DOMENICO da Montecchiello
Nacque forse nel primo quarto del XIV secolo da un Agnolo. Il luogo di nascita, riportato secondo diverse grafie nei documenti (Montechiello, Monticiello, Monticelli; in latino ricorrono d'a Monteclelo, de Monticulis), è l'attuale Monticchiello (ora frazione di Pienza, prov. di Siena). Il nome del padre si ricava da un documento notarile del 1363 in cui D. è citato tra i testimoni di un atto di accettazione di eredità a Pesaro (c. 106 A del protocollo del notaio Bonagiunta di Francesco, in Arch. di Stato di Firenze, Sez. notarile).
D. il "famosissimo dottore messer Domenico da Montecchiello, toschano", come recitano molte didascalie apposte alle opere a lui attribuite) fu uno dei molti rimatori usciti dalle scuole di legge, e della sua attività divisa tra le lettere e l'abito legale, le rime e il "trattato di Giustiniano" dà egli stesso notizia nel capitolo Le vaghe rime e il dolce dir d'amore (vv. 2527). La professione per cui è più ricordato è quella di poeta cortigiano più o meno itinerante.
Il periodo meglio documentato della vita di D. è quello che lo vide cortigiano dei Visconti, in particolare familiare di Galeazzo II, fratello di Bernabó e padre di Gian Galeazzo. D. partecipò, nei suoi modesti limiti, all'attiva ed animata vita culturale di ispirazione toscana delle corti settentrionali, e in particolare di quella viscontea, che andava dall'intrattenimento e dalla letteratura di consumo fino ad operazioni culturali ispirate direttamente o indirettamente da Francesco Petrarca. Sintomatici sono i suoi rifacimenti in ottava rima di testi narrativi di gusto classico (storie troiane, Ovidio). Contemporaneamente fu stipendiato da Galeazzo Il con varie funzioni politico- amministrative, documentabili tra il 1354 e il 1358.
Con l'inizio del dominio dei Visconti a Bologna, il 6 nov. 1354, sembra che D. sia stato incaricato di esaminare e decidere sulle lamentele della cittadinanza bolognese a proposito di prestiti e strozzini (Sighinolfi). Più importante fu il successivo incarico, quello di vicario per il Visconti a Piacenza. Il vicariato sembra esser durato un paio di mesi, e D. ebbe l'occasione di partecipare o almeno di assistere ai preparativi dell'attacco navale che nel 1418 Galeazzo mosse contro la città di Pavia e contro Giovanni II Paleologo, marchese di Monferrato, attraverso le acque del Po e del Ticino. La spedizione, condotta con un cospicuo numero di imbarcazioni costruite per l'occasione, colpi l'immaginazione dei contemporanei e lasciò tracce nelle cronache. Secondo l'interpretazione del Levi, D. avrebbe cantato l'imminente impresa come una seconda Argonautica e Galeazzo come nuovo Giasone, attraverso le allegorie ovidiane e le reminiscenze dantesche di "Cresciuto ha Giove con sua sottil'arte", un sonetto di profezia politica di un genere assai diffuso e popolare.
Del vicariato piacentino si ha notizia nei libri di conti della tesoreria di Galeazzo tenuti da Giacomollo da Giussano, gestore della tesoreria di Piacenza nel 1358 e 59: Liber tabulle mei Iacomolli de Gluxano, gestoris texaurariePlacentie, terzo di quelli compilati e indicato con la lettera C, pro annis currentibus partimMCCCLVIII et partini MCCCLVIIII, che si trova attualmente nell'Archivio della Fabbrica del duomo di Milano. Alle cc. 30, 42 e 50 sono annotati vari debiti e crediti a nome di Domenico. Si tratta sia di paghe sia di esazioni amministrative riscosse dal vicario: se ne possono dedurre la retribuzione, non troppo elevata, di D., ed anche i nomi di cospicui cittadini piacentini e lombardi con cui fu in relazione, amministrativa o di affari: tra questi Clerico da Lomazzo, Ludovico da Rizzolo, Tommaso degli Arcelli.
Poche notizie si hanno di D. dopo il 1358, nel periodo al quale apparterrebbe la gran parte delle opere letterarie. Il documento notarile di Pesaro, già ricordato, ha suggerito l'ipotesi che si fosse in seguito trasferito alla corte dei Malatesta.
Altrettanto incerte sono le notizie sui tempi e sulle circostanze in cui vennero composte le sue opere letterarie, se si eccettuano le curiose, ma come sempre infide, informazioni offerte dal congedo delle Pistole d'Ovidio volgarizzato, composizione forse senile, che indica il nome dell'autore "che Domenicho fu da Montecchiello / el monco, el zoppo, el pover vechiarello" (Firenze, Bibl. naz., cod. Pal. 375). Anche il Triumphus contra Amorem esordisce con un cenno, veridico o convenzionale, alla vita del poeta che "verso el vespro se ne fugge via".
S'ignora l'anno della morte.
A D., che fu a lungo considerato tutt'uno con un omonimo dottore e gesuato senese, per una confusione che risale al Quadrio, si attribuiscono oggi due sonetti, il lungo capitolo in terza rima "Le vaghe rime e il dolce dir d'amore" e due rifacimenti in ottave, le ricordate Pistole d'Ovidio e il Troiano, tratti rispettivamente dalla traduzione in prosa delle Eroidi di Ovidio di Filippo Ceffi e da uno dei volgarizzamenti in prosa (l'anonimo che si legge nel codice Laur. Gadd. 15 della Bibl. Laurenziana di Firenze e altri), che attestano la fortuna trecentesca delle storie troiane. In 42 cantari, il Troiano include la storia di Medea, digressioni su Elena, Achille e Polissena e dipende da fonti diverse da Benoit de Sainte-Maure e Guido delle Colonne: oltre alla ricordata traduzione anonima anche il Poema di Achille della Laurenziana (Laur. Med. Pal. 95) di cui riproduce pedissequamente intere stanze ed episodi.
Con queste opere D. si colloca con un certo rilievo tra quei letterati cortigiani che formarono o assecondarono il gusto romanzesco, e nella specie classicheggiante, del pubblico medio e colto del Trecento. contribuendo alla vasta produzione di cantari, romanzi in prosa e in versi, volgarizzamenti, rifacimenti (come quelli di D., "in rima rimati") in un tipico milieu settentrionale come quello visconteo. Anche imbevuto di mitologie ovidiane (Metamorfosi) è il capitolo Le vaghe rime, un lungo repertorio di vinti d'amore che un codice intitola Triumphus contra Amorem.
Codici abbastanza numerosi attestano la diffusione dell'opera del D. tra il pubblico, specialmente per le opere narrative maggiori. Il capitolo di riprensione di Amore fu pubblicato diplomaticamente da E. Lamma nel 1885 sulla base del codice 1739 della Biblioteca universitaria di Bologna, il codice Isoldiano già noto al Cresci.mbeni, e più tardi da G. Mazzoni. Dei sonetti uno, "Si come il poverel va per le scale", fu edito per la prima volta dal Crescimbeni, poi da Mazzoni. "Cresciuto ha Giove con sua sottil'arte" fu edito nel 1887 dal Mazzoni, al quale si rinvia per la tradizione manoscritta.
Numerosissimi i manoscritti per le Pistole d'Ovidio, che ebbe anche diverse edizioni a stampa. Ne dà conto il Bellorini. Il Troiano, tutt'ora inedito, si legge nel cod. Laur. Red. 169 (già 94) della Laurenziana e nel cod. I.VI.37 della Bibl. com. degli Intronati di Siena.
La distinzione definitiva tra D. e Domenico gesuato si deve a E. Levi (1908), il quale adotta e conferma riserve già espresse da F. Palermo (1853), Rajna (1878) e Gorra (1887). La bibliografia fino al 1915 unifica i due scrittori.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia 1702, I, p. 355; III, pp. 133-134; Comm., III, pp. 152, 374; F. S. Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, Milano 1749, II, p. 626; F. Palermo, Imanoscritti palatini di Firenze, Firenze 1853, pp. 667-671; P. Rajna, Il cantare dei cantari..., in Zeitschrift für romanische Philologie, II (1878), pp. 246-247; E. Lamma, Un capitolo ined. contro Amore di fra D. da M., in IlPropugnatore, maggio-giugno 1885, pp. 401-425; E. Gorra, Testi ined. di storia troiana, Torino 1887, pp. 233-234; G. Mazzoni, Rime di D. da M. (Per nozze Casini De Simone), Roma s.d. [1887]; G. Pardi, Sulla vita e gli scritti di D. da M., in Bull. senese di storia patria, III (1896), pp. 41-62; E. Bellorini, Note sulle traduzioni ital. delle Eroidi di Ovidio anteriori al Rinascimento, Torino 1900, pp. 41-62; L. Sighinolfi, La signoria di Giovanni Oleggio in Bologna (1355-60), Bologna 1905, p. 14; E. Levi, Un rimatore senese alla corte dei Visconti, messer D. da M., in Arch. stor. lombardo, XXXV (1908), 2, pp. 1-33 (poi in Poesia di popolo e poesia di corte nel Trecento, Livorno 1915, pp. 143-186); C. Segre, Lingua, stile, società, Milano 1953, pp. 49-68; N. Sapegno, Il Trecento [1934], Milano 1966, pp. 142, 415, 452; A. Viscardi, La cultura milanese nel sec. XIV, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 575, 603-10.