CUCCHIARI, Domenico
Nacque a Carrara il 24 luglio 1806 da Francesco e da Maria Rossi, sorella del celebre giurista, Pellegrino.
Compiuti gli studi nell'ateneo pisano con la laurea in legge, presto andò a far pratica in uno studio di Modena, capitale del ducato estense che con la Restaurazione aveva assorbito Carrara; e a Modena lo sorprese lo scoppio della rivoluzione del '31. Per trovare consenso nella parte occidentale del ducato il governo provvisorio, che aveva preso il potere dopo la fuga di Francesco IV, incaricò il C., amico di rivoluzionari come M. Fanti ed E. Cialdini, di recarsi a Massa per provocarvi una sollevazione. La inissione del C. durò due giorni. Il 15 febbraio giunse a Massa ma. denunziato dal comandante dei locale presidio, passò subito a Carrara dove cercò di far insorgere la popolazione promettendo l'immediata abolizione della gabella sul grano; ma nessuno si mosse, e il 16 il C. tornò a Modena per arruolarsi nelle truppe che, agli ordini dello Zucchi, avrebbero affrontato gli Austriaci a Rimini (25 marzo 1831). Subito dopo, per sottrarsi alla cattura, gli insorti si portarono ad Ancona e si imbarcarono per Marsiglia.
Dalla Francia, seguendo l'esempio di molti altri esuli del '31, il C. passò in Portogallo per entrare nelle file di quel 20 reggimento di fanteria leggera della Regina che, guidato dal genovese G. Borso di Carminati, era stato assoldato per affermare con le armi il diritto di Maria II di Braganza al trono del Portogallo che lo zio, don Miguel, aveva usurpato. Sergente l'8 dic. 1832, alfiere il 6 dic. 1833, tenente il 2 gennaio 1835, capitano il 22 ottobrei nel corso della lunga campagna il C. ottenne per una ferita in combattimento il cavalierato di Torre e Spada; passò poi in Spagna, dove Borso di Carminati era stato chiamato con il corpo dei Cacciatori di Oporto a schierarsi per Isabella, figlia di Maria Cristina, cui don Carlos contendeva il regno. Il C. subì altre ferite nella battaglia di Chiva e nella ritirata di Morella, conseguì nuovi avanzamenti giungendo il 9 ott. 1840 al grado di colonnello, ottenne altre decorazioni; ma soprattutto nove anni di impegno duro e costante con le armi gli conferirono una grande esperienza e il convincimento che la scuola di una guerra effettivamente combattuta mettesse chiunque in condizione di "far con 200 uomini perdere il cervello ad ogni ufficiale superiore dei nostro paese, che solo ha appreso la guerra sui libri, se è giovane, o ha perduto ogni vivacità, prontezza ed energia, se è vecchio" (lettera del 7 luglio '35, in G. Sforza, 1908, p. 50).
Il pensiero correva infatti sempre al paese lasciato nel '31, ai cui problemi il C., come altri esuli, era tenuto legato dalla fervida attività cospirativa di N. Fabrizi che lavorava alla possibilità di determinare in qualche punto dell'Italia uno scoppio insurrezionale capace di affrettare la crisi dell'edificio costruito a Vienna. Nel '41 il C. aderì alla Legione italica, l'organizzazione creata dal Fabrizi per scatenare la lotta armata; ma a Valenza, dove si era stabilito, fu incaricato di liquidare i conti del corpo dei Cacciatori di Oporto sciolto nel giugno del '41, incombenza, questa, che durò più di un anno e che gli fece opporre un rifiuto ad ogni richiesta del Fabrizi di rompere gli indugi. Sopraggiunsero poi le difficoltà di trovare un'occupazione, mentre, col venir meno della solidarietà che li aveva uniti negli annidellaguerra, tra gli esuli si determinava un distacco, frutto, a volte, Xi attriel e Xi gelosie personalistiche. Così il 21 ott. '42 il C. annunziava al Fabrizi che, in vista di un suo ingresso nel commercio, si "ritirava affatto dal mondo politico" (Roma, Museo centr. del Risorgimento, busta 512/23/4), abbandonando quei progetti per i quali comunque aveva sempre richiesto la più accurata preparazione. Ciò rende del' tutto improbabile una partecipazione del C. al moto romagnolo del '41 partecipazione che pure è stata sostenuta, sulla base di una sua conoscenza del piano, dal curatore della pubblicazione dei Protocollo della Giovine Italia (II, p.. 85).
I commerci dei C. durarono fino al '48, quando lo riportò in patria una lettera del Mazzini che dal governo provvisorio lombardo aveva avuto il compito di trovare ufficiali cui affidare l'organizzazione dei volontari. Ma all'arrivo a Milano il C. apprese che il governo, timoroso di operare scelte sgradite al Piemonte, non intendeva più seguire il programma di armamento dei corpi franchi; passò allora a Modena e, precedendo il Cialdini, ottenne (2giugno) il comando del I battaglione del reggimento di fanteria, unità che rappresentava il contributo dei ducato al conflitto con l'Austria. Dopo le belle prove da lui fornite nei combattimenti di Volta Mantovana (26-27 luglio, il ministro della Guerra sardo, accogliendo una richiesta ufficiale pervenutagli da Modena, riconobbe al C. il grado di colonnello e lo destinò al comando del 4° reggimento di fanteria Piemonte. A Novara, il 23 marzo '49, la 4a divisione del duca di Genova, cui apparteneva il reggimento del C., fu quella che si batté con maggior valore: il C. personalmente guidò un coraggioso attacco contro la cascina Castellazzo che sottrasse al nemico; e tutta la divisione penetrò profondamente nelle linee austriache da dove fu richiamata da un inspiegabile ordine di ritirata dei gen. Chrzanowski, capo dell'esercito piemontese. Il C. si attestò allora presso l'altura della Bicocca, ma ormai la battaglia era persa: il 13 luglio '49 per il valore dimostrato gli era conferita la medaglia d'argento.
Negli anni seguenti la carriera del C. proseguì senza scosse: nel '55, con la promozione al grado di generale, ebbe il comando della brigata Casale; e nel '59, poco prima dello scoppio delle ostilità, gli fu affidata la 5a divisione, la più grande delle tre schierate dal La Marmora a San Martino.
La battaglia ebbe luogo il 24 giugno e, anche se alla fine della giornata il C. fu promosso tenente generale sul campo e decorato con una delle 1.399 medaglie d'argento elargite per l'occasione, la sua divisione commise più di un errore, risentendo peraltro di una generale mancanza di coordinamento da imputare al comando supremo: pur avendo a fianco la 3a divisione, non prese alcun accordo con chi la comandava, e scatenò un attacco isolato quanto precipitoso che fu subito respinto dagli Austriaci. Scoraggiato per le gravi perdite subite, il C. abbandonò allora il campo di battaglia, ripiegando con la divisione su Rivoltella, molto lontano dal terreno dello scontro: solo a pomeriggio inoltrato un deciso richiamo di Vittorio Emanuele II lo riportava al fuoco per quello che sarebbe stato lo sforzo decisivo. Più di trent'anni dopo, nell'attribuire a quest'episodio la causa della mancata concessione del collare dell'Annunziata, D. Farini ricordava alla regina Margherita che per il suo comportamento il C. si era guadagnato a San Martino il sarcastico titolo di duca di Rivoltella (Diario di fine secolo, I, p. 328).
Pure molto criticato, anche se oggettivamente un po' meno criticabile, fu l'atteggiamento tenuto dal C. sette anni dopo a Custoza, a capo del II corpo d'armata. Accusato dal La Marmora di non aver lanciato le proprie truppe nella battaglia il C., che era stato incaricato di operare nella zona di Mantova, ebbe buon gioco a difendersi sostenendo che nessuno l'aveva informato dello scontro in atto e che comunque non avrebbe potuto di propria iniziativa mutare le disposizioni ricevute per accorrere in un settore lontano da quello assegnatogli. Sembra che le risentite repliche, espresse in alcune lettere al presidente del Consiglio Ricasoli, compromettessero la posizione del C. al ministero della Guerra al Punto da fargli perdere il comando di un dipartimento cui teneva molto (cfr. Carteggi di Bettino Ricasoli, XXIV, pp. 130 s., 299 s.).
Si trattò per il C., collocato a disposizione nel settembre del '66 e a riposo nel '69, di un'amara conclusione della carriera, una conclusione che non fu compensata dall'attività parlamentare, iniziata con l'elezione alla Camera decretatagli dal collegio di Carrara (25 marzo '60) e proseguita nell'VIII legislatura in rappresentanza del collegio di Massa (3 febbr. '61). Spirito tendenzialmente conservatore, incapace di capire i problemi di un paese faticosamente avviato sulla via del progresso civile, forse addirittura indifferente se non ostile, come altri militari, alla potenzialità insita nel sistema parlamentare, il C. espresse due sole volte la propria volontà di deputato, prima approvando l'ordine del giorno filogovernativo sulla questione romana e sulle condizioni dei Mezzogiorno (11 dic. '61) e quindi votando contro l'abolizione della pena di morte (13 marzo '65). L'8 ott. 1865 il re lo nominò senatore, ma ciò non valse ad aumentare il suo interesse per la vita politica dalla quale anzi si estraniò sempre più; anche la riforma dell'esercito, la quale circoscriveva il ruolo dei militari sulla scena del paese, lo trovò contrario ma rassegnato. Ritiratosi a Livorno visse fino a tarda età assistito da una salute che nel '90, a ottantaquattro anni, gli permetteva di andare a caccia e stare a cavallo "anche sette od otto ore in un giorno" (lett. del 20 dic. '90, in Bibl. Apost. Vaticana, Collezione Patetta, Autografi); e nel '99 era ancora in grado di guidare la delegazione di veterani invitata a Torino per l'inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II. Si spense a Livorno il 19 genn. 1900.
Fonti e Bibl.: Le più notevoli lettere giovanili del C., comprese alcune conservate nel Museo centrale del Risorgimento di Roma. sono state pubblicate da T. Palamenghi Crispi, Gl'Italiani nelle guerre di Spagna, in Il Risorgimento it., VII (1914). pp. 46 ss., 67, 78, 96, 104 ss., 114 s., 121 s., 168, 172, 175, 181 s., 195, 198, 202. Due lettere al Fabrizi e documenti sugli inizi della sua carriera nell'esercito sardo in G. Sforza, Esuli estensi in Piemonte dal 1849 al 1859, Modena 1908, pp. 45-56; un'altra lettera, pure al Fabrizi ma del '66, in A. Simonetta, La condotta di La Marmora a Custoza in un giudizio del gen. C., in Rass. st. d. Ris., XLVIII (1961), pp. 294-302; altre ancora, dello stesso periodo, in Carteggi di Bettino Ricasoli, XXII, a cura di S. Camerani-G. Arfè, Roma 1967, pp. 73 s., 109, 255, 267 s., 272. Altre testimonianze in Protocollo della Giovine Italia. Congrega centrale di Francia, Imola 1916-22, ad Indicem; G. Finali, Memorie, a cura di G. Maioli, Faenza 1955, ad Indicem; G. Massari, Diario delle cento voci, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad Indicem; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad Indicem. Per i dati sulle sue elezioni: Indice gen. degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elettorali, Roma 1898, II, pp. 146, 365. Poche le biografie del C.: lui vivente era uscita quella di T. Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Terni 1890, ad nomen; per la commemorazione tenuta in Senato dal presidente Saracco, cfr. il volume di Atti parl., Senato, Discussioni, legislatura XX, sessione del 1899-1900, I, pp. 332 s. Inoltre cfr. D. C., in Riv. milit. it., XLV (1900), pp. 193-201; F. Giarelli, L'"ultimo generale d'armata", in Il Caffaro, 22 genn. 1900; L. Lavagnini, Carrara nella leggenda e nella storia, Livorno 1962, pp. 108-112, 203-208; Diz. d. Ris. naz.. II, ad nomen. Sulla partecipazione al '31 si veda G. Sforza, La rivoluz. del 1831 nel ducato di Modena, Roma-Milano 1909, ad Indicem. Sulperiodo portoghese: H. De Campos Ferreira Lima, Uma Companhia italiana no exèrcito libertador (1832-34), Vila Nova de Famelicão 1937, pp. 9, 13. Sulla partecipazione alle guerre italiane: A. Pollio, Custoza (1866), Roma 1935, pp. 17, 41, 47, 52, 60, 78-82, 99, 119, 251-259, 274; Ministero della Guerra, Ufficio storico, La Campagna del 1849 nell'Alta Italia, Roma 1928, pp. 69 s., 306 s.; Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, 1859. L'Armata sarda a San Martino, Roma 1959, pp. 84-94, 99, 112 ss., 118; P. Pieri, Storia milit. del Risorgimento, Torino 1962, ad Indicem; S. Martelli, Le battaglie di Solforino e S. Martino, Varese 1971, pp. 101-136.