DOMENICO di Sora, santo
La morte di D. è fissata concordemente al 22 genn. 1031 - data della celebrazione liturgica, confermata dal martirologio romano - nel monastero di S. Maria di Sora; l'età al momento della morte - ottanta anni - sembra più segno di età veneranda che elemento capace di fornire una puntuale data per la nascita. Il luogo di questa è di nuovo concordemente indicato in Foligno, città che ha conservato una ininterrotta tradizione del culto. Foligno (attuale prov. di Perugia) e Sora (Frosinone) sono dunque i punti estremi dell'itinerario, insieme geografico e religioso, di questa interessante figura di monaco ed eremita - caratteristica l'alternanza continua tra i due stati -, costruttore di chiese e fondatore di comunità monastiche, abate, predicatore, che si colloca cronologicamente tra la metà del X e i primi decenni del secolo XI, un periodo che si può considerare la vigilia del movimento di riforma della Chiesa nel Lazio.
Se si eccettuano un sintetico medaglione e alcune citazioni nei Chronica monasterii Casinensis e ancora pochissimi documenti relativi ai monasteri fondati da D., la memoria storica a lui relativa è affidata principalmente a un dossier agiografico - antico e storicamente molto interessante, ma conservato da una tradizione manoscritta tutt'altro che omogenea e lineare - composto principalmente da una Vita scritta con ogni probabilità da un discepolo; da una Vita, scritta, questa, da un autore illustre, Alberico da Montecassino; da una raccolta di miracoli.
L'autore della Vita (Bibliotheca hagiographica Latina [= B H L], 2241), considerata la prima dai bollandisti che la pubblicarono, dice, a conclusione dell'opera, di chiamarsi Giovanni e di essere stato compagno assiduo del santo; difficile ogni ulteriore precisazione o identificazione, in particolare con il Giovanni ricordato, vecchissimo, nel prologo della Vita di Alberico tra i testimoni pffi veritieri in quanto discepolo di D. fin dall'infanzia. Questa citazione ha sollevato numerosi problemi che rinviano al rapporto tra le due biografie. Alberico (B H L, 2244-2245 e 2245b), sempre nel prologo, fa esplicito riferimento a una tradizione agiografica scritta, da lui duramente criticata per la forma, rozza, e per il contenuto, menzognero; proprio per questo motivo, sollecitato dal confratello Dodone, si era recato con lui al monastero di S. Maria di Sora, per incontrare l'abate Benedetto (a D. imparentato per "sangue e santità") e altri discepoli di D., al fine di attingere la verità dai testimoni più diretti e fededegni.
Le espressioni usate da Alberico hanno posto un problema, non solo nei confronti dell'identificazione del Giovanni sua fonte di informazioni con il discepolo-biografò, ma anche nei confronti dell'identificazione della Vita tanto criticata proprio con quella conservataci: per i bollandisti il testo criticato dallo scrittore cassinese sarebbe solo un compendio oggi perduto; per il Lentini, il riferimento sarebbe a una Vita, anche questa non pervenutaci, fonte di tutta la successiva tradizione agiografica a noi nota, all'interno della quale la priorità cronologica viene rivendicata alla biografia cassinese. La priorità della Vita attribuita a Giovanni - accettata dal Caraffa e dal Toubert - è ora rimessa in discussione dalla ricostruzione della tradizione manoscritta del dossier agiografico di D. ad opera di F. Dolbeau, che propone il testo della Vita di Alberico comprensivo di prologo e dei miracoli post-mortem. Se rimane indimostrata, ma non impossibile l'esistenza di un primo testo oggi perduto secondo l'ipotesi dei Bollandisti, sembra si possa ragionevolmente affermare la formazione precoce di una duplice tradizione agiografica, locale e cassinese, per quanto riguarda sia la biografia sia i miracoli prima e dopo la morte, confermata peraltro dal testo conservato nel ms. gi della Biblioteca Alessandrina di Roma, ff. 347r-359v, (B H L, 2243), abbreviato rispetto a quello attribuito al discepolo Giovanni.
La Vita attribuita al discepolo propone un profilo meno attento ai lineamenti spirituali della santità, ai caratteri "interni" della esperienza eremitica e monastica e più alle attività "esterne" e pubbliche: quella di indefesso costruttore di chiese e fondatore di monasteri - con una predilezione per S. Bartolomeo di Trisulti -, quella di assiduo predicatore, di taumaturgo. Alberico dedica maggiore attenzione alla formazione culturale, alla osservanza della disciplina monastica, alla dimensione spirituale e morale della santità; presenta inoltre maggiori dettagli sulla prima parte dell'itinerario di D., riguardante in gran parte luoghi passati poi sotto la giurisdizione di Montecassino, e opera una drastica riduzione degli episodi di vita monastica e di predicazione relativi al periodo "laziale". Si può parlare per questa Vita di costruzione del profilo di D. secondo un modello più tradizionale di monaco-eremita, che stempera alcuni motivi peculiari e storicamente molto interessanti della fisionomia religiosa elaborata nell'entourage "locale" del santo, in particolare a Trisulti.
Questa diversa impostazione può forse spiegare le accuse rivolte dallo scrittore cassinese alla tradizione precedente, senza caricare di significati eccessivi l'episodio di quei monaci cassinesi rimproverati dal santo per avere nascosto doni a lui destinati, comunque spia interessante di difficoltà di rapporti con l'antico e venerando monastero e dunque ricordo inopportuno al momento in cui si voleva collocare il santo monaco all'interno di una più omogenea tradizione benedettina centrata sul monastero di origine. Una tradizione destinata a perpetuarsi nelle molte redazioni - sia pure poco differenziate - della Vita di Alberico, e ancor più in una epitome, che puntando solo all'elogio delle virtù morali perde completamente di vista i dati biografici.
La raccolta di miracoli (B H L, 2242), caratterizzata anch'essa da una tradizione manoscritta complessa e autonoma - già edita insieme alla biografia del discepolo, ricondotta ora dal Dolbeau alla paternità di Alberico -, è inequivocabilmente legata alla memoria storica e cultuale maturata entro i primi decenni dalla morte di D.I più centrata sul monastero di Sora, che, conservando le reliquie, era divenuto il centro di irradiazione della virtus taumaturgica di Domenico. Questa si estende, con poche eccezioni (Roma, Gaeta, Ancona), su quella che era stata in vita la zona di influenza di D., con una tipologia fortemente omogenea di miracoli di guarigione, alcuni con valenze punitive nei confronti di coloro che si opponevano alla sua predicazione per la riforma morale, in particolare alla sua lotta contro il concubinato dei sacerdoti.
Se si esclude il luogo di nascita, generici risultano i primi dati biografici: nascita da genitori di nome Giovanni e Ampa - "illustre" definisce la famiglia Alberico -; avvio precoce allo studio delle lettere; vocazione religiosa manifestata attraverso l'assiduità nel canto, nella preghiera, nella penitenza; poi allontanamento dalla patria e dalla famiglia e ritiro nel monastero di S. Maria a Petra Demone in Sabina, probabilmente uno di quei piccoli monasteri sorti nei secoli IX-X nella Massa Torana, possedimento di Farfa, dove avrebbe ricevuto l'abito monastico, e ancora la consacrazione sacerdotale, anticipata, questa, da Alberico alla sua permanenza nel monastero fulignate di S. Maria - poi S. Spirito - d'Asero, cui in prima istanza lo avrebbero affidato i genitori. In seguito - vana la ricerca di una cronologia puntuale nelle generiche indicazioni temporali del racconto agiografico - ricerca di solitudine in un luogo vicino, presso Scandriglia, dove tuttavia la fama della sua santità attirava molti alla vita religiosa, tanto da indurlo alla costruzione di un cenobio intitolato al Salvatore. Di nuovo alla ricerca di solitudine si fermò in luogo detto "Domus" presso il monte Pizzi. Qui si uni a lui il monaco Giovanni, qui costrui una chiesa dedicata alla Trinità. Una breve permanenza, un nuovo spostamento verso il territorio di Valva, una nuova fondazione: S. Pietro del Lago (poco a settentrione del lago di Scanho), dove istitui una comunità sotto la guida di un priore, per riguadagnare subito la vita eremitica nella vicina località di Plataneta.
In questa solitudine numerosi "segni" consacravano la santità di Domenico. Una notte, mentre era intento alla preghiera, vide una immensa colonna luminosa simile all'arcobaleno scendere dal cielo alla terra proprio nel luogo scelto a dimora; e ancora, mentre era assorto in meditazioni spirituali, scorse dall'alto una luce immensa formata da tre colonne di fuoco, trasportato sulla cima delle quali poté contemplare tutto l'orbe terrestre circonfuso di luce divina. Il miracolo, modellato su quello di Benedetto, narrato nei Dialogi di Gregorio Magno (II, 35), inserisce D. nella più illustre tradizione agiografica monastico-benedettina.
Ma non era ancora la sosta definitiva: su invito di Borello dei conti del Sangro costrui il monastero di S. Pietro Avellana (presso Castel di Sangro), per poi ripartire alla ricerca di solitudine fermandosi a Trisulti (presso Collepardo, od. prov. di Frosinone). D. aveva finalmente raggiunto quella regione, la Campania, dove passerà sia pure tra continui spostamenti il resto della sua vita e in cui lascerà il segno più profondo della sua attività di abate e predicatore.
La Vita di Alberico dedica maggiore attenzione alla parte dell'itinerario di D., prima dell'insediamento a Trisulti, fornendo un maggior numero di dettagli sulle precedenti fondazioni, alcuni confermati da fonti cassinesi. Per S. Salvatore a Scandriglia precisa l'interessamento del marchese Uberto, che avrebbe dotato il monastero, poi passato a Farfa, di beni ingenti, capaci di assicurare il sostentamento di numerosi monaci. A "Domus" i signori del luogo gli avrebbero chiesto la fondazione di ben due monasteri: uno sul monte, l'altro in pianura. Quanto a S. Pietro del Lago, sarebbero stati i conti di Valva Beraldo, Teodino, Raudisio a chiedergli la costruzione del monastero. Una conferma della notizia fornisce la donazione del monastero, unitamente al romitorio di Prato Cardoso, da parte dei conti Teodino e Oderisio, figli di Raudisio, e Bernardo, figlio di Beraldo, a Montecassino nel 1067 (0 1069) (Gattola, Accessiones, I, p. 179; Chronica, p. 416, dove si cita sempre il nome del fondatore). Del resto anche per S. Pietro Avellana la tradizione cassinese conserva non solo il ricordo della fondazione da parte di D. (Chronica, p. 416), ma anche la donazione a Montecassino compiuta dal conte Borello nel 1069 e una precedente del 1026, fatta non a D. ma a un Pietro sacerdote, certamente successiva alla fondazione da parte di D. (Gattola, Historia, p. 238; Id., Accessiones, I, p. 179).
Dopo tre anni di solitudine a Trisulti, scoperto dai cacciatori e subito circondato dalla venerazione delle popolazioni circostanti, fu indotto a una nuova fondazione, intitolata all'apostolo Bartolomeo. D. stesso, secondo il racconto dell'agiografo, ne avrebbe gettato le fondamenta, l'avrebbe abbellita con tre altari, l'avrebbe protetta contro il demonio, fermando miracolosamente un masso; a riprova di questa predilezione c'è il viaggio di D. a Roma per chiedere e ottenere protezione e conferma dei beni dal pontefice Giovanni XVIII (tra il 1004 e il 1009: Kehr, II, p. 153). Il privilegio, non pervenutoci, avrebbe sancito, secondo il breve "regesto" della Vita, la protezione della Chiesa sulla comunità e tutti i beni presenti e futuri; la preminenza su tutte le altre chiese castrali ("statuens ipsam ecclesiam primam omnium ecclesiarum adjacentium castrorum"); la facoltà di eleggere l'abate in caso di passaggio di D. in altro luogo; la libertà di visita agli infermi e di sepoltura.
L'impegno a favore del monastero di Trisulti non esauri né la vocazione eremitica né l'attività di costruttore di D.: un oratorio dedicato a S. Michele Arcangelo ai piedi del monte Cacume (a meridione di Patrica); una chiesa in onore della Vergine presso il fiume Flaterno; e ancora un oratorio in onore della Trinità a Petra Imperatoris. Attività sempre intercalate da visite alle precedenti fondazioni, che reclamavano la sua presenza. Proprio in un viaggio di ritorno da S. Pietro del Lago a S. Bartolomeo avrebbe incontrato Pietro di Rainerio, signore di Sora e Arpino, che avrebbe confessato a D. i suoi peccati, ne avrebbe chiesto perdono e penitenza, ricevendo l'ordine di fondare e dotare un monastero. Per questa nuova fondazione, il monastero di S. Maria di Sora, D. lascerà, dopo quindici anni, l'abbaziato di S. Bartolomeo di Trisulti per assumere - solennemente scortato dallo stesso Pietro di Rainerio e dai suoi soldati - quello del nuovo monastero, per gli ultimi venti anni e mezzo della sua vita. Questi elementi cronologici permettono ragionevolmente di porre la fondazione di Trisulti intorno al 996 e quella di Sora intorno al 1011.
Le Vite non mancano di ricordare che la nuova fondazione fu all'origine motivo di forti contrasti tra D. e il signore di Sora, che, all'insaputa e contro la volontà di D., vi aveva in un primo tempo insediato una comunità femminile, rapidamente corrottasi, ma costretto al pentimento ne lasciava poi piena cura a Domenico. Il documento più antico del monastero di Sora è l'atto di donazione di Pietro di Rainerio e della moglie Duoda del 1030, che dedica ampio spazio alle motivazioni religiose della fondazione, alla costruzione della chiesa, e precisa come la nomina ad abate di D. sia avvenuta proprio ad opera dei fondatori.
La molteplicità e varietà di luoghi toccati da D. non impedisce di individuare un percorso non casuale: completamente estraneo non solo alle grandi città, ma anche a ogni centro di qualche rilievo; periferico rispetto alle grandi istituzioni monastiche e svincolato da ogni organizzazione ecclesiastica diocesana; strettamente legato ai signori laici che si vedono o si intuiscono puntualmente presenti in tutte le fondazioni; prevalentemente operante in ambiti rurali o montani nelle zone in cui si andava proprio in quel tempo organizzando un nuovo assetto del territorio, insieme economico, sociale e politico, derivato dall'incastellamento.
Petra Demone e Scandriglia sono entrambi indicati nelle nostre fonti agiografiche come "luoghi detti", ma le prime menzioni come castra risalgono a pochi anni dopo le fondazioni di D. (ai primissimi anni del sec. XI per Petra Demone, tra il 1013 e il 1023 per Scandriglia: Toubert, I, pp. 406, 431), in relazione all'attività dei conti di Rieti, ma per entrare ben presto nell'ambito della politica patrimoniale del grande monastero farfense. Per questa zona così come per quella abruzzese-marsicana non sarebbe impossibile ipotizzare una funzione della presenza di D. come elemento di coesione insieme religiosa e patrimoniale nella generale politica di riorganizzazione del territorio.
Ma è in Campania che sembra evidenziarsi un più organico inserimento di D. nel nuovo assetto politico-territoriale, non solo tramite i signori, ma anche in un rapporto diretto con le comunità castrensi (come castra li indica la fonte). Importante testimonianza è fornita dalla donazione al monastero di Trisulti compiuta, probabilmente nel 1006, dai "consortes" di Vico, di beni che i donatori definiscono liberi da ogni potere ecclesiastico o monastico, soggetti solo al loro patronato, concedendo la libertà di nomina dell'abate (Spicilegium Liberianum, pp. 719 s.). Una conferma inequivocabile di questi rapporti viene anche dal racconto agiografico, secondo il quale D. sembra stendere, attraverso il fascino della taumaturgia e della parola, una trama di rapporti insieme materiali e simbolici. I miracoli operati da D. e la fama derivatane sarebbero all'origine di una imponente donazione compiuta a favore del monastero di S. Bartolomeo di Trisulti dalle Comunità di Castro, Vico, Guarcino, Collepardo. La donazione, di cui non è conservato il documento, è descritta come un rito solenne - le mani nelle mani del santo - e come uno scambio di doni materiali - terre, monti, selve, diritti di pesca - e doni spirituali - benedizione e cibo eucaristico.
Proprio presso le Comunità castrensi che avevano partecipato all'atto solenne di donazione al monastero si svolse prevalentemente quell'attività di predicazione, che costitui uno degli elementi più caratterizzanti la fisionomia religiosa di D., con la sua peculiarità - rispetto a fenomeni analoghi - di riformatore morale in un contesto politico-sociale e religioso che precedeva e preparava la riforma stessa della Chiesa. L'inizio dell'attività viene posto significativamente dal discepolo-biografo - anche se senza rapporto causale - dopo il viaggio di D. a Roma presso il pontefice Giovanni XVIII, quasi fosse necessario il riconoscimento della massima autorità ecclesiastica per l'esercizio di questa funzione pastorale da parte di un monaco sia pure ordinato sacerdote; riconoscimento tanto. più necessario per una predicazione pubblica, svincolata dalla istituzione ecclesiastica diocesana, che aveva avuto tra i suoi obbiettivi l'immoralità del clero. Quasi una esplicitazione della espressione già ricordata del privilegio pontificio che dichiarava il monastero di Trisulti prima fra tutte le chiese castrensi.
Notevole spazio viene riservato a questa attività di predicazione dalla Vita del discepolo, di contro al rapido cenno della Vita di Alberico. A Guarcino invito al popolo e ai sacerdoti alle vigilie, preghiere, digiuni, elemosine; e ancora rimproveri ai sacerdoti per l'avarizia, la lussuria, e soprattutto le unioni illecite. Sulla strada verso Vico un primo miracolo di punizione contro la donna di Guarcino che aveva osato percuotere D. a causa delle sue prediche contro il concubinato dei preti. A Vico, nella chiesa di S. Angelo, messa solenne, predica, benedizione. All'ingresso del castrum di Collepardo clero, uomini, donne, bambini, con palme e fiori e canti andavano incontro a colui che consideravano "dominuni ac defensorem in patria nostra"; il giorno seguente tutto il popolo "maiores et minores" si riuniva nella chiesa di S. Salvatore, ascoltava la celebrazione liturgica e la predica. Rilievo tutto particolare veniva dato nel racconto alla predica nella chiesa di S. Maria a Cannavinnano, dove si erano riuniti clero e popolo di Guarcino, Vico, Collepardo e di una moltitudine di Comunità vicine, di cui si riporta il "testo". Senza potere in nessun modo pensare a una forma di redazione autentica, o di trascrizione dal vivo, possiamo tuttavia attribuire al documento il valore di testimonianza di come il più immediato entourage di D. rielaborava il suo messaggio religioso e lo affidava alla memoria scritta nella sua presunta "originalità". La predica, oltre alle esortazioni morali e spirituali, conteneva il pressante invito - tanto più necessario in quanto stava per venire a mancare la presenza protettiva del santo abate, in procinto di trasferirsi alla nuova fondazione di S. Maria di Sora -, a nome dell'apostolo Bartolomeo, ad amare e rispettare la sua chiesa dal momento che "le preghiere profuse per quella bestiale e pessima razza che uccideva gli uomini della vostra gente perché si astenesse dalle uccisioni sono state esaudite". Allusione interessante a una realtà di violenze e usurpazioni non verificabile nello specifico, ma largamente nota nel contesto generale.
Nel monastero di Sora D. fu ricondotto, quando l'infermità lo aveva colpito in viaggio; qui morì di morte esemplare, descritta in dettaglio nella raccolta di miracoli; qui rimase il suo corpo; qui si sviluppò un culto destinato a perpetuarsi fino ai giorni nostri. Eppure il monastero di Sora, per il quale Onorio III rievocava la mitica santità del fondatore al momento in cui lo affidava, per vincerne la corruzione, all'abate di Casamari, non può vantare il monopolio del culto. Questo è infatti presente in molti luoghi segnati dalla presenza fisica o taumaturgica del santo, con manifestazioni religiose tutte fortemente impregnate di valenze folkloriche, pur con funzioni diverse, a seconda delle diverse aeree geografiche. A Foligno viene invocato contro le tempeste, a Sora contro le tempeste e le febbri, e contro la rabbia e il morso dei serpenti in tutta l'arca abruzzese-marsicana, e in particolare a Cocullo, dove si conserva un presunto dente di D. e dove il primo giovedì di maggio ha luogo ancora oggi una famosa festa popolare, centrata sui serpari, esempio significativo di stratificazioni culturali.
Fonti e Bibl.: La Vita attribuita al discepolo Giovanni (Bibl. hagiographica Lat., I, Bruxelles 1898-99, n. 2241) e la raccolta di Miracula (ibid., n. 2242) sono editi in S. Dominici Sorani abbatisVita et Miracula a coaevis conscripta et nunc primum edita, in Analecta bollandiana, I (1882), pp. 279-322 (edizioni rispettivamente alle pp. 282-298 e 298-322); la Vita scritta da Alberico da Montecassino (Bibl. hagiographica Lat., nn. 2244-2245) è stata edita da A. Lentini, La "Vita S. Dominici" di Alberico Cassinese, in Benedictina, V (1951), pp. 57-77 (edizione alle pp. 70-77), dopo le edizioni degli Acta sanctorum Jan., III, pp. 56-59, e di J. Mabilion, Acta sanctorum Ordinis Sancti Benedicti, VIII, 1, Venetiis s.d., pp. 315-319: l'Epitome vitae Dominici (Bibl. hagiogr., Lat. n. 2246) è edita in Bibliotheca Casinensis, III, Montis Casini 1887, Florilegium Casinense, pp. 365 s.; per altri manoscritti, cfr. A. Poncelet, Catalogus codicum hagiographicorum bibliothecarum romanarum praeterquam Vaticanae, Bruxelles 1909, pp. 135 s., 264 s., 398 s., 431 s., 440 ss. Nuova ricostruzione della tradizione manoscritta della Vita e della raccolta di miracoli di F. Dolbeau, Le dossier de saint Dominique de Sora, d'Albéric du Mont-Cassin à Jacques de Varagine, in Mélanges de l'Ecole françaisede Rome, Moyen Age, CII (1990), I, pp. 7-78. Altre fonti: Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffinann, in Mon. Germ. Hist., Script., XXXIV, Hannoverae 1980, pp. 283, 411, 416; per i documenti cassinesi cfr. E. Gattola, Historia abbatiae Cassinensis, Venetiis 1733, p. 238; Id., Ad historiam abbatiae casinensis accessiones, ibid. 1734, p. 179; e H. Hoffmann, Ueberblick ueber den Inhalt des Registrum Petri Diaconi in Chronik undUrkunde in Montecassino, in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, LI (1971), p. 135, nn. 494, 496; per la donazione a Trisulti cfr. F. Liverani, Spicilegium Liberianum, Florentiae 1863, pp. 719 s.; per la donazione a Sora cfr. C. Baronio, Annales ecclesiastici, XVI, Lucae 1744, p. 582; Propylaeum ad Actasanctorum Decembris, Martyrologium Romanum adformam editionis typicae scholiis historicis instructum, Bruxelles 1940, p. 31. Tra le molte opere, contenenti notizie più o meno ampie su D., possono essere indicate come le più degne di rilievo storico o semplicemente storiografico le seguenti: G. Spitilli, Vita di s. D. da Fuligno abbate dell'Ordine di S. Benedetto, Roma 1604; L. Jacobilli, Vita di s. D. da Foligno, Foligno 1645; J. Mabillon, Annales Ordinis Sancti Benedicti, IV, Lucae 1739, pp. 336 s., 346, 381; C. Baronio, Annales ecclesiastici, XVI, Lucae 1744, pp. 581-585, 587; L. Tosti. La leggenda di s. D. abate, in Id., Opere complete, V, Scritti vari, Roma 1890, pp. 293-339; G. Celidonio, La diocesi di Valva e Sulmona, II, Casalbordino 1909, pp. 96-102; M. Inguanez, Inni inediti di Alberico e il codice cassinese 199, in Bull. Ist. stor. ital. per il Medioevo, XLVII (1932), pp. 191-198; A. Lentini, S. D. Sorano e Montecassino, in Benedictina, V (1951), pp. 185-199; F. Caraffa, D. di Sora, in Bibliotheca sanctorum, IV, Roma 1964, coll. 737 ss.; P. Toubert, Les structures du Latium médièval. Le Latium méridional et la Sabine du IX, à la fin du XIII siècle, Rome 1973, ad Indicem; A. M. Di Noia, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 1976, pp. 31-178; Monasticon Italiae, I, Roma e il Lazio, a cura di F. Caraffa, Cesena 1981, nn. 93 p. 137, 155 pp. 155 s., 199 s., p. 167, 213 p. 171; F. Caraffa, Il monachesimo nel Lazio dalle origini al secolo XX, ibid., pp. 99-114, in particolare p. 102; S. Boesch Gajano, Santità di vita, sacralità dei luoghi. Aspetti della tradizione agiografica di D. di Sora, in Scritti in onore di F. Caraffa, Anagni 1986, pp. 185-204; P. F. Kehr, Italia pontificia, II, p. 153; VIII, pp. 102 s.