CHELLI, Domenico
Nato a Firenze il 1º luglio del 1746, iniziò la sua attività di architetto e scenografo nei teatri del Cocomero e della Pallacorda. Egli lavorò anche a Milano, ma chiamato dal re Ferdinando IV si stabilì definitivamente a Napoli come architetto e direttore di scene del teatro S. Carlo dal settembre 1782 (invero il 30 maggio 1782 in occasione dell'onomastico del re aveva curato la scenografia dello spettacolo Calipso). Dopo l'entusiastica accoglienza (gli fu anche dedicata una raccolta in versi, Applausi poetici al Signor D. Chelli architetto teatrale di S. M., Napoli 1786), tanto da essere definito "il novello Paolo Veronese del teatro italiano" e paragonato a Ferdinando Bibiena, il C. impose una sorta di monopolio sulla scenografia locale anche attraverso i suoi allievi.
A Napoli nel 1783 fu autorizzato, "senza recar peso al regio erario", all'insegnamento della prospettiva, geometria pratica ed architettura civile. Al teatro Nuovo allestì le scene per Le trame deluse di D. Cimarosa (1786) e per Il ritratto, di F. Bianchi (1787). Nel 1788 lavoro alle pitture di prospettiva ed agli ornati nella reggia di Napoli e nei "siti reali"; durante le feste svoltesi per l'istituzione della colonia di San Leucio (1789), vi costruì un teatro in legno presso il palazzo del Belvedere, dove rappresentò il dramma La Nina o sia la pazza per amore, su musica di G. Paisiello. Il teatro S. Ferdinando (1790), progettato da C. Leonti, venne decorato dal C. che, nello stesso periodo, con Hackert e Kniepp dipingeva gli affreschi dell'appartamento reale nel casino di Carditello (dell'architetto F. Collecini). Altri affreschi del C. si trovano nel parlatorio del convento di Regina Coeli a Napoli.
Nel 1791 il C. venne chiamato dal Tischbein a dirigere una scuola di disegno applicato alle arti meccaniche nell'Accademia di pittura e, nello stesso anno, per il ritorno di Ferdinando IV e Maria Carolina da Vienna fu incaricato di allestire un ciclo di festeggiamenti con apparati, macchine pirotecniche, archi e carri trionfali.
L'elemento più importante consisteva in una grandissima "macchina" nel largo del Palazzo reale: venne innalzato un vasto anfiteatro a ferro di cavallo, prolungando l'architettura dell'edificio con archi, pilastri e porte corrispondenti agli inizi delle strade; in mezzo era elevato un tempio rotondo, di ordine corinizio, con tre vestiboli, dedicato alla Fortuna reduce, cui si accedeva mediante due scale che portavano ad un recinto per l'orchestra; statue simboleggianti fiumi e virtù erano variamente distribuite (S. Mattei, Nel felicissimo ritorno degli Augusti Sovrani..., Napoli 1791).
Del 1797 è il rinnovamento, molto criticato, della decorazione interna del teatro S. Carlo, con sovrabbondanza di fregi, ornati, finte prospettive e arabeschi "somiglianti a sogni di ammalato" (E. Taddei, Del Real Teatro di San Carlo. Cenno storico, Napoli 1817, pp. 10-12).
Le critiche più severe riguardavano la sistemazione del proscenio, che impediva la buona visibilità della scena, e la decorazione della volta della sala, dove dipinse un settimo ordine di palchi in prospettiva, con colonne che sostenevano un'immaginaria copertura: la rappresentazione era tale che i finti spettatori sembravano precipitare in sala (nel 1810 Antonio Niccolini, succeduto al C., restaurò il teatro con eleganti ornamenti, rifece il soffitto e il sipario, dando una nuova sistemazione al palcoscenico e costruendo inoltre un portico in prospetto).
Il C. allestì anche scene, per spettacoli al teatro del Fondo: nel 1798 per La capricciosa corretta di V. Martín y Soler e per La donna sensibile ossia Gli amanti riuniti, di G. Tritto.
Durante la Repubblica partenopea del 1799 venne contestato da un gruppo di artisti con a capo l'architetto e pittore D. Scelzo: questi chiedevano al comitato dell'Interno che "tutto ciò che si dovrà fare di pittura ai Teatri Nazionali o per la Nazione, si faccia da noi ad esclusione dei forestieri" (Strazzullo, p. 17). In seguito, con la restaurazione borbonica, per intrighi di ex allievi, fu sospeso, dai pubblici incarichi; si cercò anche di sopprimere la Scuola di prospettiva che dirigeva (a questo proposito scrisse un memoriale a Ferdinando IV nel 1801 per giustificare la sua innocenza). Nel 1802 il C. fu riconfermato e tornò a dirigere le scene del S. Carlo con Gli Americani di G. Tritto (spettacolo allestito in occasione dei festeggiamenti per il ritorno dei Borboni a Napoli). Nel 1803 fu comunque costretto a lasciare l'insegnamento alla Scuola di architettura civile (ad eccezione del corso di prospettiva e geometria pratica che mantenne fino alla morte), dove in venti anni "non era riuscito a dare un indirizzo razionale all'insegnamento, impostato su conoscenze della prospettiva e della pittura scenografica e rivolto principalmente all'architettura teatrale ed alla scenografia che rientrava nel terreno dell'architettura solo per comuni norme di costruzione scenica" (Lorenzetti, 1952, p. 308). Invero le critiche al C. riguardavano anche il suo modo d'insegnare a domicilio ed a pochissimi allievi. Infine nel 1805 il coreografo G. Gioia, cui venne affidata la scelta di un nuovo scenografo, propose il Niccolini che assunse l'incarico nel 1807: veniva così a terminare definitivamente l'attività teatrale del C. (a parte una ripresa nel 1815 della Ginevra di Scozia).
Fra le molte scenografie si ricordano quelle eseguite a Firenze al teatro del Cocomero, per La contessina di F. Gassmann e I visionari (1772); La discordia fortunata (1776) e Dal finto il vero (1777) di G. Paisiello. Ancora a Firenze, al teatro della Pallacorda, Mitridate a Sinope di G. Sarti (1779), in collab. con Stagi, Conti e Gasperi. A Napoli, tra le moltissime: Medonte di Stabingher; Oreste di D. Cimarosa; Artaserse di F. Alessandri (1783); Antigono e Olimpiade (1786), Pirro,Giunone e Lucina (1787) di G. Paisiello; Didone abbandonata di L. Marescalchi (1788); Ademira di P. Guglielmi (1789); Elfrida di G. Paisiello (1792); Artemisia regina di Caria di D. Cimarosa (1797); Andromaca di G. Paisiello (1804); Andromeda di V. Trento (1805).
Il giudizio sull'attività del C. non è positivo: "la sua maniera pittorica di spirito settecentesco, fantasiosa e mossa, all'inizio era stata apprezzata ma, passato un quarto di secolo e mutato radicalmente il gusto scenografico, appariva invecchiata, sebbene qualche passo verso le nuove idealità e verso il nuovo gusto si possa notare nell'opera tarda" (Lorenzetti, 1952, p. 309). D'altra parte, per sintetizzare il significato e la risonanza che la sua opera ebbe nell'ambiente artistico napoletano, viene rilevato che "per quanto debba essere considerata nel suo complesso negativamente, è impossibile disconoscerle il merito di aver preparato il terreno alla splendida fioritura della scenografia romantica" (Mancini, 1964, p. 198).
Come architetto il C. verso la fine della vita progettò il teatro di Salerno (1810), costruito poi sotto la direzione dell'allievo P. Valente. Morì a Napoli il 30 genn. 1820.
Bibl.: A. di Gennaro duca di Belforte, Poesie, I, Napoli 1796, p. 33; C. Malpica, Cenno stor. del Real Teatro di S. Carlo, in Annali civ. del Regno delle Due Sicilie, XXXVI (1844), pp. 74 s.; B. Croce, I teatri di Napoli,Secoli XV-XVIII [1891], Napoli 1968, pp. 532, 544, 550, 558; A. Borzelli, L'Accademia del disegno a Napoli..., in Napoli nobilissima, IX (1900), 5, p. 71; X (1901), 1, p. 2; L. Morelli, La R. Scuola di scenografia a Napoli,ibid., n. s., II (1921), 3-4, p. 52; P. Napoli Signorelli, Gli artisti napoletani nella seconda metà del sec. XVIII,ibid., 6, p. 91; F. De Filippis, Il Rinnovamento del Teatro, in Cento anni di vita del Teatro di S. Carlo (1848-1948), Napoli 1948, p. 9; C. Lorenzetti, L'Accad. di Belle Arti di Napoli(1752-1952), Firenze 1952, pp. 23, 47, 57, 64, 308-310; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, pp. 22, 89, 96, 98, 128, 129, 217, 237, 288, 302, 314, 335, 378; F. Strazzullo, Contributi al periodo napoletano dello scenografo,D. C., Napoli 1962; C. Gatti, Il teatro alla Scala,Cronologia…, Milano 1964, p. 148 (febbr. 1781, scene per balletti di G. Angiolini); F. Mancini, Scenografia napoletana dell'età barocca, Napoli 1964, pp. 29 s., 128-136, 138-140, 176-178, 190, 192-199, 202; Id., Feste ed apparati civili e religiosi in Napoli dal Viceregno alla Capitale, Napoli 1968, pp. 19, 65 s., 259; G. Alisio, Siti reali dei Borboni, Roma 1976, p. 61; C. Garzya, Interni neoclassici a Napoli, Napoli 1978, pp. 44, 63, 151; Encicl. dello spettacolo, III, coll. 581 s.