CECCHINI, Domenico
Nacque a Roma da Domizio e da Fausta Capizucchi il 7 febbr. 1589. Compiuti i primi studi nella città natale, si laureò in diritto a Perugia nel 1604. Tornò a Roma sul finire del pontificato di Clemente VIII. Dotato di ingegno e perspicacia, di validi appoggi familiari, il C. entrò in Curia per tentare una scalata verso uno status sociale, più avanzato. In Curia infatti, grazie alla sua perseveranza e alla continua ricerca di appoggi influenti, il C., se pure faticosamente, si fece strada, mettendosi in luce presso i cardinali uditori di Rota Alessandro Ludovisi, il futuro Gregorio XV, e Giambattista Pamphili, il futuro Innocenzo X. Grazie al loro appoggio il C. iniziò una brillante carriera, divenendo segretario del Ludovisi, allora vicecancelliere rotale. Con l'elezione però di Paolo V Borghese (1605), il cammino del C. si fece sempre più faticoso, poiché ebbe a soffrire dell'avversione di quella potente famiglia romana. Da qui l'astio e il rancore del C.; nel luglio del 1620 egli si ammalò gravemente e quando nel gennaio seguente il papa morì, il C. scrisse: "non si può credere quanto ciò mi conferisse a ricuperar la sanità..." (Fumi, p. 291). Apertosi il conclave, il C. si adoperò immediatamente in favore della candidatura del suo antico protettore, il cardinal Ludovisi, ora arcivescovo di Bologna, che godeva dell'appoggio francese.
Il C. era stato assai utile al Ludovisi soprattutto quando a costui venne offerta dal governo spagnolo una pensione annua di 9.500 scudi che il cardinale esitava ad accettare per non inimicarsi la Francia. Il C. riuscì a risolvere favorevolmente la questione, a dissipare i sospetti del governo francese e il Ludovisi ebbe la sua pensione; il C. inoltre facilitò i contatti tra il Ludovisi e il cardinal Aldobrandini, lontano parente del Cecchini.
Elevato al soglio pontificio col nome di Gregorio XV (1621), il Ludovisi continuò a proteggere ed appoggiare il C.: lo associò infatti agli avvocati concistoriali, lo nominò cameriere segreto, uditore del cardinal camerlengo, Ludoviso Ludovisi, canonico della basilica di S. Pietro. Nel 1627 fu anche rettore dell'ateneo. Il C. però ambiva ad entrare in Rota; non va dimenticato che tra l'altro questo ufficio gli avrebbe comportato una rendita di 1.100 scudi.
Assai riservato e diplomatico, il C. seppe muoversi con destrezza e abilità nel torbido e pettegolo ambiente di Curia. Morto Gregorio XV nel 1623, il nuovo conclave vide scatenarsi le rivalità fra i Borghese e i Ludovisi. Ne uscì eletto Maffeo Barberini, che prese il nome di Urbano VIII. La rottura fra il nuovo pontefice e il card. Ludoviso Ludovisi fu pressoché immediata, e chi ne fece le spese fu il Cecchini.
Infatti il Ludovisi, di parte spagnola, fu accusato dagli ambienti vicini al papa di aver ispirato la protesta, in pubblico concistoro, del card. G. Borgia, allora ambasciatore del re di Spagna, contro il papa, accusato di non aver a cuore le sorti degli Spagnoli. Il pontefice, che era pronto a tutto pur di contrastare il rafforzamento degli Spagnoli in Italia, decise quindi di allontanare da Roma il Ludovisi, imponendogli di raggiungere la sua sede arcivescovile di Bologna, e dette incarico al C. di informare di tale decisione il Ludovisi. In questa occasione il C. non si mostrò - o per lo meno così ritieneil Fumi - all'altezza della sua fama di uomo accorto e diplomatico. Fatto sta che in Curia scoppiò lo scandalo, alimentato dalla famiglia Ludovisi e dai cardinali spagnoli, per cui il C. dovette subire aspri e gravi rimproveri sia da parte del pontefice sia da parte del Ludovisi.Nel 1633 però iniziò un nuovo periodo fortunato per il Cecchini. Dopo la morte del card. Ludovisi, egli riuscì a guadagnarsi la simpatia e la protezione dei Barberini: divenne infatti giudice del Monte di pietà, protettore di quella congregazione e membro della Congregazione delle Immunità e fu ammesso tra i votanti di Segnatura. Si guadagnò infine le simpatie del card. Aldobrandini riuscendo a fare in modo che la nipote di costui, Olimpia, uscisse dal convento grazie al permesso ottenuto dal generale dei domenicani; il C. inoltre si adoperò per favorire il matrimonio di Olimpia con Paolo, figlio del principe di Sulmona.
In occasione della guerra tra il pontefice e il duca di Parma, il C., al quale era stata affidata la guardia della città di Roma, riuscì ad organizzare una milizia composta di 6.000 soldati ed una compagnia di 500 cavalieri. Riuscì anche ad acquistarsi una certa popolarità presso il popolo romano grazie al suo intervento in favore della soppressione della gabella sul vino prodotto nel circondario. Nel 1643 fu nominato consultore del S. Uffizio e nel luglio dello stesso anno uditore di Rota; ottenne inoltre una pensione di 100 scudi sul canonicato di S. Pietro.
Nel luglio del 1644 Urbano VIII morì e gli successe, col nome di Innocenzo X, il card. Pamphili, che appena eletto creò il C. datario e il 14 novembre cardinale in pectore. La pubblicazione dell'elevazione a cardinale del titolo di S. Sisto avvenne il 6 marzo 1645; in tale occasione il C. ebbe in dono dal papa 6.000 scudi, una pensione sulla Chiesa di Cervia di 1.000 scudi, ed altrettanti, come donativo, dal popolo romano. Tale fortuna però non mancò di far nascere contro il C. gelosie e rancori.
In particolare la sua carica di datario lo espose alle rappresaglie della potente cognata del papa, Olimpia Maidalchini, quando egli tentò di porre un freno alle ruberie del sottodatario Francesco Canonici Mascambruni, protetto da donna Olimpia e dalla famiglia pontificia: le pressioni esercitate sul pontefice contro il C. costrinsero questo, nel giugno del 1649, alle dimissioni che vennero però accolte solo il 15 sett. 1652, dopo la condanna ed esecuzione del Canonici Mascambruni.
Il 12 apr. 1651 il C. era stato chiamato da Innocenzo X nella speciale Congregazione istituita per giudicare cinque proposizioni di Giansenio sospette di eresia. Il C. si dedicò a questo compito con molto zelo, nonostante le amarezze procurategli dalla contemporanea questione della dataria e dalla crescente ostilità del pontefice.
Nel 1655 il C. partecipò al conclave da cui uscì eletto Alessandro VII, e poco meno di un anno dopo, il 1º maggio 1656, morì a Roma; fu sepolto in S. Maria in Trastevere, dove aveva fatto restaurare ed ornare la cappella della Madonna di Viacupa.
Durante il lungo e travagliato periodo in cui fu datario, il C. reagì alle accuse e alle ingiurie opponendo la sua onestà e la sua intelligenza, ed affidando ad un'autobiografia la difesa della sua reputazione e il racconto della vera e propria persecuzione di cui era stato oggetto. Tali memorie (conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Misc. 978: Vita e successi del card. Cecchini descritta da lui medesimo), che sembrano essere state scritte poco dopo il 1651 e che riportano anche alcuni severi giudizi su personaggi di Curia, sono scritte con molta libertà e ci forniscono un quadro colorito della società romana del tempo.
Fonti e Bibl.: V. Siri, Delle memorie recondite, V, Lione 1679, pp. 252 ss.; R. Rapin, Mémoires…,a c. di L. Aubineau, Paris 1865, I, pp. 491, 503, 505, 507; II, pp. 3, 15, 32, 86; Nouvelles de Rome, a cura di P. Denis, Paris 1913, p. 77; L. Ceyssens, La première bulle contre Jansenius. Sources relatives à son histoire, I, Bruxelles-Rome 1961, pp. IX, XXI; II, ibid. 1962, pp. 379, 432,-436 s., 803-806; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali, VII, Roma 1793, pp. 53 s.; F. Gregorovius, Urbano VIII e la sua opposiz. alla Spagna e all'imperatore, Roma 1879, pp. 60 ss.; L. Fumi, Il card. C. romano secondo la sua autobiografia, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, X (1887), pp. 287-322; A. Leman, Urbain VIII et la rivalité de la France et de la maison d'Autriche de 1631 à 1635, Lille-Paris 1920, p. 130; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Romae 1931, pp. 167, 286; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, pp. 28, 41, 56, 444, 619; XIV, 1, ibid. 1932, pp. 32, 142, 201; A. Kraus, Das päpstliche Staatssekretariat unter Urban VIII., 1623-1644, Freiburg 1963, pp. 51, 278, 279 s.; A. Bastiaanse, T. Ameyden. Un neerlandese alla corte di Roma, 's Gravenhage 1967, pp. 212, 244, 308, 393 s.