DIODATI, Domenico
Nacque a Napoli il 31 ott. 1736 da Giovanni e Camilla Ginnari. Di antica famiglia borghese - il padre era dedito ad attività commerciali e alcuni antenati si erano distinti in campo ecclesiastico e militare - frequentò prima il C. collegio dei nobili di via Nilo e poi fu avviato agli studi di giurisprudenza. Egli, però, mostrò fin dalla giovinezza un forte interesse per gli studi letterari ed eruditi, che coltivò assieme con quelli giuridici ed economici, avendo per maestri alcuni dei maggiori rappresentanti della cultura napoletana dell'epoca: J. Martorelli, T. Alfani, B. Intieri e A. Genovesi. In seguito la sua cultura si avvantaggiò della amicizia dei fratelli Di Gennaro, di M. Pagano, di G. Filangieri e di M. Vargas, di cui frequentò il salotto assieme all'insigne grecista, già suo maestro, Martorelli. Questi studi e contatti, coltivati mentre praticava la professione forense, i numerosi rapporti con autorevoli eruditi italiani ed europei, la frequenza delle principali accademie napoletane, consentirono al D. di essere nella seconda metà del secolo XVIII uno dei maggiori punti di riferimento del mondo napoletano dell'erudizione e degli studi classici.
Il D. si avvicinò alle accademie napoletane alla fine degli anni Cinquanta, un periodo in cui queste istituzioni si andavano sviluppando per soddisfare l'esigenza degli eruditi di comunicare tra loro e scambiarsi informazioni, supplendo così alle vistose carenze delle strutture culturali pubbliche. Il D. entrò, pertanto, nell'Accademia dell'Arboscello di G. de Bottis, dedita prevalentemente alla poesia greca, latina ed italiana e frequentata tra l'altro da D. Grimaldi e A. Serrao; qui pronunciò alcuni discorsi, in parte poi inseriti nell'inedito Trattato del piacere e della felicità umana, che, come le altre opere inedite, è andato disperso.
Nel 1767 pubblicò a Napoli la sua prima opera: De Christo hellenista exercitatio qua ostenditur graecam, sive hellenisticam linguam cum Iudaeis omnibus, tum ipsi adeo Christo Domino et apostolis nativam ac vernaculam fuisse, titolo imposto dal revisore che giudicò troppo sentenzioso quello scelto dall'autore (De Christo hellenista).
L'opera, in cui si sosteneva che la lingua parlata in Giudea e Palestina ai tempi di Gesù fosse la greca piuttosto che l'ebraica, si articola in tre parti: nella prima l'autore analizza i modi di penetrazione della lingua greca nei territori menzionati; nella seconda dimostra la sua diffusione, stabilendo una corrispondenza tra le scuole filosofiche ellenistiche e le sette ebraiche del periodo esaminato; nella terza fornisce risposte ad eventuali obiezioni alla sua tesi, di cui dimostra l'utilità per risolvere il problema dell'autenticità di alcuni testi cristiani.
La pubblicazione dell'opera scatenò notevoli polemiche nell'ambiente erudito italiano ed europeo del tempo; a fianco del D. si schierarono la Sorbona, le accademie delle iscrizioni e belle lettere di Parigi e Berna, alcuni insigni grecisti e filologi tra cui il Winckehnann. Alla tesi del D. - che era assolutamente errata - si oppose, invece, l'abate G.B. De Rossi, professore di lingue orientali a Parma, con lo scritto Della lingua propria di Cristo, mentre nello stesso 1767 l'Accademia Clementina diede inizio alla disputa "Pro et contra Deodatum". Lo scritto, dedicato a Caterina II di Russia, gli procurò la stima dell'imperatrice, che lo ricompensò con un medaglione d'oro ed una copia del suo nuovo codice legislativo: un riconoscimento ottenuto in Italia in quell'epoca dal solo Beccaria.
Nel corso degli anni Settanta il D. intensificò la sua corrispondenza con eruditi bibliofili italiani ed europei, tra cui il Metastasio, il famoso astronomo parigino J.-J.de Lalande, l'abate F. Cancellieri. Dell'amicizia di quest'ultimo il D. si servì in particolare in occasione della sua ricerca di iscrizioni figurate latine inedite, che avrebbe dovuto sfociare in una loro catalogazione completa.
Tenne anche una cordiale corrispondenza con l'abate G. C. Amaduzzi; ma quando, nel 1778, questi tentò di manipolare il testo - scritto per l'Antologia romana - di una sua rievocazione del Martorelli, morto l'anno precedente, il D. troncò i rapporti e pubblicò lo scritto commemorativo a Napoli, nello stesso 1778, con il titolo Elogio di Jacopo Martorelli regio professore di antichità greche nell'università di Napoli.
Accanto all'attività epistolare - i cui frutti furono raccolti dal fratello Luigi in dodici volumi - e a quella pubblicistica, il D. continuò ad esercitare, ed anzi intensificò quella accademica, entrando a far parte, nel 1778, della Accademia delle scienze e belle lettere, fondata nello stesso anno da Ferdinando IV, divenendone deputato e censore. Oltre ad alcuni studi sulle antichità della città di Lanciano, il D. condusse una ricerca numismatica sfociata nella pubblicazione dell'Illustrazione delle monete che si nominano nelle Costituzioni delle due Sicilie, inserita nel primo ed unico volume di Atti dell'Accademia, edito alla fine degli anni Ottanta.
Il saggio, che prima della pubblicazione fu letto in due assemblee della stessa Accademia, fu il frutto di una lunga e laboriosa ricerca filologica, per la quale l'autore si avvalse dell'aiuto di alcuni eruditi italiani, costituendo tra l'altro un vero e proprio museo numismatico. In quest'opera il D. espresse anche la sua concezione sul triplice valore della moneta: estrinseco, assegnatole dallo Stato; intrinseco, legato al metallo di cui è costituita; commerciale, derivante dal rapporto con il valore dei prodotti in commercio. Il breve scritto si proponeva principalmente di fornire gli strumenti per la comprensione e l'applicazione delle costituzioni del Regno di Sicilia emanate da Federico II, attraverso la commisurazione del valore delle monete antiche con quelle del tempo. Attraverso quest'analisi il D. dimostrò anche la reale esistenza di alcune vecchie monete, ritenute generalmente immaginarie, e ne riportò alla luce altre rimaste ignote fino a quel momento. Oltre a costituire un valido esempio di analisi filologica, quest'opera ebbe anche un'utilità pratica; di essa si servì il Fisco siciliano per la risoluzione di una vertenza con alcuni privati circa il valore di un corpo, il cui costo, valutato fino a quell'epoca secondo la monetazione antica, doveva essere trasposto in termini moderni. Per questo involontario servizio reso al governo siciliano il D. ottenne dal viceré una pensione accademica.
Gli interessi di natura economica del D. non si fermarono allo studio sulle monete; secondo il Giustiniani egli intervenne anche nella controversia sorta in quegli anni tra moralisti e politici a proposito della liceità o meno di un cambio di tipo usurario nelle transazioni commerciali, mediando le due opposte posizioni nell'opera inedita Sull'interesse mercantile e il cambiodel denaro.
Dal 1787 il D., che era membro onorario dell'Accademia della Crusca, fece parte dell'Accademia Ercolanese, rinnovata da Ferdinando IV e dal suo presidente D. Caracciolo, nel tentativo di riprendere l'attività promossa nel 1755 da Carlo di Borbone e dal Tanucci. Il D. fu uno dei suoi quindici membri e partecipò pertanto alla stesura, peraltro incompleta, del nono volume sulle antichità di Ercolano, Lucerne e candelabri, Napoli 1792 (gli altri otto volumi, pubblicati tra il 1757 e il 1771, avevano avuto per oggetto le pitture ed i bronzi).
Oltre a quelle già menzionate, il D. fu autore di molte opere inedite. Innanzitutto i Prolegomeni, istoria e collezione delle prammatiche napoletane, ove sono molte inedite rinvenute negli archivi e altrove, unica sua opera di argomento giuridico, in cui si proponeva l'aggiornamento delle Pragmaticae sanctiones Regni Neapolitani (Neapoli 1682-88) di B. Altimari, ma il D. non la completò e non la diede alle stampe per una controversia sorta con un suo collaboratore. Altri scritti inediti furono: Analisi della storia ecclesiastica e de' concilii; Appendici e risposte ai suoi critici; Descrizione dei luoghi celebri di Napoli; Lettere a Francesco Daniele (in cui illustrava sette monete d'oro); Estratto della storia del Regno di Carlo V dell'inglese Robertson; Officio de' portolani di terra e di mare (in forma epistolare); Dell'opera di Giuseppe Ebreo e del Vangelo di S. Matteo; Dell'assedio di Annibale alla città di Napoli e della battaglia tra Cartaginesi e Napoletani.
Il D. morì a Napoli il 21 apr. 1801.
Fonti e Bibl.: Una biografia completa del D. si trova nel volume anonimo Memorie della vita di D. D., Napoli 1815, in cui è riportato, tra l'altro, l'elenco completo delle opere inedite; un quadro d'insieme sulla personalità e le opere del D. è anche in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornate dei loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali, IV, Napoli 1817, pp. 57-60 (voce redatta da L. Giustiniani). Poche fondamentali notizie biografiche sono riportate da C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Bologna 1967, p. 116; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, III, Venezia 1836, pp. 344 s.; T. Semmola, Biografia di D. D., in Poliorama pittoresco, VII (1843), pp. 235 ss.; G. Castaldi, Storia della regale Accademia Ercolanese dalla sua fondazione sinora con un cenno biogr. dei suoi soci ordinari, Napoli 1840, pp. 135-38; G. Natali, Il Settecento, Milano 1936, pp. 409, 475, 798, che si sofferma sull'importanza del D. nella cultura napoletana dell'epoca.
Una biografia accurata e moderna è quella di F. Strazzullo, I "Paglietti" nella cultura napoletana del Settecento, Roma 1984, che a dispetto del titolo è tutta dedicata al Diodati. Lo Strazzullo utilizza, oltre alle fonti bibliografiche a stampa, l'ampio carteggio del D., conservato presso la Bibl. naz. di Napoli. Stralci di questo carteggio sono pubblicati dallo stesso Strazzullo, Carteggio Tiraboschi-Diodati, in Esperienze letterarie, IV (1981), pp. 19-86; Le lettere di D. all'ab. Amaduzzi, in Atti dell'Acc. Pontaniana, n. s., XXX (1982), pp. 315-37; Eruditi napoletani del '700. Il carteggio Cancellieri-Diodati, ibid., XXXI (1983), pp. 87-111.
Un esame delle opere del D. nel contesto culturale europeo e delle polemiche da esse suscitate sono in P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura delle Due Sicilie dalla venuta delle colonie straniere sino anostrigiami, VII, Napoli 1811, pp. 176-79. Alcune notizie sui rapporti con alcuni esponenti della cultura italiana del tempo sono in N. Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinquecento al Settecento, Napoli 1965, pp. 278 ss. Sull'erronea tesi sulla lingua usata da Cristo si sofferma, smentendola recisamente, A. Vaccari, Il piùgrande ebraista dell'Italia cristiana G. B. De Rossi, in Scritti di erudizione e di filologia, II, Per la storia del testo e dell'esegesi biblica, Roma 1958, pp. 460 s.
Sulle teorie monetarie del D. si sofferma brevemente T. Fornari, Delle teorie economiche nelle province napoletane dal 1735 al 1830, Milano 1888, pp. 348 s.