DE FERRARI, Domenico
Nacque a Genova il 22 marzo 1804, da Giovanni Battista e Maddalena Gazzo, in una famiglia che per molte generazioni aveva esercitato l'industria della seta. Laureatosi in giurisprudenza nell'università genovese il 7 apr. 1827, fu ammesso al patrocinio legale l'8 dic. 1830 e iniziò ad esercitare la professione nell'importante studio dell'avvocato M. Gervasone, sostituendo il titolare all'epoca in cui questi, compromesso nelle cospirazioni carbonare del 1831, era rinchiuso in carcere.
Segnalatosi presto per la profonda competenza giuridica e per la squisita eloquenza, il 29 ag. 1844, un mese dopo la promulgazione d'un nuovo regolamento che ampliava il corso di diritto nell'università di Genova, il D. fu nominato reggente, e poi dal 6 sett. 1845 titolare, della cattedra di procedura civile e criminale: cattedra che egli tenne fino al 16 ag. 1847, quando la stessa fu abolita. Il 16 novembre di quell'anno iniziò, da alti livelli, la carriera in magistratura: fu nominato infatti consigliere della Corte di cassazione del regno sardo, che era stata appena allora istituita.
A Genova intanto, nel settembre del 1847, si era formato per iniziativa del marchese Giorgio Doria il Comitato dell'ordine, che in pochi giorni contò un considerevole numero di soci e di frequentatori, raccogliendo le figure più in vista del liberalismo moderato della città - in prevalenza nobili e professionisti - e mobilitandole per indirizzare l'opinione pubblica, nonché per formare compagnie volontarie di "vigili", cioè una sorta di guardia civica. Al Comitato aderì anche il D., affacciandosi così per la prima volta pubblicamente alla vita politica in un circolo assai compatto ed influente, destinato tra l'altro ad esprimere dal proprio seno i due ministri genovesi del primo gabinetto costituzionale: Lorenzo Pareto e Vincenzo Ricci.
Nel febbraio del 1848, grazie all'alta considerazione che si era guadagnata negli ambienti liberali torinesi, il D. fu chiamato con Camillo Cavour ed Ercole Ricotti a far parte della commissione incaricata di preparare la legge elettorale; durante i lavori ebbe modo di farsi molto apprezzare da Cesare Balbo, che della commissione era presidente, per la perfetta conoscenza dei meccanismi costituzionali della Gran Bretagna e della Francia.
Quando le prime elezioni subalpine vennero indette, a Genova toccò proprio al Comitato dell'ordine, trasformatosi in Circolo nazionale a partire dal 3 apr. 1848, farsi autorevole promotore di candidature, tra le quali quella del De Ferrari. Eletto effettivamente, benché un poco a sorpresa, nel secondo collegio di Genova (parrocchia di S. Stefano) ed in quello di Lavagna, questi vide tuttavia la propria ejezione annullata il 16 maggio, per non aver ancora maturato il triennio necessario a garantirgli la qualifica di magistrato inamovibile.
Cesare Cabella, che nel Circolo nazionale di Genova rappresentava l'ala più democratica, si rallegrava in una lettera a V. Ricci di tale annullamento, rimproverando al D. di essere uno degli autori della troppo moderata legge elettorale, ed in genere rilevando il basso livello degli uomini usciti da quella prima consultazione: "Voi desideravate che da Genova venissero per deputati uomini sommi; noi vi mandiamo delle mediocrità e delle nullità" (B. Montale, p. 102). Ma un mese dopo fu proprio il Ricci a divenire bersaglio dei democratici genovesi, ed anche di molti moderati, quando nelle difficili e contrastate trattative per la fusione della Lombardia compì una sorta di voltafaccia e passò improvvisamente al "partito piemontese". Il D., allora, fu tra i pochissimi che a Genova non lo attaccassero; anzi gli indirizzò parole di sostanziale comprensione per il mutamento di posizione.
Dopo l'armistizio Salasco il conte Ottavio Thaon di Revel, incaricato di formare un nuovo gabinetto nel quale avrebbe poi assunto il portafoglio delle Finanze, offrì al D. il ministero di Grazia e Giustizia ottenendone un'iniziale promessa di accettazione. In seguito, tuttavia, il D. preferì declinare l'offerta, con grave disappunto del Revel: il quale secondo la testimonianza del plenipotenziarlo inglese a Torino, Ralph Abercromby - era sì interessato ai servigi dell'"influential and talented" giurista, ma soprattutto era "extremely anxious", per motivi di opportunità politica, di avere nel governo almeno un esponente genovese, cosa che in effetti non gli riuscì (Le relazioni diplomatiche fra la Gran Bretagna e il Regno di Sardegna, s. 3, I, p. 215). In compenso il D., quando Antonio Rosmini già incaricato delle trattative per una lega con lo Stato pontificio rinunziò al mandato, accettò di recarsi a Roma per conto del governo Alfieri, al fine di continuare i colloqui col nuovo ministero di Pellegrino Rossi: colloqui peraltro infruttuosi e presto interrotti dall'uccisione di quest'ultimo.
Nel marzo 1849, allorché si profilava la ripresa delle ostilità contro l'Austria, il marchese Colli, da poco divenuto ministro degli Esteri nel gabinetto Chiodo Rattazzi, manifestò la ferma volontà di dimettersi immediatamente, perché riteneva impossibile un esito felice della guerra. In quel momento era difficilissimo trovargli un successore, dato che tra gli aristocratici nessuno intendeva accettare la carica: si pensò allora di offrirla al D. che garantiva piena acquiescenza ai propositi bellicosi dei colleghi di governo. Domenico Buffa, ministro dell'Agricoltura e del Commercio che a quell'epoca si trovava a Genova come commissario straordinario, si meravigliava della scelta escriveva il 6 marzo a Rattazzi: "Deferrari io non lo conosco, ma non intendo come un avvocato, che mai si occupò di politica, possa essere adatto a tale ufficio" (Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di Domenico Buffa, III, p. 195). Infine l'assenso del D., dopo una iniziale indecisione, fu salutato con piacere perché, come diceva Rattazzi, "nelle circostanze attuali è la scelta migliore che fare si potesse" e "del resto è ottima persona e non manca di qualità" (ibid., pp. 216, 225). Ma certo egli non possedeva né la stoffa né l'esperienza di governo per incidere in qualche modo sulla politica estera piemontese, ormai soggetta a troppe pressioni contrastanti e disorientata dai tanti rapidi cambiamenti di ministero.
Resse dunque il dicastero degli Esteri negli ultimi diciannove giorni del regno di Carlo Alberto e fu lui a dettare, a nome del governo subalpino, il proclama del 13 marzo "alle nazioni della civile Europa" che denunziava la condotta dell'Austria in contrasto con gli accordi stipulati l'anno precedente e giustificava la necessità di rompere l'armistizio. Dopo la sfortunata ripresa della guerra, quando già le truppe austriache occupavano una parte del territorio piemontese, il D. si adoperò perché l'Inghilterra appoggiasse diplomaticamente il Regno di Sardegna e si opponesse ad un'invasione austriaca che, come scriveva il 22 marzo all'ambasciatore sardo a Londra, "toglierebbe tutte le possibilità di un accordo pacifico in Europa e... scalzerebbe fino dalle fondamenta tutti i principi del dritto pubblico europeo. La causa. della libertà e del civile progresso ne andrebbe profondamente alterata" (Le relazioni diplomatiche fra il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna, s. 3, II, p. 103). Anche dopo la sconfitta di Novara seguitò a ricercare il favore britannico sia pure senza molto successo: ma, in verità, la sua permanenza nell'esecutivo fu talmente breve, che sarebbe ingiusto attribuirgli serie responsabilità per gli eventi di quei giorni.
Poco prima della caduta del ministero, nelle elezioni suppletive del 21 e 22 marzo 1849, il D. venne nuovamente eletto deputato nel quarto e sesto collegio di Genova, in sostituzione di D. Buffa il quale, riuscito in entrambi nel gennaio precedente, aveva optato per il collegio di Ovada. Lo scioglimento anticipato delle Camere gli impedì nuovamente l'ingresso in Parlamento, ma ricevette in cambio incarichi di prestigio ed onorificenze. Dal 30 apr. 1849 fu vicepresidente d'una commissione formata per rivedere le leggi civili e penali del Regno. Subito dopo fu ammesso nell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro in qualità di cavaliere, e negli anni a venire ne avrebbe percorso i vari gradi sino a diventare cavaliere gran croce, fregiandosi poi anche del titolo di grand'ufficiale della Corona d'Italia.
Il 10 giugno 1849 entrò nella commissione per il progetto di legge sulla stampa, ed esattamente un mese appresso venne nominato senatore del Regno. Il 27 luglio di quell'anno venne reintegrato nel Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, al quale era stato nominato il 30 ott. 1848, cessando poi di fame parte per i superiori incarichi ricoperti nel frattempo; quindi, fu membro di altra commissione che, sotto la presidenza di Giacinto Provana di Collegno, venne istituita alla fine del 1849, durante il ministero d'Azeglio, per esaminare con procedura rapida le domande di conferimento dei diritti civili e politici presentate dai molti esuli che da ogni parte d'Italia affluivano in Piemonte.
Nel marzo del 1850, quando il progetto di legge sull'abolizione del foro ecclesiastico - la prima delle leggi Siccardi -fu trasmesso ad un Senato non troppo propenso ad approvarlo, il D. fece parte della commissione presieduta da Luigi De Margherita ed incaricata di riferire in proposito. Collaborò così alla stesura di una relazione nella quale, pur tra molte espressioni di rispetto alla Chiesa e molti riconoscimenti dell'importanza del suo magistero morale, le istanze regalistiche erano fortemente espresse e l'invito all'approvazione del progetto era chiaro e inequivocabile.
Il 30 nov. 1851 presiedette una cornmissione nominata dal Cavour (allora ministro dell'Agricoltura, del Commercio e della Marina) per esaminare il progetto di riordinamento del servizio consolare all'estero. In tale occasione, poiché il governo inglese insisteva presso quello piemontese affinché i due Stati coordinassero le misure per reprimere la tratta deinegri, la commissione presieduta dal D. si occupò anche di questo argomento, e in particolare della preparazione di un progetto di legge che condannasse come pirateria il traffico degli schiavi.
L'anno dopo, durante la crisi di governo verificatasi in maggio per l'elezione di Rattazzi alla presidenza della Camera, Massimo d'Azeglio pensò al D. per ricoprire il dicastero della Pubblica Istruzione. Ma infine si orientò altrimenti, per motivi che bene erano espressi da Rodolfo Apponyi, plenipotenziario austriaco a Torino, in un dispaccio del 27 maggio: "Le sénateur Deferrar!s [sic] était au moment d'étre nomme, mais quoique ses opinions se soient completement amendées dans ces derniers tems, on a renoncé à faire entrer dans le cabinet un homme qui en avait fait partie en 1849 et avait signé la déclaration de guerre à l'Autriche, avant la campagne de Novare" (Lerelazioni diplomatiche fra l'Austria e il Regno di Sardegna, s. 3, III, pp. 308 s.).
Intanto proseguiva la propria carriera nella Corte di cassazione di Torino, della quale divenne avvocato generale il 12 marzo 1858, poi procuratore generale il 15 apr. 1860, infine primo presidente l'11 ag. 1872.
Il 2 apr. 1865 fu nominato membro della commissione incaricata di rivedere i codici e le leggi da pubblicarsi in virtà dei poteri conferiti al governo per attuare l'unificazione. legislativa del Regno. Dieci anni dopo, nel dicembre del 1875, rifiutò invece l'invito del guardasigilli Paolo Onorato Vigliani, il quale gli aveva offerto la presidenza della Corte di cassazione di Roma da poco istituita. Preferì infatti conservare la presidenza torinese, che tenne sino al 1° apr. 1879, quando fu collocato a riposo per sopraggiunti limiti di età.
Si spense il 14 marzo 1882a Torino, dove viveva ormai da molti anni.
Fonti e Bibl.: Genova, Ist. Mazziniano, Documenti e autografi di D. De Ferrari; Atti parlamentari, Senato, ad Ind. ad annos; Le relaz. diplom. fra il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna, a cura di F. Curato, II, Roma 1955, pp. 84-88; IV, ibid. 1964, p. 96; Le relaz. diplom. fra la Gran Bretagna e il Regno di Sardegna, s. 3, 1848-1860, I, a cura di F. Curato, Roma 1961, pp. 215 s.; II, a cura di F. Curato, ibid. 1961, pp, 129, 139, 145 s., 152 ss.; Le relaz. diplom. fra l'Austria e il Regno di Sardegna, s. 3, 1848-1860, III, a cura di F. Valsecchi, Roma 1963, pp. 308 s.; Il Regno di Sardegna nel 1848-1849nel carteggi di D. Buffa, a cura di E. Costa, III, Roma 1970, pp. 32-36, 186, 194 s., 200, 202, 216, 219, 225, 232 s., 323, 326, 328; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di M. L. Trebiliani, I; Roma 1972, pp. 311, 394; L. Isnardi-E. Celesia, Storia della univers. di Genova, II,Genova 1867, pp. 323 ss.; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II,Torino 1881, pp. 472, 481; Annuario della R. Univers. degli studi di Genova, 1903-1904, Genova 1904, p. 10; A. Neri, Catal. del museo del Risorg. [di Genova], Milano 1915, pp. 307 s.; F. Ridella, La vita e i tempi di C. Cabella, in Atti della Soc. ligure di st. patria, serie dei Risorgimento, I (1923), p. 103; A. Moscati, I ministri del '48, Napoli 1948, pp. 294 s.; Storia del Parlamento ital., diretta da N. Rodolico, II, Palermo 1964, p. 353; B. Montale, Genova nel Risorgimento. Dalle riforme all'Unità, Savona 1979, pp. 79 s., 99, 101 s.; Diz. del Risorg. nazionale, II, ad vocem.