DE ANGELIS, Domenico
Figlio di "Bartholomeo Turreggia vel De Angelis" e di Maria Ursula Baldelli. nacque il 15 febbr. 1735 a Ponzano (provincia di Roma) e venne battezzato nella parrocchia di S. Nicola di Bari (Roma, Arch. stor. del Vicar., Not. Cicconius, Positiones, 1769, copia dell'atto di battesimo presentato in occasione del suo matrimonio). Nel 1750 venne a Roma e abitò presso il fratello maggiore, Giuseppe, "droghiere", vicino a S. Carlo al Corso (Ibid., S. Lorenzo in Lucina, Liber status animarum, 1750, f. 76v). Tutte le antiche fonti lo dicono allievo di Marco Benefial; studiò anche all'accademia del nudo dove ottenne un primo premio nel novembre 1757 (Roma, Archivio. dell'Accademia di S. Luca, vol. 33 bis, dis. B 048).
Il 19 ott. 1769 sposò Teresa, figlia del paesaggista Paolo Anesi (Roma, Archivio stor. del Vicariato, S. Maria in via, Lib. matr. 1714-1782, p. 356; G. Michel-O. Michel, Recherches biographiques sur P. Anesi, in Miscell. della Soc. romana di storia patria, XXIII [1973], p. 331) e sitrasferi in via Paolina dove restò fino al 1790. Nel suo studio a villa Medici espose molti dei suoi grandi dipinti (Giornale delle belle arti. 7 maggio 1785 e 6 genn. 1787).
Eletto accademico di merito, l'8 sett. 1774 donò all'Accademia di S. Luca una S. Maddalena che fa tuttora parte della raccolta (Mostra di antichi dipinti restaurati delle raccolte accademiche, Roma 1968, p. 30) e che rivela uno spirito già neoclassico con spunti romantici. Il D. fu un accademico assiduo e ricoprì diversi incarichi fra cui quello di direttore dell'accademia del nudo (L. Pirrotta, I direttori dell'Accademia del nudo in Campidoglio, in Strenna dei Romanisti, XXX [1969], p. 331). Al momento della morte era proconsigliere (Roma, Arch. d. Acc. di S. Luca, vol. 56, f. 18v).
Pur avendo goduto ai suoi tempi di una notevole reputazione, ha lasciato un numero limitato di opere, consistenti però in complessi decorativi importanti e ben conservati.
Per quindici anni lavorò per il principe Marcantonio Borghese. Dipinse, per prima cosa, sul soffitto d'una sala al pianterreno del pal. Borghese una Lotta tra Ercole e Apollo per il tripode' di Delfi (bozzetto nella Galleria nazionale d'arte antica) e due scene minori con Apollo vincitore del pitone e Ercole e l'idra, ricevendo un compenso complessivo di 300 scudi il 4 apr. 1771 (Arch. Segr. Vat., Archivio Borghese, vol. 8086, p. 221). Fu il primo pittore che, sotto la direzione dell'architetto A. Asprucci, intraprese il rinnovamento della villa Borghese dove decorò tre sale assieme all'ornatista G. B. Marchetti.
Dall'aprile 1774 al settembre 1776 dipinse nella galleria al piano terra tre scene della Leggenda di Galatea: al centro della volta il Trionfo della dea - ispirato a Raffaello e ad Annibale Carracci - e ai lati due ovali con la Morte e la Metamorfosi di Aci. Al Museuin of Art di Filadelfia si conservano cinque studi per i putti che attorniano, Galatea (A scholar collects. Selection from the A. M. Clark bequest, Philadelphia 1980, p. 91). Il 31 ag. 1779 il D. ricevette 600 scudi per un "quadro grande ad oglio per la volta" della sala del vaso (quella dove oggi si trova la statua di Paolina Borghese del Canova; Arch. Segr. Vat., Archivio Borghese, vol. 8253, f. 113).Ispirato ad un bassorilievo di villa Medici, esso rappresenta, affiancati, la Contesa delle tre Dee sul monte Ida e il Giudizio di Paride, ma il dualismo narrativo delle scene nuoce alla composizione che ne è appesantita e offuscata. Il dipinto è contornato da quattro piccole scene che, ispirandosi alla leggenda di Troia, rappresentano le conseguenze del giudizio di Paride: Minerva ordina alle Parche di tagliare il filo del destino, di Troia; La fuga di Enea; Giunone chiede a Eolo di disperdere la flotta troiana; Venere implora Giove di salvarle il figlio Enea. Anche se non sono stati trovati i documenti di pagamento, si può ugualmente datare l'opera al 1779.
Nel 1785infine il D. ricevette 150scudi per un "quadro tondo a oglio dipinto per la volta della galleriola sopra la stanza del Gladiatore... rappresentante una Flora con diversi putti" (Ibid., vol. 8090, f. 211). L'opera è citata nel Giornale delle belle arti che loda la grazia idilliaca della divinità (23 luglio 1785, n. 29, p. 229). Questo giornale menziona anche, alla stessa data, una Sibilla Delfica e più tardi (6 genn. 1787, n. 1, p. 2) una Sibilla Eritrea che sono andate perdute.
Sempre nel 1785 terminò una grande pala d'altare per la chiesa dell'Assunta di Montalto di Castro, appena restaurata dal capitolo di S. Pietro: la tela, ancora in situ, rappresenta l'Assunzione della Vergine.
Il gruppo degli apostoli, fra i quali risalta significativamente la figura di S. Pietro, è di fattura rigidamente classica e risente dei modelli antichi, mentre quello della Vergine con gli angeli è reso con quella dolcezza tipica che caratterizza spesso le opere del D. (Giornale delle belle arti. 7 maggio 1785, n. 18, p. 137): il richiamo al maestro Benefial - morto ormai da venti anni - dimostra la difficoltà del D. ad affermare la sua personalità.
In occasione della beatificazione di fra Pacifico da San Severino, celebrata il 15 ag. 1786, il D. dipinse un quadro destinato a Pio VI, raffigurante il "beatofrancescano che attraversa un torrente stendendo sulle acque il suo mantello" (ibid., 6 genn. 1787, n. 1, p. 1). Nel 1791-92 eseguì un'ultima decorazione nel gabinetto delle maschere del Museo Pio Clementino: cinque soggetti mitologici che si rifanno al bellissimo pavimento musivo di villa Adriana conservato nello stesso ambiente.
Al centro della volta rappresentò le Nozze di Bacco e Arianna, e ai lati Diana e Endimione; Venere e Adone; Paride che nega la mela a Minerva e Paride che la offre a Venere (C. Pietrangeli, I Musei vaticani al tempo di Pio VI, in Rend. della Pontif. Accad. di archeol. IL [1976-1977], p. 208).
Divenuto direttore dello Studio del mosaico della Fabbrica di S. Pietro, all'inizio a fianco di G. B. Ponfreni - un altro allievo del Benefial - e dal 1795 da solo, dipinse il quadro con i Ss. Domenico e Agostino, trasportato in mosaico ed inviato nel 1796 alla basilica di Loreto per l'altare della seconda cappella a destra (E Grimaldi, Loreto..., Bologna 1975, p. 36, n. 123; erroneamente attribuito a Desiderio De Angelis). Nel 1797 due piccoli dipinti del D., un Re Davide e una Giuditta, vennero anch'essi trasportati in mosaico (Archivio della Fabbrica di S. Pietro, Serie Armadi, vol. 454, pp. 359 s., 366).
Durante il periodo giacobino, per convinzione o per necessità, il D. non restò inattivo: è menzionato infatti tra coloro che decorarono con finti bassorilievi l'arco di trionfo eretto ad un'estremità del ponte S. Angelo, in occasione della festa della Federazione il 20 marzo 1798. Vi dipinse qualche figura della Fama e IlMincio attraversato dagli eserciti rivoluzionari e collaborò al lungo fregio con Ilpassaggio delle Alpi (A. Pinelli, La rivoluzione imposta o della natura dell'entusiasmo, in Quaderni sul neoclassico, IV [1978], pp. 126 ss.).
Nel 1802 gli fu commissionata una Crocifissione di S. Pietro da trasporre in mosaico, che doveva essergli pagata 1.200 scudi in più rate. La morte lo colse prima del compimento del cartone e quando il figlio Bartolomeo, anchegli pittore, richiese il saldo, ci si accorse che il vecchio artista aveva completato uno schizzo di Benefial e se ne era attribuito l'"invenzione".
Si conoscono pochi ritratti di sua mano: quello dello scultore Francesco Antonio Franzoni, che si trova all'Accademia ai Carrara (C. Lazzoni, Carrara e le sue ville, guida, Carrara 1880, p. 149) e due Autoritratti: uno a mezzo busto all'Accademia di S. Luca, la cui data, poco leggibile, potrebbe essere il 1790 (G. Incisa della Rocchetta, La collezione dei ritratti ..., Roma 1979 p. 56, n. 199) e uno alla Galleria degli Uffizi di Firenze, inviatovi nel 1789, in cui il pittore si ritrae seduto in una loggia davanti ad un paesaggio alberato (GliUffizi, Catal. gener., Firenze 1979, p. 8543 n. A 284).
Nel corso della sua carriera eseguì una quantità di piccoli lavori: restauri di opere delle collezioni Borghese (Arch. Segr. Vat., Archivio Borghese, vol. 5844, nn. 87 e 168; vol. 8088, n. 301) e Chigi (M. Di Macco, Graecia vetus, Italia nova, in Annali dell'Ist. di storia dell'arte d. Univers. degli studi di Roma, 1973-1974, p. 346, n. 2), dell'Accademia di S. Luca (Roma, Arch. d. Accad. di S. Luca, vol. 54, ff. 119v, 121v), della basilica di S. Pietro in cui restaurò la Caduta di Simon Mago di Francesco Vanni e lo Spirito Santo della gloria del Bernini (Archivio della Fabbrica di S. Pietro, Armadi, i piano, vol. 471 p. 303, n. 32). Durante il periodo rivoluzionario e imperiale, quando le commissioni erano rare, gli furono richiesti disegni dall'antico per l'Iconografia greca di Ennio Quirino Visconti (Correspondance des Directeurs de l'Acadétnie de France à Rome, II, Directorat de Suvée, Rome 1984, p. 409).
Fece anche alcune perizie: il 16 maggio del 1784, per "quadri di diversi autori" Per Vincenzo Pacetti (Roma, Bibl. Alessandrina: V. Pacetti, Giornale, ms., ad diem);nel 1796, del lascito ereditario del pittore inglese James Durno; nel 1798 per i dipinti eseguiti e non utilizzati della beatificazione di Pacifico da San Severino e nel 1799 per alcune pitture di L. Blanchard destinate al palazzo, Verospi (Roma, Arch. d. Acc. di S. Luca, vol. 55, ff. 40r, 61r, 69v).
La maggior parte delle guide di Roma gli attribuisce alcune scene della Vita di PioVI nella Galleria Alessandrina della Biblioteca Vaticana, terminata nel 1818, ma è difficile riconoscervi il suo stile sicché, in assenza di documentazione, permane il dubbio sulla loro attribuzione (O. Michel, Domenico Del Frate..., in Colloqui del Sodalizio tra studiosi dell'arte, 1980-1984, p. 159).
Rimasto vedovo, morti tutti i suoi figli tranne Bartolomeo, nel 1790 tornò a vivere nella casa della sua giovinezza a fianco di S. Carlo al Corso, dove si trovava la "drogheria" di famiglia (Arch. stor. del Vicariato di Roma, S. Lorenzo in Lucina, Liber status animarum, 1803, f. 45r).
Morì a Roma, il 10 marzo 1804 (Ibid., Lib. mort., 1800-1810, f. 86v).
Il suo stile, influenzato dai Carracci, rimane legato - senza averne la violenza - a quello del suo maestro, Benefial, e passa progressivamente da forme neoclassiche ad uno spirito romantico. Si conosce un solo allievo del D.: l'"incisore di gemme" Luigi Pichier che voleva diventare pittore e che lavorò con lui dal 1782 al 1786 (P. Mugna, Itre Pichler, maestri di gliptica, Vienna 1844, p. 29).
Non bisogna confondere il D. con due suoi contemporanei omonimi: uno "scarpellino" che lavorò per i Musei vaticani e che commerciava d'antiquariato e un gentiluomo di Tivoli i cui ritrovamenti archeologici arricchirono il Museo Pio Clementino (C. Pietrangeli, Scavi e scoperte di antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1958, pp. 130 s.).
Bibl.: Oltre alle fonti cit. all'intemo della voce si veda: [P. Orlandi], Supplemento alla serie dei trecento elogi o ritratti... o sia, Abecedario pittorico, Firenze 1776, 661. 1402; G. G. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura..., V, Milano 1822, p. 38; A. Busiri Vici, Ilcelebre studio del mosaico della Rev. Fabbrica di S. Pietro, Roma 1901, pp. 115 s.; L. Hautecoeur, Rome et la Renaissance de l'antiquité à la fin du XVIIIème siècle, Paris 1912, p. 173; IlSettecento a Roma (catal.), Roma 1959, p. 94, n. 187; S. Rudolph, La pittura del '700aRoma, Milano 1983, p. 762; S. Petercit Guicciardi, Die malerische Dekoration des Casino Borghese, Rom-Wien 1987, ad Indicem.