BUONVICINI, Domenico (fra' Domenico da Pescia)
Nacque a Pescia intorno al 1450. Entrò nell'Ordine dei frati predicatori, professando nel convento bolognese di S. Domenico. Fu presumibilmente a Bologna che conobbe Girolamo Savonarola, divenendone seguace fra i più devoti e fiduciosi, convinto non soltanto della santità della crociata intrapresa dal domenicano ferrarese per la restaurazione della fede e per la riforma della Chiesa, ma anche strenuo assertore delle sue virtù taumaturgiche.
La credulità, la puerile ingenuità rilevata dai contemporanei come del tutto fuori del normale sembrano del resto avere costituito i caratteri salienti del personaggio, sebbene il cronista piagnone Iacopo Nardi, elogiandone lo "spirito e divozione", facesse gran meraviglie per la scarsa fama di dottrina che aveva circondato il B.: in realtà non pare dubbia, se non altro, la testimonianza di un correligionario che conosceva assai bene il B., il cronista del convento fiorentino di S. Marco Roberto Ubaldini, il quale lo ricordava come "uomo di buona purità, ma di dura cervice, e troppo credulo a revelazione e sogni di donne..." (Villari, II, p. CCLIX).
Da Bologna il B. seguì il Savonarola a Firenze, quando il frate ferrarese vi si stabilì definitivamente; nel marzo del 1491 lo si trova a predicare la quaresima a Pisa: in quella data il Savonarola gli scriveva per confidargli i suoi timori che Lorenzo de' Medici fosse per bandirlo da Firenze. Da allora il B. rimase costantemente accanto al suo maestro, divenendone confidente tra i più assidui, esecutore zelantissimo delle sue iniziative e spesso suo sostituto in ogni sorta di circostanza, così da guadagnarsi il soprannome di "fattoraccio", col quale gli arrabbiati fiorentini sottolineavano così la qualità di fedele luogotenente del Savonarola come la rozzezza del Buonvicini.
Al B. il Savonarola affidò l'organizzazione e la guida delle compagnie di fanciulli che dovevano vegliare, in nome dell'innocenza, sulla moralità del Fiore e che costituirono una delle manifestazioni più tipiche della "riforma" savonaroliana. Del resto in tutta l'opera per il risanamento morale della città il B. ebbe un posto di grande rilievo: il Nardi ricorda come fossero le prediche del B. a persuadere "al popolo di cavarsi di casa tutti i libri, così latini come volgari, lascivi e disonesti, e tutte le figure e dipinture d'ogni sorte che potessero incitare le persone a cattive e disoneste cogitazioni" (Istorie, I, p. 91). Dal B. il Savonarola si fece di solito sostituire in occasioni di prediche e di cerimonie pubbliche, quando preferiva rinchiudersi nel silenzio per ragioni di salute o, come ricorda ancora il Nardi, "per non far isdegnare tanto i suoi avversari e persecutori" (ibid.).
La somiglianza dell'argomentazione tra le prediche del B. e quelle del Savonarola doveva essere notevole: e al ferrarese furono a lungo attribuiti alcuni abbozzi di prediche, annotati a margine di una Bibbia, anch'essa attribuita al Savonarola, laddove questa e quelli erano invece del B., come fu dimostrato dal Ridolfi (1942).
L'agiografia savonaroliana e la storiografia di ispirazione piagnona riservano al B. un ruolo importante anche nelle pie leggende intorno ai rapporti dei domenicani di S. Marco con i maggiori personaggi della corte medicea: secondo questa tradizione, infatti, egli sarebbe stato amico e confidente di Angiolo Poliziano nell'ultimo periodo della sua vita, e lo avrebbe assistito con altri confratelli nella pia morte (24 sett. 1494).
Certo è che sin dal 1493 il B. aveva assunto un ruolo eminente tra i domenicani fiorentini. Nel maggio di quell'anno lo si trova infatti nella delegazione del convento di S. Marco alla corte di papa Alessandro VI, incaricato insieme con Alessandro Rinuccini (a loro si aggiunse in un secondo tempo anche fra' Roberto Ubaldini) di trattare con il cardinale protettore dell'Ordine domenicano, Oliviero Carafa, e con il generale dei predicatori, Gioacchino Torriani, la causa della separazione del convento fiorentino dalla congregazione lombarda.
In questo episodio, centrale nella vicenda savonaroliana, la personalità del B. e i suoi stretti rapporti con il Savonarola appaiono in straordinario rilievo, anche in virtù di una documentazione insolitamente abbondante. Assistiti dall'ambasciatore fiorentino a Roma Filippo Valori, i delegati fiorentini dovettero affrontare la decisa opposizione del vicelegato generale della provincia lombarda, assistito a sua volta dall'influentissimo cardinale Ascanio Sforza: ma più ancora dovettero affrontare gli intrighi, le lungaggini, e infine la sacrilega indifferenza della corte borgiana. Sostennero i buoni frati fiorentini in quella durissima prova le lettere assidue del Savonarola, dalle quali il B. traeva nuovo alimento alla sua combattività; al punto che, per superare l'indifferenza del pontefice e convincerlo della santità della causa dei frati di S. Marco, aveva deciso di operare un miracolo di fronte allo scettico Alessandro VI, resuscitando un morto: perfettamente sicuro che in quella delicata bisogna non gli sarebbe mancata la superiore assistenza necessaria. Trattenuto opportunamente in questi suoi entusiasmi, il B. vedeva comunque arridere un pieno successo alla sua missione in virtù delle più mondane arti del cardinale Carafa, che finalmente convinceva il papa a emettere il breve risolutore della vertenza, con il quale veniva concessa il 22 maggio 1493 piena autonomia al convento di S. Marco nei riguardi della congregazione lombarda. In virtù di questa decisione il 27 giugno seguente sia il B. sia il Savonarola ottenevano che la loro affiliazione al convento fiorentino fosse formalmente riconosciuta dal generale dell'Ordine.
Nell'agosto dell'anno successivo gli oratori fiorentini a Roma, Agnolo Niccolini e Pierfilippo Pandolfini, ottennero una analoga deliberazione anche per gli altri due conventi toscani di S. Domenico di Fiesole e di S. Caterina in Pisa, che pertanto furono affiliati al convento fiorentino. Del convento fiesolano venne nominato priore il Buonvicini.
Il B. doveva naturalmente seguire la sorte del Savonarola anche nelle successive vicende del contrasto con Alessandro VI; così, quando il 9 sett. 1495 il pontefice ristabilì la dipendenza dei conventi toscani dalla provincia lombarda ed il Savonarola fu sottoposto al giudizio del vicario generale dei domenicani di Lombardia sotto l'accusa di disobbedienza, il B. imitò il suo maestro nel rifiuto di prendere in considerazione le decisioni pontificie, che, per quello che lo riguardavano personalmente, prevedevano che egli si portasse a Bologna per essere assegnato ad altro convento al di fuori del dominio fiorentino.
Tale atteggiamento dei domenicani fiorentini poteva essere sostenuto soltanto in virtù del loro stretto accordo con i gruppi che detenevano in quel momento il governo della Repubblica fiorentina. Tale accordo trova una sua singolare esemplificazione proprio in un episodio che ebbe il B. quale protagonista: chiamato il 26 apr. 1496 a predicare innanzi al Consiglio grande, in sostituzione del Savonarola, il B. sembra aver collaborato con certe sue visioni di angeli e di diavoli illustrate nella predica allo smascheramento di Filippo Corbizzi e di altri arrabbiati, che avevano organizzato una congiura contro la fazione dominante. Pure in connessione con la politica dell'oligarchia dominante in Firenze sembrano altre prediche del B., come quella tenuta il 22 ottobre del 1496, quando dal pergamo di S. Lorenzo egli si fece interprete dei segni provvidenziali che si opponevano all'offensiva antifiorentina dell'imperatore, che era allora entrato da conquistatore in Pisa.
Del resto anche quando l'accordo tra il governo fiorentino e il Savonarola apparve definitivamente compromesso e allo stesso frate ferrarese, scomunicato da Alessandro VI, fu inibita la predicazione, il B., il quale sostituì il maestro sul pulpito di S. Marco, continuò disperatamente a professare la sua fiducia in lui e a negare che la sua influenza sulla Repubblica fosse per diminuire. Anzi egli accentuò la sua polemica contro i detrattori del Savonarola e contro lo stesso pontefice, sicché Paolo Somenzi, agente milanese a Firenze, poteva scrivere a Ludovico il Moro che il B. non diceva "manco di quello che esso [il Savonarola] diceva, ma forsi qualcosa più contra la Santità di Nostro Signore et de tutto el clero" (Villari, II, pp. LX s.).
È in questo clima esagitato che prese corpo il grottesco "giudizio di Dio" tra i francescani e i domenicani, dei quali fu appunto il B. il principale protagonista. Esso aveva un precedente nella sfida lanciata nel 1497a Prato dal francescano Francesco di Puglia al B., che pure predicava in quella città, di confrontarsi nella prova del fuoco pro e contro il Savonarola. Il B. aveva accolto prontamente la sfida, ma il francescano vi si era precipitosamente sottratto facendo ritorno a Firenze. Nuovamente Francesco di Puglia si lasciò trascinare dalla polemica contro il Savonarola nel marzo del 1498, quando, predicando in S. Croce, si impegnò a sostenere col fuoco le sue accuse contro la dottrina savonaroliana e la validità della scomunica lanciata dal pontefice contro di lui e ritenuta invece invalida dai domenicani. Anche questa volta il B. raccolse prontamente la sfida, sebbene dovesse subire poi gli aspri rimproveri del Savonarola, non precisamente edificato da quella prova, decisiva per il proprio declinante prestigio.
In effetti la Signoria fu pronta ad assumersi il patrocinio di quella singolare polemica e a fissarne i termini in modo tale che il Savonarola avrebbe dovuto esserne definitivamente compromesso nella sua residua influenza di fronte alla plebe fiorentina. La sfida non ebbe poi luogo, perché all'entusiasmo fiducioso e alla fermezza del B. si oppose la riluttante e rinviante capziosità dei francescani. E finalmente una pioggia provvidenziale venne a spegnere i roghi e a concludere quella stravagante contesa.Nell'aprile successivo, dopo la disgrazia e la morte di Francesco Valori, il grande protettore del Savonarola, l'avventura savonaroliana si avviò alla sua tragica conclusione con l'arresto in S. Marco del domenicano ferrarese, di Silvestro Maruffi e del Buonvicini. I commissari pontifici, Gioacchino Torriani e Francesco Remolines, coinvolsero i due minori imputati nella medesima accusa del maestro, di "eretici e scismatici per aver predicato cose nuove" (Ridolfi, 1952, I, p. 369).
Sottoposto alla tortura, il B. rinnovò la sua fiducia nel Savonarola, senza tuttavia che contro di lui gli inquisitori ottenessero una vera prova di colpevolezza a norma dei canoni. In sostanza la sua condanna alla stessa pena del maestro si fondò sugli stretti rapporti che erano intercorsi tra loro: troppo poco perché tra gli Otto di Balia non sorgessero perplessità per una troppo drastica condanna contro un personaggio evidentemente minore e universalmente riconosciuto come non del tutto responsabile. Vinsero infine queste perplessità il timore che il mito savonaroliano potesse rinnovarsi presso la popolazione fiorentina per il tramite del suo più vicino collaboratore, e più ancora la considerazione del Remolines, secondo la quale aveva poca importanza "un frataccio più, o uno meno" (ibid., p. 398).
II B. comunque seppe affrontare con piena serenità la sua sorte. Congedandosi dai suoi confratelli del monastero di Fiesole del quale era stato priore, raccomandava loro di mantenersi fedeli alla dottrina del maestro e disponeva in una lettera scritta alla vigilia della morte che essi raccogliessero nella sua cella gli opuscoli del Savonarola e li facessero legare in modo che non andassero perduti.
Fu impiccato e arso, insieme con il Savonarola e con il Maruffi, il 23 maggio 1498, dopo essere stato sottoposto alla degradazione ed alla spoliazione dall'abito dell'Ordine. Le ceneri furono gettate in Arno, "acciò che alcuno non portasse via delle loro reliquie" (Nardi, I, p. 131).
Fonti e Bibl.: Epistola di fra' Domenico da Pescia ai fanciulli fiorentini, s. l., né d. (ma Firenze 1497); I. Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1888, I, pp. 74, 91, 114, 117, 120, 124, 128-130; Tre lettere di Girolamo Savonarola e una di fra' Domenico da Pescia..., a cura di G. Niccolini, in Arch. stor. ital., s. 5, XIX (1897), pp. 116-120; La vita del beato J. Savonarola scritta da un'anon. del sec. XVI, a cura di P. Ginori Conti, Firenze 1937, ad Ind.; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, p. 30;P. Villari, La storia di G. Savonarola e de' suoi tempi, Firenze 1859-1861, ad Indicem;E. Nucci, Fra' D. B. da Pescia (1450-1498), Pescia 1920; G. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, ad Indicem;R. Ridolfi, La "Bibbia del Savonarola" della Biblioteca Nazionale di Firenze, in Opusc. di storia lett. e di erudiz., Firenze 1942, pp. 29-51; Id., Vita di Girolamo Savonarola, Roma 1952, ad Indicem.