FERRARI, Domenico
Fratello del violoncellista Carlo, nacque a Piacenza nel 1722. Tra i migliori allievi di G. Tartini, secondo solo, come vuole la tradizione, a P. Nardini, il F. si formò a Padova alla scuola del grande maestro, insieme col Nardini, M. Stratico, P. Bini e A. Morigi.
Successivamente si trasferì a Cremona e qui secondo il Moser elaborò un gusto originale, costruito sulla commistione dell'insegnamento del Tartini e di quello del Locatelli, che il F. sembra conoscere meglio degli altri giovani della scuola padovana, come dimostra l'utilizzazione dello strumento nelle sonate da lui scritte nel 1758, nelle quali si succedono attacchi in levata che coinvolgono tutta l'ampiezza del ponticello, con risultati di grande piacevolezza. Paragonato allo stile del suo maestro e a quello del Nardini, il modo di suonare del F. ha qualcosa di più leggero, orientato soprattutto all'effetto virtuosistico. Già durante il soggiorno nella città lombarda il F. dovette però assicurarsi una buona fama all'estero, come dimostra la presenza tra i suoi allievi dell'austriaco B. Hupfeld.
Secondo il Moser, il F. verso la fine degli anni '40 soggiornò a Parigi per un periodo tanto lungo da assimilare lo stile e l'opera di JJ. de Mondoville, un violinista francese che nel 1735 aveva pubblicato sei sonate per violino, Les sons harmoniques, con speciale applicazione dei flautati, e aveva corredato l'edizione con alcune note tecniche per una corretta esecuzione dei brani. Da Mondoville il F. avrebbe quindi mutuato l'uso caratteristico dei suoni flautati e armonici, accolto con grande favore nei suoi viaggi in Austria e Germania. L'ipotesi del Moser è basata sulla datazione, errata, di due sonate del F. al 1750.
Eclettico, in grado di proporre gradevoli commistioni di tecniche e scuole diverse, il F. fu interprete eccezionale e iniziatore di una "nuova scuola di violino. ... La posizione per l'uso dell'archetto non è dritta ma curva. Non suona con forza, ma sfiora appena le corde, tralascia la parte bassa del ponticello e usa solo quella più alta, ottenendo toni che rassomigliano a quelli che si ottengono facendo toccare delicatamente dei bicchieri, in modo da sentire il suono del cristallo" (Schubart, in Wasilievski, p. 149).
La originalità tecnica rappresentò la qualità ma anche il limite dell'arte del F., che non riuscì ad andare oltre il virtuosismo. Nell'inverno tra il 1749 e il 1750, ormai di fama internazionale, venne scritturato come solista alla corte di Vienna, dove rimase, come sappiamo dalla autobiografia del Dittersdorf (p. 57), per oltre nove mesi, producendosi per lo più come interprete di opere di sua composizione, che Dittersdorf considera "le più adatte per lo studio del violino".
Questa notazione appare particolarmente significativa perché testimonia di una attività di compositore precedente alla pubblicazione delle prime opere (avvenuta nel 1758) e della quale si è sfortunatamente perduta ogni altra traccia, e spiega l'errore di alcune fonti (Eitner, Fétis, e il già citato Moser), che datano al 1750 la stampa di due sonate, in realtà posteriori. A Vienna il F. si guadagnò non solo il favore della corte, ma anche quello degli ambienti teatrali e intellettuali, dai quali veniva considerato il più grande tra i virtuosi di violino (Dittersdorf) e ricompensato con grande generosità.
Sulle vicende biografiche del F. all'indomani del soggiorno viennese non vi sono notizie certe: non è comunque da escludere che (come vogliono l'Eitner e lo Zanetti) il F. fosse attivo saltuariamente nella capitale asburgica fino al 1752. Lo ritroviamo nel 1753 al servizio del duca Carlo Eugenio di Württemberg che aveva raccolto alla corte di Stoccarda i migliori musicisti del tempo; tra i solisti di violino del duca troviamo infatti oltre al F., P. Bini nel 1754 e P. Nardini tra il 1760 e il 1765. Nel 1754 partecipò insieme col Nardini a Parigi a un Concert spirituel, ottenendo un grande successo. Il Mercure de France giudicò la sua interpretazione "la perfection même" (Musikin Gesch. u. Gegenwart, IV).
Secondo alcuni repertori tornò poi alla corte di Carlo Eugenio rimanendovi fino al 1778, anno nel quale si stabilì a Parigi. Secondo altri invece visse prevalentemente a Parigi, dopo il 1754. Risale a questo soggiorno parigino la più intensa attività compositiva del F. che pubblicò numerose sonate per violino e basso, per due violini flauto e basso, e per due violini, oltre ad un concerto per violino e archi.
Nelle sue opere si ravvisa una commistione tra elementi barocchi, per l'uso dei bassi, ed elementi classici per la compenetrazione di forma, melodia e armonia e per l'abitudine al ciclo a tre movimenti, "giustapposti qui senza alcun ordine ma coordinati a livello tematico" (Newman, p. 236). 1 piani tonali sono più estesi che nella sonata barocca e il vocabolario armonico appare semplificato, con l'eliminazione dei motivi ad espansione, sostituiti da brevi frasi melodiche, precisamente delimitate e articolate a cadenza. Di particolare interesse una delle 36 sonate per violino e basso (Op. 1, n. 5), nella quale si riscontra l'uso dei suoni armonici.
Nel 1780 venne ucciso a Parigi, alla vigilia di un viaggio che doveva portarlo a Londra, per mano, sostiene il Burney, di un collega invidioso.
Tra le sue composizioni si ricordano: 36 Sonate per violino e basso, Op. 1-6, Paris 1758-62; 6 Triosonate per due violini, flauto e basso, London 1758-65; Sei sonate per due violini, Op. 2, in collaborazione con P. Nardini, ibid. 1765; Sei sonate per violino e clavicembalo (o violoncello), Op. 2 [sic], Amsterdam 1766-74; Concerto per violino e archi, ms., Vienna, Gesellschaft der Musikfreunde; Sonate per flauto traverso e basso, ms., Karlsruhe, Badische Landesbibliothek. Le composizioni del F. sono edite in V. D. Kock, The Works of D. R, 1722-1780, (diss. dott. Tulone Univ.) University Microfilms International, Ann Arboi, Mr., 1969.
Fonti e Bibl.: C. Bumey, A general history of music from the earliest ages to the present period, III, London 1789, pp. 562, 573; C. F. D. Schubart, Ideen zu einer Aesthetik der Tonkunst, Wien 1806, p. 209; M. Pincherle, Les musiciens célèbres. Les violinistes, Paris 1922, pp. 91, 98; W. J. Wasiliewski, Die Violine und ihre Meister, Leipzig 1927, pp. 149, 291; C. Rovini, Il violino, Pisa 1938, p. 208; K. Ditters von Dittersdorf, Lebensbeschreibung, a cura di E. Schmitz, Regensburg 1940, pp. 57 s.; W. Altmann, Kammermusik Katalog, Leipzig 1944, p. 236; W. S. Newman, The Sonata in the Classic Era, Chapel Hill 1963, pp. 235 s.; A. Moser, Gesch. des Violinspiels, I, Tutzing 1966, pp. 244-246; F. Abbiati, Storia della musica, II, Milano 1967, pp. 428, 552; R. Zanetti, La musica nel '700 italiano, Busto Arsizio 1978, pp. 991-1092; F. J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, III, p. 213; R. Eitner, Quellenlexikon der Musiker, III, p. 423; C. C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, pp. 534 s.; Riemanns Musiklexikon, I, p. 498; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, IV, coll. 74 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, VI, pp. 492 s.; Diz. enc. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 740.