisamente falsata (Cerutti Fusco, 1988, p. 66) mostra in primo piano la residenza Peretti Montalto accanto alla basilica di S. Maria Maggiore e il nuovo sistema di collegamento delle basiliche, enfatizzato dalla presenza degli obelischi e delle colonne, fuochi architettonici degli assi viari rettilinei, sovrastati dal simbolo della croce con l'emblema papale o dalle colossali statue degli apostoli.
Nel 1583 il F. era impegnato nella chiesa di S. Antonio di via Merulana, dove progettò ed eseguì la cappella Anisson, in collaborazione con i fratelli Marsilio e Francesco e il nipote Carlo Maderno, e, probabilmente nel ruolo di architetto esperto, partecipò alla realizzazione della fabbrica di S. Luigi dei Francesi, opera attribuita a G. Della Porta.
L'elezione del cardinale Peretti col nome di Sisto V al soglio pontificio, il 24 apr. 1585, rafforzò l'intesa con il F. a cui ormai il papa affidò tutta l'esecuzione del suo grandioso progetto di opere monumentali ed ambiziose imprese urbane. Secondo il Portoghesi (1978, p. XI), il F. fu il suo braccio destro: "interprete, esecutore, ma anche suggeritore e ideatore di un programma edilizio originalissimo". Le vicende edilizie della Roma sistina furono descritte ed illustrate con minuziose incisioni e celebrate dallo stesso F. nel suo libro Della trasportatione dell'obelisco Vaticano et delle fabriche di nostro signore papa Sisto V fatte dal cavallier D. F. architetto di Sua Santità, pubblicato a Roma nel 1590, a cui seguirà un secondo libro edito a Napoli nel 1604, per illustrare oltre alle opere romane anche quelle realizzate a Napoli e a Bari (Libro secondo in cui si ragiona di alcune fabriche fatte in Roma et in Napoli, Napoli 1604).
Queste pubblicazioni, ricordate dalla storiografia come fonti di grande rilievo per la storia dell'architettura e delle tecniche costruttive, rappresentano una testimonianza fondamentale per la conoscenza delle opere progettate ed eseguite dal F., anche se, dalla lettura, non emergono chiari riferimenti cronologici. E necessario notare l'importanza che l'architetto volle dare all'incisività del programma sistino di rinnovamento di Roma, gestito e portato a termine, in soli cinque anni, nel quale si integrano e confrontano problemi di architettura, urbanistica, rapporto con l'antico, economia e culto.
Durante il primo anno del pontificato di Sisto V il F. fu impegnato nella ridefinizione viaria della città nella zona collinare dell'Esquilino, con la creazione della strada Felice nel tratto che parte da S. Maria Maggiore e raggiunge Trinità dei Monti. In questa prima fase di sistemazione urbana venne anche realizzato il percorso in direzione della colonna Traiana, oggi via Panisperna, e quello verso porta S. Lorenzo. Due nuovi assi viari collegarono invece le terme di Diocleziano con porta S. Lorenzo e porta Salaria. Nel secondo anno di pontificato gli interventi viari riguardarono la realizzazione della via Viminale e la ristrutturazione urbana di assi già esistenti nei tratti di Trinità dei Monti - piazza del Popolo e S. Giovanni in Laterano - S. Maria Maggiore. La realizzazione dell'acquedotto Felice per dotare di un impianto idrico le zone alte della città, Quirinale - Viminale - Esquilino, e favorirne l'espansione abitativa venne celebrata con la "mostra dell'Acqua Felice", fronte architettonico che "spettacolarizza l'enorme importanza civile e produttiva" dell'impresa (Manieri Elia, 1991, p. 4) e concluse le iniziative "urbanistiche" di questo periodo, aprendo agli interventi promossi nei due tradizionali capisaldi della religiosità: S. Pietro in Vaticano e S. Giovanni in Laterano.
La chiesa di S. Pietro fu investita della complessa operazione del trasporto dell'obelisco vaticano, innalzato nella piazza davanti alla basilica quale forte segno architettonico e urbanistico, testimonianza di una politica religiosa volta alla risimbolizzazione di monumenti dell'antichità in emblemi di fede cristiana. Nel 1588 si attribuì a S. Pietro un ruolo ancora più importante con il completamento della cupola, opera di G. Della Porta, e con i lavori per il palazzo Vaticano, la biblioteca e la stamperia. Una particolare attenzione merita il progetto del F. per la nuova biblioteca, eseguito tra il 1587 e il 1590. Egli realizzò un edificio posto trasversalmente al cortile del Belvedere, architettonicamente collegato ai preesistenti bracci lunghi costruiti da P. Ligorio, che nega l'aspetto circense del precedente impianto, a cui si accedeva dalla galleria lapidaria attraverso un portale decorato con l'imponente stemma di Sisto V e l'epigrafe dedicatoria. La sede pontificia rientrò anche nelle sistemazioni viarie di rinnovamento della città, con l'apertura di due strade: la prima attraverso la spina dei Borghi e la seconda in direzione del porto fluviale di Ripetta. A S. Giovanni in Laterano il F. procedette alla ridefinizione dell'intera area, con la demolizione dell'antico patriarchio e la costruzione del nuovo palazzo apostolico, la sistemazione complessiva della piazza di S. Giovanni liberata dalle preesistenze dell'oratorio della Croce e della torre degli Annibaldi e nuovamente caratterizzata dall'innalzamento dell'obelisco lateranense e dalla sistemazione della Scala Santa, accanto all'antica cappella del Sancta Sanctonim, I lavori intrapresi in Laterano ebbero inizialmente ambizioni minori e si limitarono alla riorganizzazione di un area poco omogenea della città. Ma a partire dal 1587 il programma edilizio promosso per il Laterano subì un radicale rilancio che investì sia la realizzazione del palazzo sia il progetto del nuovo edificio della Scala Santa: la risistemazione della piazza privilegiò la visione offerta all'uscita da via di S. Giovanni, con i due lati a tre piani Ovest e Nord del palazzo apostolico, con la costruzione della loggia delle Benedizioni sulla destra e l'edificio della Scala Santa come fondale dell'intero spazio riprogettato.
Fra il secondo e il terzo anno del pontificato sistino il F., per rendere più agevole il trasporto dell'obelisco trovato nel Circo Massimo (Simoncini, 1990, p. 75) da sistemare nella nuova piazza lateranense, si adoperò anche per il miglioramento del percorso Campidoglio - Laterano nel tratto Colosseo - S. Giovanni. L'intenzione di collegare S. Giovanni con altri poli della città è chiaramente esplicitata nelle descrizioni del F., che, infatti, nel suo libro ricorda "Alcune strade che la felice memoria di Sisto V disegnava di fare in Roma", riferendosi ad una strada che doveva collegare S. Giovanni con S. Croce in Gerusalemme, con Montecavallo, con S. Paolo fuori le Mura e con S. Prassede e S. Pudenziana. Un'altra strada doveva invece consentire un percorso diretto tra S. Giovanni e S. Pietro, e tra S. Pietro e S. Marco attraverso un nuovo ponte sul Tevere., il ponte di Borgo, localizzato davanti l'ospedale di S. Spirito. In questa fase di lavori si conferma ancora la volontà di erigere obelischi davanti alle basiliche considerate più significative per il mondo cristiano.
Oltre alla sistemazione, infatti, degli obelischi di S. Maria Maggiore, di piazza del Popolo e di S. Giovanni in Laterano, si programmò l'innalzamento di altri obelischi davanti alle chiese di S. Croce in Gerusalemme e S. Paolo fuori le Mura. Tale volontà di risimbolizzazione cristiana di monumetiti dell'antichità assunse una maggiore valenza nel progetto di risignificazione delle colonne Traiana e Antonina, coronate dalle statue degli apostoli Pietro e Paolo.
Nella fase conclusiva del quinquennio sistino gli interventi si concentrarono soprattutto sul Quirinale, con le opere riguardanti il palazzo e la sistemazione della piazza, che venne regolarizzata con la demolizione della chiesa di S. Girolamo. Tra gli ultimi progetti ideati dal F. e non realizzati, anche a causa della morte del papa, quello che suscitò molte polemiche fu l'ipotesi di utilizzare il Colosseo (Cerutti Fusco, 1988) come laboratorio ed abitazione per artigiani addetti alla lavorazione della lana, con l'obiettivo sociale ed anche economico di risolvere radicalmente il problema delle classi subalterne.
Tale iniziativa avrebbe sicuramente compromesso il significato storico-architettonico dell'anfiteatro romano, sostanzialmente alteratò dal progetto del F., secondo il quale si prevedeva anche la demolizione di una parte, per proseguire la strada realizzata nel 1587, da S. Giovanni lungo i Ss. Quattro Coronati, a destra di S. Clemente, giungendo al Colosseo, verso il Campidoglio. Le proteste degli eruditi del tempo che alimentarono il dibattito anche nell'opinione pubblica sulla volontà distruttiva del papa e del suo architetto, confermata dalle demolizioni già effettuate del Settizonio e dei "massicci di Termini", antiche strutture delle tenne di Diocleziano, e dalle ipotesi di distruzione dell'arco di Giano e della tomba di Cecilia Metella, contribuirono all'allontanamento del F. da Roma dopo la morte di Sisto V.
Il ponte Felice sul Tevere in prossimità di rocca di Borghetto (distrutto nella seconda guerra mondiale) fu iniziato dal F. nella primavera del 1589; la costruzione si interruppe alla morte di Sisto V e venne ripresa solo due anni dopo, nel marzo 1592, con papa Clemente VIII (1592-1605) che revocò l'incarico al F. il 10 luglio successivo, nominando in sua vece l'architetto Taddeo Landini, in seguito alle polemiche sorte intorno alle spese fino ad allora sostenute nel cantiere (per una dettagliata analisi della vicenda si veda C.P. Scavizzi, Il ponte Felice al Borghetto nel quadro della viabilità terrrtoriale, in Sisto V, 1989, pp. 625-638). Si trattò di un valido pretesto per esonerare dalle cariche ufficiali il F., che subito dopo abbandonò la città, chiamato a Napoli dal viceré conte de Miranda come architetto regio e ingegnere maggiore dei Regno.
Dal 1592 al 1607 il F. fu impegnato, per i viceré spagnoli, nella realizzazione di opere infrastrutturali e interventi urbanistici nel Regno di Napoli. In particolare, si occupò della ristrutturazione dei porti di Bari e di Napoli, anche se in quest'ultimo caso il progetto rimase, per ragioni tecnico-economiche, incompiuto (Di Resta, 1992, p. 675). Appena giunto nella capitale del Regno, il viceré, conte di Lemos, affidò al F. l'incarico di completare il programma di bonifica e incanalamento delle acque dei Regi Lagni, intrapreso da B. Tortelli nel 1589. Durante il viceregno del conte di Olivares l'attività dell'architetto riguardò l'apertura di nuove strade nell'area di Castel Nuovo, della via Marina e della via S. Lucia. Nel 1599 progettò e realizzò la sistemazione delle tombe reali angioine nel duomo di Napoli e della sala del Parlamento nel complesso di S. Lorenzo Maggiore. Nelle cattedrali di Amalfi e di Salerno ristrutturò le cripte, mentre a Capua intervenne nell'area del ponte Casilino e forse sulla cupola della chiesa dell'Annunziata. Si occupò inoltre delle bonifiche dei bacini del Volturno e del Samo. Dal 1600 al 1602, per volere del re Filippo II e del viceré conte di Castro, fu impegnato nella costruzione del palazzo reale, come ricorda l'iscrizione sul plinto di una delle quattro colonne che fiancheggiano l'ingresso principale del palazzo dove si legge: "Domenicus Fontana eques auratus comes palatinus Patritius romanus inventor".
Il palazzo, di pianta regolare con cortile quadrato e loggia superiore, è a tre piani. Al pian terreno si apre un porticato di ordine dorico con lesene e otto colonne di granito, delle quali quattro abbinate ai lati dell'ingresso principale e quattro ai due ingressi laterali. I due piani superiori sono ritmati da ventuno aperture sormontate da timpani alternati tondi e triangolari.
Il F. morì a Napoli il 28 giugno 1607 e fu sepolto nella chiesa di S. Anna dei Lombardi.
Se studi recenti (si vedano in proposito i contributi pubblicati nel 1992 in Sisto V…, e in L'arte al tempo di Sisto V, e, inoltre, Ippoliti, 1988; Donadono, 1994) hanno fatto luce sulle vicende costruttive di alcune fabbriche romane progettate e realizzate dal F., c'è da rilevare come i giudizi critici espressi dalla storiografia sulla sua architettura si siano prevalentemente limitati da una parte ad esaltaerne le capacità di ingegnere e di "urbanista", sottolineando la componente religiosa e celebrativa di ogni iniziativa, e dall'altra a denunciare in modo riduttivo la mancanza di rispetto e di attenzione per le preesistenze, in particolare per le vestigia delle antichità pagane, spesso considerate dall'architetto testimonianze antitetiche rispetto ai valori cristiani che il programma sistino mirava a diffondere. Il contributo apportato dal F. alla storia delle tecniche è stato invece ricordato dal Muñoz, forse il primo studioso che abbia tentato una lettura completa e cronologica della sua opera, esaltando la complessa vicenda dell'innalzamento dell'obelisco vaticano, considerata un vero e proprio "miracolo" tecnico (1944, p. 33). P. Portoghesi (1966, p. 47), partendo da tale grandiosa operazione, ha affrontato il tema dei caratteri compositivi e formali dell'architettura delle opere del F., un'architettura che definisce "di rinuncia: rinuncia alla qualità, al rigore, alla stessa perizia tecnica, che si considera di solito una sua innegabile caratteristica". E, più in generale, in una nota introduttiva ad una riedizione della Trasportazione..., Portoghesi (1978, p. XVIII) sostiene che "l'identità dell'opera fontaniana, emerge... quando si rinuncia ad un metodo comparativo e si riflette sulle sue caratteristiche interne..., la singolarità dell'opera sta, in un certo senso, nella mancanza di originalità dei singoli edifici, nel loro realizzarsi attraverso il ricorso ad un vocabolario rigidamente precostituito, nell'insistenza cioè sul tipico in antitesi con l'individuale". M. Manieri Elia (1989, p. 145), riflettendo sull'operazione vaticana, indaga invece gli aspetti di natura simbolica, sottolineando come questi vengano sottaciuti enfatizzando ed esaltando l'aspetto più pragmatico. Secondo tale atteggiamento, il F. e il papa evitarono lo scottante problema della sfera di bronzo, posta sopra l'obelisco, contenente forse le ceneri di Cesare, che nessuno fino a quel momento aveva osato spostare. Il F. riuscì nell'impresa traducendo "l'operazione in una festa popolare, aprendo alla partecipazione di massa", facendo lavorare per lui un "vero e proprio ufficio di pubblicità che produce stampe aggiornatissirne sui lavori... con il risultato comunque positivo, di conferire dignità intellettuale alla invenzione tecnica".
Molte sono le interpretazioni strutturali e iconiche del sistema viario, pensato e in parte realizzato dal F., che hanno cercato di stabilire soprattutto l'influenza che l'atteggiamento francescano del papa poteva aver avuto sulla realizzazione dei nuovi percorsì. In particolare, Fagiolo (1992, pp. XI-XVI) ha visto nel collegamento fra le basiliche un sistema iconologico di tipo mistico che riprende la configurazione delle due Orse, con S. Pietro nella posizione di stella polare e S. Paolo agli antipodi. S. Benedetti in occasione delle celebrazioni per il IV centenario del pontificato sistino (L'architettura di D. F., in Sisto V …, 1992, pp. 397-417; L'architettura nel tempo della transizione: note su D. F, in Storia-Architettura, 1992, pp. 7-11) ha invece individuato quattro linee critiche principali di interpretazione dell'architettura del Fontana. In primo luogo, sostiene Benedetti, vi è l'esaltazione dell'oggetto architettonico attraverso la veduta da lontano, non come episodio singolo "ma in quanto relazionato e costituito in funzione di uno spazio urbano": per questo motivo l'oggetto architettonico "è pensato, definito e caratterizzato per vistosi valori quantitativi e dimensionali"; lo stile e la forma seguono inoltre i criteri di "una produzione architettonica guidata dalla poetica della relazione col sito vasto"; ed infine le opere del F. sono il risultato di una "particolare connotazione didascalico-emozionale, che spesso immette nel formulario dell'architettura, onde ottenere costruzioni aperte" (Sisto V ..., p. 399). È indubbio che le letture storiografiche sulla figura del F. contribuiscono ad evidenziare tutti gli aspetti che caratterizzano la sua opera di architetto e di tecnico; ma solo attraverso l'interrelazione dei diversi giudizi critici espressi sul personaggio è possibile cogliere il suo più autentico contributo alla storia dell'architettura romana tardocinquecentesca. Il F. non è semplicemente un "demolitore", anche se nell'attuazione del programma edilizio-urbano definito con il papa distrugge antiche preesistenze romane e medioevali, come il Settizonio o l'antico patriarchio, il suo atteggiamento corrisponde ad una precisa volontà programmatica di realizzare in breve tempo il rinnovamento della città, selezionando i monumenti da conservare in funzione del loro valore simbolico di reliquia cristiana o di testimonianza di storia religiosa e della localizzazione di tali emergenze che non dovevano in nessun modo impedire gli interventi previsti. Nel caso emblematico del Laterano, tale duplice atteggiamento è chiaramente riscontrabile. Il F., infatti, demolì l'antica residenza pontificia, costruzione molto articolata e quindi di difficile ridefinizione progettuale e testimonianza di un lungo periodo di abbandono e di una storia travagliata per la chiesa (Curcio, 1989, p. 160), mentre conservò la Scala Santa quale reliquia direttamente collegata alla figura di Cristo, scegliendo la soluzione del suo spostamento per esaltarne il valore simbolico di emblema di fede, trasferita in una nuova e più degna veste architettonica, accanto alla cappella del Sancta Sanctorum. La torre degli Annibaldi fu invece demolita in quanto evidente impedimento per la definizione prospettica della nuova piazza di S. Giovanni, il cui fuoco architettonico doveva essere rappresentato dall'obelisco egizio.
L'architettura del F. celebra e racconta un preciso momento storico post-tridentino, di rinascita della Chiesa, in un clima in cui doveva prevalere l'ideale mistico-teologico. Tutte le opere presentano una caratteristica ricorrente: l'uso semplificato degli ordini architettonici, che diventano elementi formali da elaborare e dimensionare in ragione dell'importanza del messaggio di cui ogni monumento deve farsi portatore, per testimoniare il cambiamento e mobilitare al consenso i fedeli. Questa nuova interpretazione dell'antico e dei canoni classici, rispetto alla cultura architettonica tardorinascimentale a lui contemporanea, costituisce un elemento di modernità che non vuole essere semplicemente una trasgressione dalla regola, ma una sua utilizzazione per fini ben determinati. Modernità che si riscontra anche nel rapporto privilegiato che instaura con il papa. Il F., con atteggiamento lungimirante, decise di investire, e non solo metaforicamente, su una figura come il cardinale Peretti, finanziando l'ambiziosa costruzione della sua villa, scelta sapiente che segnerà la sua strada di architetto, e di "imprenditore". Quasi tutti i cantieri del quinquennio sistino, infatti, furono appaltati allo stesso F., che coinvolse, nella maggior parte dei casi, anche suoi familiari nella direzione ed esecuzione dei lavori.
L'attività del F. durante il viceregno spagnolo resta, ancora oggi, tutta da indagare, sia nel rapporto con la committenza, sia nel confronto con il contributo romano. Solamente Pane (1939, pp. 39-53) e recentemente Di Resta (1992) hanno cercato di ripercorrere cronologicamente la presenza dell'architetto nel Regno di Napoli, attraverso l'analisi e la lettura critica delle sue opere maggiori, sottolineando le sue capacità, fondate sull'esperienza cantieristica, maturata sull'adesione al lavoro concreto e "in aperta polemica con gli intellettualismi dei suoi colleghi" (Di Resta, p. 675). Restano, tuttavia, ancora da chiarire molti aspetti riguardanti la produzione napoletana del F. ed in particolare il suo effettivo ruolo nell'operazione di rinnovamento urbano promossa dai viceré spagnoli. Inoltre, per una valutazione complessiva della sua opera, risulterebbe importante valutare quanto l'esperienza sistina abbia influenzato e condizionato le scelte operative napoletane, e, soprattutto, il significato attribuito dal F. all'antico in un clima culturale e sociale svincolato dalle imposizioni simboliche e teologiche del governo pontificio.
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