DOMENICO di Catalogna
Figlio di Pietro, nacque in data e luogo ignoti. Non sappiamo dove e quando entrò nell'Ordine domenicano, né dove compi i suoi studi. Compare per la prima volta, come baccalaureatus formatus, nel 1431, quando il capitolo generale, svoltosi a Lione, lo incaricò di leggere la Bibbia, nell'anno 1431-32, presso lo Studio bolognese nel convento di S. Domenico che faceva parte della facoltà teologica. In seguito lesse le Sentenze (entrambi gli insegnamenti furono approvati nel corso del capitolo generale tenutosi a Colmar nel 1434). Pur restando fino al 1435-36 presso lo Studio bolognese come lector theologiae, D. non consegui il titolo di magister theologiae.
Dopo essere stato priore di S. Domenico dal 1437 al 6 ott. 1438, D. si dedicò ad una intensa opera di predicazione, agendo soprattutto a Bologna e Pavia. La prima testimonianza sulla sua presenza a Pavia risale al 21 giugno 1443, ma certamente D. vi dimorava da tempo dato che viene indicato come uno dei più eminenti frati della città. È probabile che egli fosse a Pavia almeno dall'inverno 1440-41, visto che non risultava più far parte della comunità bolognese in occasione di un capitolo del convento Svoltosi il 23 genn. 1441.
A Pavia D. non risiedette presso il convento di S. Tommaso, la principale casa domenicana della città, ma a S. Apollinare, che Eugenio IV aveva concesso alla congregazione osservante dei lombardi (al pari di molti suoi confratelli provenienti dalla penisola iberica, D. era infatti di stretta osservanza). A Pavia, ben presto, egli attrasse su di sé l'attenzione, anche a causa della situazione politica e militare. Dopo il sacco di Piacenza, compiuto dalle truppe di Francesco Sforza il 16 nov. 1447, i Pavesi cercarono di soccorrere i diecimila cittadini di Piacenza che erano stati presi prigionieri. Un gruppo di mercanti pavesi raccolse una somma di denaro e autorizzò D. a versare il riscatto. D. infatti si andava guadagnando la fiducia dei Pavesi e allacciava stretti legami con i principali esponenti politici e letterari della città. Lo testimonia, ad esempio, il cronista piacentino Antonio da Ripalta il quale, fatto prigioniero durante il sacco della sua città insieme con i figli, dopo la liberazione aveva inviato questi ultimi a Pavia affinché proseguissero gli studi sotto le cure di D., che li collocò presso famiglie nobiliari, "ut grammaticam, ceterum scientiaruni matrem ac nutricem, possent adiscere".
Negli anni successivi D. si impegnò a Pavia in opere caritative e in particolare sostenne con grande fervore il progetto di fondazione di un ospedale e di una confraternita intitolati a S. Matteo. I suoi sforzi furono coronati da successo, grazie ai buoni rapporti che intratteneva con i ceti dirigenti pavesi. Il 29 giugno 1449 il vescovo di Pavia lacopo Borromeo pose la prima pietra dell'ospedale; D. ne redasse gli statuti, seguendo il modello di quelli di Firenze e di Siena, in tempo per l'inaugurazione ufficiale della fondazione, avvenuta il 10 nov. 1451. Frattanto D. era tornato a Bologna, dove è documentata la sua presenza al capitolo conventuale del 5 giugno 1449 e, in qualità di testimone, al testamento fatto il 1° nov. 1450 da un mercante bolognese. Dovette, comunque, tornare a Pavia per l'inaugurazione di S. Matteo, poiché il 13 nov. 1451 fu presente al testamento di Delfino Strada. Ma non più tardi del 22 genn. 1452 era di ritorno a Bologna, come risulta dall'elenco dei partecipanti al capitolo del convento, in cui il suo nome segue immediatamente quello del vicepriore.
Il 10 genn. 1453, da Bologna, D. scriveva alla comunità di S. Matteo, incoraggiandola a proseguire l'opera avviata. Ma essa doveva chiaramente trovarsi in difficoltà se D., tornato da una breve visita a Roma, trovò una lettera in cui gli si chiedeva di tornare a Pavia. Nella sua risposta del 3 marzo 1453 egli declinava l'invito, in quanto la comunità era ormai autosufficiente e disponeva di buoni consiglieri, mentre egli si sentiva impegnato a restare a Bologna per accudire le vittime della pestilenza. La comunità di S. Matteo chiese allora l'intervento del provinciale domenicano, che scrisse a D. ordinandogli di accorrere in suo aiuto. D. obbedi sollecitamente. Il 28 genn. 1454 comunque era di nuovo a Bologna per dedicarsi all'opera pastorale tra le vittime della pestilenza. Nel 1456 fu inquisitore. Non più tardi del 19 ott. 1456 sostitui il confratello Pietro da Maiorca nella carica di subcollettore di elemosine per la zona di Bologna, in vista della crociata contro i Turchi.
Da Bologna non perse di vista le vicende di S. Matteo, tenendo regolare corrispondenza con la comunità. Sembra improbabile che sia diventato nel 1459 priore a Mantova, come sostiene un'antica tradizione dell'Ordine. Il 10 dic. 1462 un breviario che egli aveva usato a Bologna fu ceduto a un altro frate, poiché D. non lo aveva più richiesto. Nel frattempo D. era tornato a Pavia; da S. Apollinare parti, insieme con fra' Jacopo Sesto, per fondare una nuova casa osservante a Milano, secondo quanto aveva disposto il capitolo dell'osservanza dei lombardi tenuto a S. Marco di Firenze nel 1462. 1 due frati giunsero a Milano il 5 giugno 1463 e la nuova fondazione, S. Maria delle Grazie, fu confermata dal capitolo tenuto a Novara nel 1465. D. ne fu il primo vicario, ma entro l'11 dic. 1464 era di nuovo a Bologna, da dove fu nuovamente costretto ad occuparsi dei problemi di S. Matteo a Pavia; durante i successivi diciotto mesi continuò ad inviare alla fondazione consigli epistolari, ora incoraggiandone gli sforzi e ora deplorandone gli abusi. Il 10 giugno 1466 è attestata la sua presenza a Pavia, dov'era ancora il riconosciuto spiritus rector dell'ospedale. Per un breve periodo riusci a riportare l'armonia nella comunità, che si riuni sotto la sua guida, mentre egli si dedicava ad un programma di riorganizzazione e modificazione degli statuti. Dal 1466 fino alla morte risiedette a Pavia, fatta eccezione per una sua breve visita a Ferrara, avvenuta nel 1467 e dovuta forse a problemi di salute. In sua assenza un partito d'opposizione riprese terreno a S. Matteo, minacciando di distruggere il suo lavoro. Il 21 dic. 1467 egli scriveva da Ferrara dichiarandosi scoraggiato e restio a tornare. Tuttavia cedette alle suppliche e fece ritorno a S. Matteo in data imprecisata; entro l'estate del 1469 regnava di nuovo totale armonia.
D. continuò a dirigere l'ospedale fino alla sua morte, avvenuta a Pavia nell'inverno del 1477-78 (non se ne conosce la data).
Prima della fine del secolo egli era già onorato localmente come beato e all'inizio del Cinquecento una copia degli statuti di S. Matteo lo raffigurava con un'aureola. La sua reputazione postuma fu ulteriormente accresciuta dal fatto che egli nel 1461 aveva preconizzato, tra le altre cose, una grave epidemia a Pavia per il 1485, e in particolare nei tre mesi tra le festività di S. Marco (25 aprile) e S. Apollinare (23 luglio). I fatti confermarono esattamente questa profezia.
La fama di D. fu dovuta soprattutto alla'sua opera pratica di carità e apostolato. I suoi scritti furono pochi ed essenzialmente pratici, in quanto rappresentavano una riflessione sui problemi pastorali con cui egli doveva confrontarsi quotidianamente. Non è un caso che l'unico dibattito teologico nel quale sia documentata una sua partecipazione - svoltosi a Bologna, in data imprecisata, durante un incontro di professori del convento domenicano - riguardasse i problemi del peccato e del perdono. La costante preoccupazione di D. per i casi di coscienza e per le raccomandazioni da impartire nella confessione e nell'estrema unzione lo indussero a consultarsi con l'arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi. Questi raccolse le conclusioni degli incontri con D. nei suoi Consilia: Conclusiones et decisiones in foro conscientiae ad instantiani fr. Domenici de Catalonia O.P. e Decisiones breves ad 31 dubia fr. Domenici de Catalonia; Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone, lo ritrasse alla fine dei Quattrocento nell'altare di famiglia dei Bottigella, nella chiesa oggi sconsacrata di S. Tommaso a Pavia.
Fonti e Bibl.: Antonius de Ripalta, Annales Placentini, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., XX, Mediolani 1731, p. 896; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum, I, Lutetiae Parisiorum 1719, pp. 808 s.; Monumenta Ordinis fratrum praedicatorum historica, VIII, Romae 1900, pp. 213, 232; G. Romano-R. Maiocchi, Codice diplom. dell'Università di Pavia, II, Pavia 1915, p. 461, n. 603; R. Creytens, Les cas de conscience soumis à s. Antonin de Florence par Dominique de Catalogne O.P., in Arch. fratr. praedic., XXVIII (1958), pp. 150-166, 171; Id., Les "consilia" de s. Antonin de Florence O.P., ibid., XXXVII (1967), pp. 263-273, 291, 295 s., 299-301; G. Zaccagnini, Le scuole e la libreria del convento di S. Domenico in Bologna dalle origini al sec. XVI, in Atti e Tem. della R. Deputaz. di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, XVII (1927), p. 325; O. Mangilli, L'ospedale di S. Matteo in Pavia, Pavia 1951, ad Ind.; C. Piana, La facoltà teologica dell'Università di Bologna nel 1444-1458, in Arch. franc. histor", LIII (1960), pp. 440 s.; Id., Ricerche su le università di Bologna e di Parma nel secolo XV, Quaracchi 1963, p. 281; Id., Nuove ricerche su le università di Bologna e di Parma, Quaracchi 1966, pp. 194, 328; T. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatoruni Medii Aevi, I, Romae 1970, p. 304 (con ampie indic. bibl.); A. Peroni, L'ospedale di S. Matteo: impresa civica e presenza signorile, in Pavia. Architetture dell'età sforzesca, Torino 1978, pp. 29-37, 50, 82 s., 96; C. Piana, Codici medioevali e rinascimentali nel convento di S. Antonio a Bologna, in Xenia Medii Aevi historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O.P., a cura di R. Creytens-P. KünzIe, II, Roma 1978, p. 577.