DOMENICO Fiorentino (Domenico del Barbiere)
Nei documenti che attestano la sua attività artistica, certificazioni e atti notarili trovati in Francia, soprattutto a Troyes (Archivio municipale), dove D. trascorse la maggior parte della sua vita, viene nominato come Dominique Ricoury, Ricouvri, Ricombre, Recourre: si tratta probabilmente del suo nome francesizzato. Si è perciò ragionevolmente ipotizzato che il suo vero nome fosse Donienico Ricoveri, mentre l'appellativo "del Barbiere" deriverebbe dall'attività patema; tuttavia non ci sono documenti che confermino l'attendibilità di tale ipotesi.
D. nacque verosimilmente a Firenze tra il 1501 e il 1506, ma la totale assenza di documenti fiorentini non consente di fornire con certezza alcun dato relativo alla -sua vita prima del soggiorno francese. Probabilmente andò giovanissimo a Roma; tuttavia attorno al 1527 dovette lasciare la città alla volta della Francia e in data non precisata, ma certamente ancora molto giovane, si stabili a Troyes. Qui si sposò, presumibilmente tra il 1530 e il 1533 (Hany, 1981, pp. 180, 182 n. 13), con una vedova, Colette Valour o Valours, forse anch'essa di origine italiana. Due figlie di D. si sposarono una con un capomastro locale di nome Gabriel Faverau prima del 1548, l'altra con il pittore Nicolas Urant il Vecchio, appartenente ad una famiglia di artisti operante a Troyes da molto tempo. Nella stessa città trovò dimora e visse il fratello di D., Antonio, che ebbe una figlia di nome Maria, andata sposa al pittore jean d'Hoey, nipote di Luca di Leida, che ereditò i beni di D. alla sua morte.
Questi matrimoni dimostrano come D. si fosse pienamente affermato in suolo francese e come andasse consolidando, imparentandosi con famiglie di artisti locali ed olandesi, la propria posizione sociale. A tutto questo corrispose una notevole influenza artistica, che aveva le proprie basi culturali nel manierismo romano e fiorentino e la sua peculiarità espressiva nella sintesi stilistica che egli seppe creare mitigando la franchezza del Rosso con l'eleganza formale del Primaticcio, con i quali lavorò a lungo.Da Troyes D. si spostò spesso: Fontainebleau, Meudon, Joinville, per quanto concerne i luoghi dove il suo lavoro è documentato, ma non è da escludere che abbia lavorato anche in molti altri centri.
A Troyes i bassorilievi della chiesa di S. Giovanni, databili al 1535, possono essergli, secondo Herbet (1899), sicuramente attribuiti e testimoniano quindi il suo modo di lavorare in quei primi anni. È comunque certo che D. dovette produrre, negli anni iniziali del suo arrivo in Francia, molto di più di quello che ci resta documentato.
Nel 1539 compare in alcuni registri di conti redatti per i pagamenti agli artisti per i festeggiamenti in onore di Carlo V. Tra il 1537 e il 1540 fu a Fontainebleau al seguito di Rosso Fiorentino. Nel 1541, dopo che Francesco I ebbe ordinato nel 1540 la chiusura del cantiere di Fontainebleau e dopo la scomparsa del Rosso (1540), la sua presenza è documentata di nuovo a Troyes. Nel 1544, come testimonia Vasari (VII, p. 412) nella "vita" di Francesco Primaticcio, era al lavoro a Meudon, al palazzo detto della Grotta (di proprietà del cardinale di Lorena), successivamente trasformato in castello, dove collaborò alla creazione di stucchi e decorazioni.
A Meudon, inoltre, risulta la sua firma in qualità di testimone, il 15 die. 1544, sull'atto della procura con la quale il Primaticcio prendeva possesso dell'abbazia di St. Martin di Troyes, in qualità di abate (Herbet, 1899). Nel 1549 i canonici della chiesa di St-Etienne di Troyes gli commissionarono un nuovo ambone, dopo che nel 1548 D. si era occupato, con gran successo personale, dell'apparato per il trionfo alzato in occasione dell'entrata nella città di Enrico II e Caterina de' Medici, che replicherà nel 1564, per i festeggiamenti a Carlo IX.
Il contratto per il nuovo ambone fu steso il 4 genn. 1550; fu concordata la somma di 800 franchi e venne specificato che l'opera avrebbe dovuto essere conforme al disegno su pergamena precedentemente presentato. L'ambone venne terminato nel 1551, ma fu poi demolito nel 1795, sorte che toccò anche alla chiesa: gli elementi scultorei che lo componevano andarono dispersi (j. Thiron, in L'Ecole de Fontainebleau, 1972, p. 383).
Nella chiesa di St-Etienne D. esegui anche la decorazione dell'arco di trionfo a tre fornici sulla facciata, alcune statue raffiguranti Cristo in croce fra la Vergine e S. Giovanni, poste sugli archi rampanti, tutte perdute, quattro bassorilievi con Storie di s. Stefano (ora conservati presso la chiesa di Bar-sur-Seine) e altre due statue, raffiguranti la Carità e la Fede, che dimostrano nella scelta dell'impostazione formale quanto D. avesse studiato Michelangelo.
Per Claudio di Lorena duca di Guisa, morto il 12 apr. 1550, lavorò, insieme con jean Picard, al mausoleo che fu eretto dal 1551 nella cappella di S. Lorenzo del castello di Joinville su commissione della moglie Antonietta di Borbone. La sontuosa tomba fu smembrata nel novembre del 1792, quando la cappella e il castello, in rovina, vennero alienati.
Il monumento funebre era composto di un sarcofago poggiato su un basamento ornato di bassorilievi su cui erano poste le statue giacenti del Duca e della Duchessa. Oltre al bassorilevo raffigurante il Trionfo del duca (Parigi, Louvre), situato sul lato anteriore della tomba, sono rimasti alcuni frammenti di altri due bassorilievi raffiguranti la Presa di una città e una Battaglia (Parigi, Louvre) e quattro cariatidi raffiguranti le Virtù cardinali, che sostenevano una cornice sopra la quale la coppia ducale figurava inginocchiata (si conservano, nel municipio di Joinville, la Temperanza, convertita in Uguaglianza, e la Giustizia convertita in Libertà).
D. lavorò anche alla decorazione architettonica della cappella, eseguendo per la cornice del rosone che la illuminava due Geni funerari (Parigi, Louvre) e due bassorifievi allegorici raffiguranti la Giustizia e la Carità, attributi del duca (Museo di Chaumont); scolpi inoltre quattro Virtù in altorilievo, la Fede e la Speranza, la Carità e l'Abbondanza (Museo di Chaumont), situate sui profili delle lunette. Infine è dubbia l'attribuzione a D. dello Scudo con le armi dei Lorena (Parigi, Louvre).
D. e Jean Picard ricevettero il 30 genn. del 1551 un acconto di 40 scudi e vennero liquidatil a lavoro terminato, il 22 dic. 1552. I due artisti lavorarono su disegni del Primaticcio, due dei quali sono stati ritrovati (Parigi, Louvre): uno da mettere in relazione con la cornice del rosone e le armi dei Lorena e il secondo con le cariatidi e il trionfo. Ciò, insieme col ritrovamento di un disegno sempre del Primaticcio, realizzato a sanguigna, che può essere messo in rapporto con il bassorilievo della Presa della città, ha indotto ad attribuire a quest'ultimo l'ideazione complessiva della decorazione della cappella e del mausoleo. Ma mentre per Picard il Primaticcio preparava disegni minuziosi e precisi, ai quali, come risulta dal confronto con le sculture originali rimaste, l'esecutore si attenne scrupolosamente fin nei minimi dettagli, per D. il Primaticcio forni schizzi sommari, che venivano da lui trasposti con libertà, come dimostrano le Virtù cardinali, i Geni funerari e le Cariatidi, probabilmente da lui realizzate (Bonnaffè, 1884; J. Thiriòn, in L'Ecole de Fontainebleau, 1972, p. 383; M. Bouchard, ibid., pp. 383 ss.). D'altronde D. aveva già lavorato sotto la direzione dell'abate di St. Martin, dimostrandosi artista troppo originale, con una forte personalità creativa: difficilmente si sarebbe prestato a seguire le istruzioni altrui, senza intervenire con gusto proprio.
Tra il 1560 e il 1565 D. fu impegnato in tre importanti lavori per la corte. Per la regina Caterina, nel 1561, esegui nove delle ventiquattro statue in legno raffiguranti divinità, a modo di cariatidi, in una grande sala nelle stalle del giardino di Diana nel castello di Fontainebleau (Herbet, 1899, p. 8; Koechlin-Marquet de Vasselot, 1900, p. 323). Tra il 1561 e il 1563 lavorò al Monumento per il cuore di Enrico II: un'urna in rame su un piedistallo con la raffigurazione delle Tre Grazie. Infine, tra il 1564 e il 1565, per la tomba reale nella chiesa dell'abbazia di St-Denis, produsse il modello in terracotta della statua orante del Re, che doveva essere posta al suo culmine, ma non scolpi la statua, che fu invece realizzata da Germain'Pilon. Questo fatto indusse alcuni storici a sostenere, ma senza ragione, la scomparsa repentina dell'artista (1565).
L'attività scultorea pose D. fra i capiscuola indiscussi della regione della Champagne; con le sue capacità tecniche ed espressive seppe rivitalizzare le stanche e attardate tendenze artistiche della scultura della provincia francese.
Pittore, scultore, stuccatore, decoratore, mosaicista, ceramista, D. deve però la sua gloria e la sua fama, nonché il successo, al disegno, arte nella quale eccelleva, come dimostrano ancora oggi le inquietanti incisioni a bulino che ci ha lasciato. Così testimoniava il Vasari (V, p. 171) nella vita del Rosso, a proposito dei suoi collaboratori a Fontainebleau: "Ma il migliore di tutti fu Domenico dei Barbieri, che è pittore e maestro di stucchi eccellentissimo e disegnatore straordinario, come ne dimostrano le sue opere stampate, che si possono annoverare fra le migliori che vadano attorno".
Già i contemporanei quindi, nonostante le molteplici attività svolte da D., avevano intuito che l'arte per la quale sarebbe stato ricordato fra i maestri di tutti i tempi era quella del disegno, e particolarmente dell'incisione a bulino su rame, arte che gli permise di trasporre sia idee e invenzioni proprie, sia quelle di grandi e riconosciuti maestri, quali Michelangelo e Rosso.
Nell'ambito della scuola di Fontainebleau. D. fu tra i pochi che tralasciarono l'acquaforte per dedicarsi totalmente al bulino. Era questa, infatti, la tecnica che meglio poteva offrirgli la possibilità di estrinsecare le sue straordinarie qualità di disegnatore. Secondo Herbet (1899), il catalogo delle stampe di D. comprende ventisette incisioni, ma lo Zerner (1969) propone soltanto ventidue-pezzi (cfr. anche Bartsch, 1818; Passavant, 1864; Babeau, 1877).
Una delle ragioni per le quali si è visto dilatare o restringere il catalogo delle incisioni di D. sta nel fatto che a lui è riconducibile una serie raffigurante ornamenti e grottesche, probabilmente composta in origine da dodici pezzi (Herbet, 1899, nn. 16-26; Zerner, 1969, nn. 1222), Herbet (1899) la confuse con un'altra, eseguita in controparte e all'acquaforte, che con ogni probabilità è da ricondurre all'incisore jacques Androuet Du Cerceau (1510-1584). In realtà della serie originale di D. si conoscono solo sette fogli: è da ritenere che le copie in controparte corrispondano a originali perduti. Questo fatto ha portato alcuni studiosi, come l'Herbet (1899, nn. 19, 20, 33), a sbagliare includendo le copie nel catalogo degli originali di Domenico. Lo Zerner (1969, nn. 15, 16, 19), ha invece inserito tre copie del Du Cerceau nella serie, ritenendole comunque copie dai prototipi di D., al fine di riproporre l'integrità della suite.
Due incisioni con monogramma segnalate dall'Herbet (1899, nn. 10, 15), La Santa Famiglia e La Maddalena pentita, non sono state rintracciate dallo Zerner (1969), così come una Femmina in piedi (Herbet, 1899, n. 27), tratta dal Parmigianino e proposta con esitazione anche dal Mariette (1851-53), la quale, secondo le indicazioni fornite dall'Herbet (1899), si sarebbe dovuta trovare alla Bibliothèque nationale di Parigi.
Lo Zerner (1969, n. 1) aggiunge invece al catalogo degli originali, per motivi stilistici, il bulino raffigurante La Vergine con Bambino. Non gli sembrano poi sostenibili alcune proposte di Herbet (1899, nn. 13, 14, 15) sia per Dieci uomini nudi presso degli scogli, che non ricalca la maniera di D., sia per Pandora e la Fama, che recano il monogramma D. B. (mai usato da D., che era solito firmarsi con il monogramma D. F., Domenico Fiorentino, come era comunemente noto in Francia).
Alcune delle incisioni sono tratte da disegni e soggetti di altri artisti, come il Gruppo dei beati" (Herbet, 1899, n. 2; Zerner, 1969, n. 3), e Angeli con gli strumenti della Passione (Herbet, 1899 n. 3; Zerner, 1969, n. 4; Borea, 1980, n.753), entrambi desunti da disegni del Giudizio universale di Michelangelo alla Sistina. La Borea (1980) ha ipotizzato che questi disegni venissero recapitati in Francia dopo il 1541, anno in cui il Giudizio venne terminato; furono con probabilità tradotti in stampa da D. nel 1545. Il Banchetto d'Alessandro il Grande (Herbet, 1899, n. 6; Zerner, 1969, n. 7), tratto da un disegno di Primaticcio, è oggi conservato al Louvre. La Gloria (Herbet, 1899, n. 7, Zerner, 1969, n. 9; Borea, 1980, n. 767), secondo lo Zemer, è una traduzione da un'idea del Rosso; la Borea invece la ritiene un'invenzione di Domenico. Analogamente l'Anfiarao (Herbet, 1899, n. 4; Zerner, 1969, n. 6; Borea, 1980, n. 766), il mitico personaggio, mago degli Argonauti, sarebbe riconducibile a un'idea del Rosso o del Primaticcio, ma, sostengono la Borea e lo Zemer, deve ritenersi un'invenzione di Domenico. L'incisione Scheletri e scorticati (Herbet, 1899, n. 8; Zerner, 1969, n. 10; Borea, 1980, n. 768) è da ritenere una libera interpretazione dalle "notomie" del Rosso (cfr. Vasari, V).
Riguardo a questi problemi si deve tenere presente il carattere proprio della stampa di traduzione cinquecentesca che è molto spesso una libera interpretazione d'idee, d'invenzioni compositive originali; quasi sempre traduce disegni e assai difficilmente rappresenta opere finite degli stessi grandi maestri, quali Michelangelo, Raffaello, le idee dei quali, riconosciute valide universalmente, meritavano di essere diffuse.
Tra gli altri soggetti si devono ricordare la Cleopatra (Herbet, 1899, n. 12; Zerner, 1969, n. 8) e il Martirio di s. Stefano (Herbet, 1899, n. 1; Zerner, 1969, n. 2), un adattamento della composizione che Giulio Romano dipinse per la chiesa dedicata al santo nella città di Genova.
L'attività d'incisore di D. fu senz'altro più vasta di quella che oggi con certezza possiamo attribuirgli, e probabilmente non fu mai da lui tralasciata. Secondo lo Zerner il periodo più intenso della sua creatività come incisore cade tra il 1540 e il 1545. Sue incisioni sono conservate presso il Gabinetto delle stampe della Bibliothèque nationale di Parigi (Zerner, 1969, nn. 1, 3, 8, 9, 10, dal 12 al 22), presso la Biblioteca dell'Ecole des beaux-arts di Parigi (ibid., nn. 2, 4, 5, 7, 11), presso la raccolta di grafica dell'Albertina di Vienna (ibid., nn. 2, 4, 5, 7, 11) e presso l'Istituto nazionale per la grafica di Roma, Gabinetto delle stampe, che conserva: la Gloria, FC 31505; Il banchetto di Alessandro il Grande, FC 31506, gli Angeli con i simboli della Passione, dal Giudizio universale di Michelangelo, FN 6297; e Ornamento con erme e grottesche, FC 31507, pubblicato per la prima volta dalla Borea (1980, n. 770), che lo ritiene la composizione iniziale della suite precedentemente descritta.
Sulla base delle disposizioni testamentarie di D., che recano con certezza la data del 1569, e dalle quali risulta l'agiatezza che aveva raggiunto a Troyes, è stato possibile, con l'aiuto di ulteriori ricerche, porre la morte dell'artista tra il 1570 e il 1571. Lo troviamo, infatti, nel 1570 ancora iscritto nel ruolo delle imposte e nell'aprile 1571 sulla lista della Guardia del quartiere di Belfroy, dove si legge: "Maistre Dominique Ricoury, ymager, mort". Nella lista del 1570 la parola "mort" è poco leggibile a causa di una cancellazione a penna, correzione che fa pensare D. molto malato, vicino alla morte già in quell'anno (Hany, 1981, p. 180).
D. morì a Troyes e fu seppellito nella chiesa di S. Pantaleone, davanti alla cappella di S. Giacomo (ibid., p. 179).
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