FLABIANO, Domenico
Appartenente a una famiglia veneziana dell'originario ceto tribunizio, fu attivo nella prima metà del sec. XI. Le notizie sulla sua vita sono estremamente scarse, a motivo della rarità di fonti che lo riguardano il F. fu proprietario di beni fondiari, ma non è certo che egli abbia esercitato l'attività di mercante di seta, come taluni sostengono.
Nel movimentato clima politico di Venezia nella prima metà del sec. XI, che vedeva le famiglie aristocratiche in tenace lotta per il potere, divenne il capo dell'opposizione al doge Ottone Orseolo che era stato allontanato una prima volta da Venezia nel 1024, ma che, dopo essersi rifugiato in Istria, aveva in breve tempo ripreso il potere. Nel 1026 i suoi avversari riuscirono a deporlo, inviandolo in esilio a Costantinopoli ed eleggendo al suo posto Pietro Centranico o Barbolano. Quattro anni più tardi anche il Centranico venne rovesciato dai sostenitori dell'Orseolo, che decisero di richiamare in patria l'ex doge affidando provvisoriamente il potere al fratello di questo, il patriarca di Grado Orso. Il F., insieme con gli altri responsabili della cacciata dell'Orseolo, fuggì da Venezia temendo la vendetta degli avversari o, secondo un'altra versione, venne allontanato circa quattro mesi più tardi dal patriarca Orso.
Un'ambasceria veneziana era stata nel frattempo inviata a Costantinopoli per riportare in patria l'esule, ma, quando arrivò a destinazione, l'ex doge era già morto. Qualche tempo dopo il rientro di questa ambasceria a Venezia, il patriarca di Grado abbandonò il potere che aveva retto per quattordici mesi; l'abbandono fu seguito dal tentativo di un altro Orseolo, Domenico, di impossessarsi del ducato, ma dopo solo un giorno e una notte venne cacciato e costretto a riparare a Ravenna. Al suo posto fu eletto doge il F., mentre ancora si trovava in esilio in una non precisata località italiana. L'elezione è comunemente collocata nel 1032, ma è probabile che debba essere anticipata ai primi mesi dell'anno precedente.
Il dogado del F. fu un periodo di tranquillità dopo la fine burrascosa del dominio degli Orseolo. L'azione politica del nuovo doge dovette essere improntata all'equilibrio e alla moderazione, tanto da fargli meritare la definizione di "prudentissimus vir" (Origo, p. 140). La stessa fonte lo presenta come capo del popolo veneziano al momento della lotta con la famiglia rivale: non è del tutto chiaro cosa significhi questa affermazione. ma non è da escludere che essa alluda all'emergere nella lotta politica di nuove forze, di cui il F. sarebbe stato l'esponente. L'azione di governo del F. non mostra tuttavia alcun radicale cambiamento rispetto al passato, tale da configurarlo come un avversario dei tradizionali ceti dominanti, ma vi si può cogliere un forte elemento di novità, consistente nella tendenza a circoscrivere i poteri della suprema carica dello Stato per evitare che divenisse patrimonio ereditario di poche famiglie. A questo fine venne adottato, probabilmente verso il 1040, un "salutare provvedimento" (Andrea Dandolo, Chronica, p. 209), che proibiva ai dogi in carica di associarsi un coreggente o nominare un successore o permettere ad altri di farlo al loro posto. Si metteva così fine legalmente a una consuetudine ormai consolidata, in forza della quale si era affermata la successione dinastica, sul modello bizantino.
La storiografia veneziana, a partire dalla cronaca attribuita a Pietro Giustiniani, colloca sotto il dogado del F. l'apertura di processi contro gli Orseolo e un bando generale contro l'intera famiglia, ma in questo caso si tratta sicuramente di una notizia errata, perché gli Orseolo continuarono ad avere posti di rilievo nella vita politica veneziana anche dopo l'avvento al potere del Flabiano. Un Pietro Orseolo, figlio forse del doge Domenico, era a Rialto nel 1036, ancora in possesso del patrimonio avito, parte del quale fu legalmente trasferito, verso la metà del secolo, in proprietà della famiglia Flabiano, come mostra un documento del maggio 1084.
Durante il dogado del F. cade la conclusione di un'interessante controversia fra un fabbro ferraio di nome Giovanni Sagomino e il gastaldo ducale incaricato di controllarne le prestazioni, di cui si conserva la testimonianza documentaria. Il Sagomino ottenne dal F. quanto già aveva inutilmente chiesto sotto il predecessore Centranico e cioè di non essere costretto a recarsi nel palazzo del doge per prestare l'opera, ma di poter lavorare, presso il suo domicilio, il ferro che gli fosse stato portato dal carceriere ducale. Si tratta della più antica testimonianza sui rapporti fra una corporazione e l'autorità ducale rappresentata in questo caso dal gastaldo. Si ricorda inoltre al tempo del F. un importante avvenimento in materia di disciplina ecclesiastica. Nel 1040 venne infatti convocato nella chiesa di S. Marco un concilio provinciale dei vescovi. In questa occasione si stabilì in primo luogo che le consacrazioni dei sacerdoti non avessero luogo prima del trentesimo anno di età e quelle dei diaconi prima del venticinquesimo, se non in caso di necessità e con il consenso del metropolita. Si intendeva così mettere fine allo scandalo delle ordinazioni immature, come quelle degli stessi Vitale Orseolo e Domenico Gradenigo, eletti rispettivamente a sedici e diciotto anni di età. L'anno successivo il F. intervenne inoltre nella contesa fra il patriarca Orso e il vescovo di Olivolo a proposito della giurisdizione nella chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio, riconoscendo il diritto di investitura ad entrambi.
In politica estera proseguirono i contrasti con l'imperatore iniziati sotto gli Orseolo. L'imperatore Enrico II aveva nominato patriarca di Aquileia il fedele Poppone dei conti di Treffen, assumendo così un atteggiamento nettamente ostile al ducato veneziano. Quando gli Orseolo furono cacciati per la prima volta, Poppone si impadronì di Grado, ma in seguito il patriarca di Grado riuscì a ottenere dal papa la condanna del rivale e il ristabilimento dei suoi diritti. I contrasti con l'Impero si rinnovarono dopo l'avvento al trono di Corrado II, che nei primi mesi del 1026 rifiutò di rinnovare i patti in favore dei mercanti lagunari. L'anno successivo, a Roma, dopo essere stato consacrato, Corrado II fece convocare un sinodo in cui vennero riconosciuti ad Aquileia i diritti metropolitici sulla sede di Grado, che veniva pertanto declassata a semplice pieve. I dirigenti veneziani, decisi a difendersi, chiesero probabilmente il sostegno dell'imperatore d'Oriente e Corrado II rispose con atteggiamenti sempre più ostili. In un diploma del 1034 concedeva infatti al patriarca di Aquileia il territorio compreso fra Piave e Livenza. Corrado II morì nel 1039 e di conseguenza la pressione su Venezia si allentò. Il suo successore, Enrico III, aprì la strada alle trattative rinnovando nel 1040 i privilegi di cui godeva il monastero veneziano di S. Zaccaria, dove si era recato in pellegrinaggio prima di salire al trono.
Nulla di preciso si sa dei rapporti fra Venezia e l'Impero bizantino. La scomparsa nei documenti veneziani del nome di Corrado II e la reintroduzione di quelli dei sovrani di Costantinopoli attestano tuttavia un riavvicinamento agli imperatori orientali negli anni del contrasto con il sovrano tedesco. A questo riavvicinamento potrebbe ricollegarsi la concessione al F. del titolo nobiliare di protospatario, che però non è del tutto sicura. A parte questo fatto incerto non si ha notizia di altri rapporti fra il ducato e l'Impero bizantino.
Il F. morì, in età avanzata, nella prima metà del 1041, come attesta un documento del giugno di quell'anno, ove si fa riferimento ad avvenimenti accaduti al tempo del doge Flabiano. Secondo il Sanuto., fu sepolto nel monastero di S. Croce, ma in altre cronache si parla di S. Giorgio Maggiore o di S. Zaccaria, e in altre ancora si dice di ignorarne il luogo.
Non sappiamo se abbia avuto moglie o figli e ci è noto soltanto il nome di alcuni membri della sua famiglia fra il X e XI secolo, anche se non è possibile stabilire il vincolo di parentela. Nel 960 compaiono infatti Domenico e Giovanni Flabiano, nel 982 altri due Giovanni e ancora un Domenico nel 998 e 1024. Uno Stefano, che pare essere stato assai vicino al doge, è testimone in atti del giugno 1037 e del 1041 e risulta ormai morto nel 1084. Nel 1064, infine, si ha notizia di un Pietro Flabiano giudice in una controversia che coinvolse l'abate di un monastero dì Brondolo.
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