DOMENICO da Montecchiello
Nacque forse negli ultimi anni dei XIII o nei primi del XIV secolo a Montecchiello (ora frazione di Pienza in prov. di Siena). Quando, nei primi anni dell'apostolato religioso di Giovanni Colombini, si hanno le prime notizie della presenza di D. fra i suoi seguaci a Siena, egli era già attempato: si era affermato come dottore in legge ed era ammogliato. La conversione, che segui di poco quella dello stesso Colombini (1355), dovette avvenire intorno al 1356 o l'anno successivo. Nello stesso tempo "si dette ferventemente a Dio" anche la moglie Antonia, destinata a svolgere a sua volta un ruolo nell'opera della compagnia, in cui ebbero parte, sotto la guida di Paola Foresi, numerose religiose.
Della conversione dà testimonianza Feo Belcari nella Vita del beato Giovanni Colombini da Siena, che lo descrive come "uomo di molte lagrime e di molta orazione", con allusione alla vita di penitenza e di preghiera, e di "grandissimi sentimenti spirituali 4 (cap. XII). Fu uno dei primi poverelli e visse innamorato di Cristo con la "brigata di infermi e sani... e ferventi e umili e tutti buoni" del Colombini, compagnia di laici dediti all'umiltà, alla penitenza e alla carità in totale povertà, da cui prese origine l'Ordine dei gesuati.
D. non amava allontanarsi dall'atmosfera di ardenti esperienze mistiche che il Colombini creava intorno a sé: è possibile che l'unica eccezione sia stata l'incarico da lui accettato coi "consentimento di Giovanni" di un vicariato annuale a Petriolo nel 1361 conferitogli dai Dodici che governavano Siena. Si tratta dello stesso anno in cui il Colombini e i suoi furono temporaneamente esiliati da Siena e diedero inizio a un più vasto apostolato in Toscana e in Umbria. Spirato l'anno, si ricongiunse con il padre spirituale ad Arezzo, ritrovandone il fervore che gli era profondamente mancato.
Si ha notizia di D. tra i venti poverelli che "infermarono di freddo e di febbre" a Montalcino, sempre al seguito del Colombini. Infine fu presente in un altro momento importante per la compagnia, l'incontro nel 1367 con papa Urbano V, con il riconoscimento semiufficiale della compagnia e sua successiva trasformazione in Ordine, col nome di gesuati, e con l'imposizione dell'abito bianco ai poverelli, dono del papa ma anche correzione della loro rigorosa, ostentata e inquietante povertà. Il papa tornava con grande seguito da Avignone a Roma, e quando, sbarcato a Corneto, "cavalcò verso Viterbo, e' detti poveri l'accompagnarono quasi correndo intorno a lui" (Belcari). "Sappiate - scrive lo stesso Colombini da Viterbo - che misser Domenico ci trasse dietro".
Il 31 luglio 1367 morì il Colombini; il nome di D. non risulta tra quelli dei compagni che gli sopravvissero. Nulla si sa della sua vita dopo questa data, né quando sia morto.
Quasi tutte le notizie che si conoscono di D., e che si esauriscono nel decennio di devozione al seguito del Colombini, sono testimoniate da Feo Belcari, il quale per le notizie che lo riguardano non traduce dalla Vita latina di Giovanni Tavelli da Tossignano, ma la integra di suo. Il nome di D. ricorre molto spesso nelle lettere di Giovanni Colombini, al quale sono dirette anche le uniche due lettere che di lui si conoscono, incluse nello stesso manoscritto senese che tramanda quelle del fondatore. Furono scritte probabilmente da Petriolo nel 1363.
Ad onta della sua querula umiltà - "non so cavelle, e non sono buono per cavelle, non so che mi dica, né che mi faccia, né che mi scriva" (Bartoli, XI) - e della sua persuasione che la dottrina e la cultura fossero solo "una nube tenebrosa dell'anima" - elemento d'altronde integrante dell'ideologia mistico-sentimentale dei poverelli di Cristo - è naturale che D. abbia svolto un ruolo dottrinale e coltivasse studi teologici non estranei allo stesso Colombini. L'elenco di letture che D. contrappone come vanità e intralcio dell'anima alle emozioni fervorose ispirate dalle parole del Colombini contiene testi indicativi, ed evidentemente ben presenti all'attenzione del Colombini e della brigata, per la giustificazione teologica delle aspirazioni mistiche della religiosità trecentesca: "el Vecchio o Nuovo Testamento, Vite e Collazioni de' Santi padri, quasi tutti gli scritti di Deonisiol el Compendio della Sagra Teologia, la Deosoebia, l'Arlogio della Sapienza, il testo della Mistica Teologia et altri molti libri teologici" (Bartoli, XIII): l'Arlogio della Sapienza di Enrico Suso e la Mistica Teologia sono testi della devotio nova (Gennaro).
D. "volgarizzò a consolazione di Giovanni e de' compagni" proprio l'ultimo, un commento dichiarativo della Mistica Teologia dello pseudo Dionigi Areopagita, incluso a torto tra le opere di s. Bonaventura, ma da attribuirsi al certosino Ugo di Balma (XIII secolo), molto diffuso nel Trecento anche nella traduzione volgare. D. la menziona come quasi completa nella prima delle due lettere al Colombini (Bartoli, XI). Si è ritenuto che tale volgarizzamento sia quello tramandato anonimo da alcuni manoscritti, assai pregiato dagli accademici della Crusca e stampato da B. Sorio nel 1852.
Le due lettere di D. si leggono in Le lettere del beato Giovanni Colombini da Siena, a cura di A. Bartoli, Lucca 1856, XI, XIII, pp. 99-104. Sull'edizione, condotta sul ms. della Bibl. comunale di Siena, I, VI, 16, si vedano le osservazioni di G. Petrocchi, Le lettere del b. Colombini, in Convivium, n. s., 1950, n. 1, p. 59 n.
La biografia di D. è ridotta al devoto decennio tra i poveri di Cristo dopo esser stata scorporata da quella dell'omonimo dottore senese attivo negli stessi anni come letterato e cortigiano di Galeazzo II Visconti (Levi; cfr. voce in questo Dizionario). La bibliografia è parzialmente comune ai due scrittori.
Fonti e Bibl.: Le lettere del b. G. Colombini da Siena, a cura di D. Fantozzi, Lanciano s.d., pp. 90-103; La Teologia mistica attribuita a s. Bonaventura, già volgarizzata prima del 1367 da frate D. da M. gesuato, testo di lingua, citato dagli Accademici della Crusca, a cura di B. Sorio, Verona 1852; F. Belcari, Vita del beato G. Colombini da Siena, a cura di R. Chiarini, Lanciano 1914, capp. XII, XIII, XXXVII; A. Zenatti, rec. a G. Mazzoni, Rime di D. da M., in Riv. crit. della lett. italiana, V (1888-89), 4, pp. 104-107; G. Pardi, Della vita e degli scritti di G. Colombini, in Bull. senese di storia patria, II (1895), p. 210, 212; Id., Sulla vita e sugli scritti di D. da M., ibid., III (1896), pp. 2, 22-42; E. Levi, Un rimatore senese alla corte dei Visconti, in Arch. storico lombardo, XXXV (1908), 2, pp. 1-33, poi in Poesia popolare e poesia di corte nel Trecento, Livorno 1915, pp. 143-186; Scrittori di religione, in Prosatori minori del Trecento, I, a cura di G. De Luca, Milano-Napoli 1954, p. 825; C. Gennaro, G. Colombini e la sua "brigata", in Bull. dell'Istituto stor. ital. per il Medioevo e Arch. muratoriano, LXXI (1969), pp. 242 n., 256.