CAMPAGNOLA, Domenico
Pittore e incisore. È con tutta probabilità, il "Domenico Veneziano", allevato da Giulio Campagnola, che, adottandolo, gli trasmise il cognome; meno certa appare la sua parentela con Gualtieri, di famiglia Dall'Arzere. In quanto alla nascita sappiamo che si deve fissare, non già intorno al 1480, come si credeva, prestando fede ad una falsa scritta riferita dal Mariette, dalla quale sarebbe risultato collaboratore di Tiziano, nel 1511, nella Scuola del Carmine a Padova, ma nel 1500. Le prime opere sicure del C. sono varie incisioni del 1517, e forse egli coltivò la stampa prima della stessa pittura, unendo una tecnica ora aspra, ora morbida, nei suoi quindici legni; tutti, eccetto uno, del 1518, recanti quella data e ispirati a Giulio C., a Tiziano e al Pordenone; è poi errore del Petrucci, biografo degli artisti padovani, la data del 1515. Queste incisioni dimostrano però, per via di alcune sigle, fra cui quella del Boldrini, l'intervento di diversi esecutori; si può quindi pensare che il C. fornisse solo disegni, sempre più tizianeschi, con sfondo di paesaggio.
Altre date notevoli: il 1531, quando dipinge in S. Maria del Parto (rabeschi e figure, ora nelle Gallerie di Venezia); il 1534, nella Scuola di S. Rocco; il 1562 a Padova un quadro ora nel Museo civico (n. 978 o 1277); il 1581 la pala di Sant'Omobono, a Padova, ed è questo l'ultimo dato che abbiamo di lui.
In pittura, campo suo maggiore, il C. non si rivela tanto tizianesco, quanto seguace del Romanino e del Moretto; ma ciò non basta per assegnargli una pala del museo di Praga, segnata "Cam..." (1525), attribuibile meglio alla giovinezza di Giulio Campi, anche per l'evidente fare lombardo e per l'influenza del Dosso; come il troppo tizianismo vieta di riferirgli la guastissima Visitazione della Scuola del Carmine, togliendola al Vecellio. Si deve quindi porre all'inizio del maestro il Miracolo dell'annegata, nella Scuola del Santo, connessa agli affreschi ai fianchi dell'altare di San Rocco, e alla Madonna e Santi (collezione Johnson di Philadelphia) che ha identità col primo e rivela contatti col Pordenone, a cui infatti il dipinto era attribuito, e al quale s'ispirano i fregi di putti della Cassa di risparmio e quelli intrecciati con una scritta della casa Indri, nella facciata di palazzo Ceresari.
Ricordiamo inoltre a Padova una Sacra Conversazione in casa Papafava, i Ss. Francesco e Antonio ai lati dell'altare nella Scuola del Santo, la Decollazione del Battista al Museo civico e i tardi, scadenti affreschi terminali della Scuola del Carmine.
Bibl.: P. Kristeller, G. C. (Graphische Gesellschaft), Berlino 1907; id., in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, V, Lipsia 1911; A. Moschetti, La scuola di S. Rocco, in Padova, Bergamo 1912, p. 15 segg.; G. Fiocco, in Boll. d'arte, VI (1926-27), pp. 317-73; A. Calabi, ibid., VII (1927-28), pp. 427-28; A. Venturi, Storia dell'arte it., IX, iii, Milano 1928, p. 507 segg.; L. Fröhlich.-Bum, Die Landschaftszeichnungen des D. C., in Belvedere, VIII (1929), pp. 258-61.