BUFFA, Domenico
Nato in Ovada (Alessandria) il 16 genn. 1818 da Stefano e da Francesca Pesci, in una agiata famiglia borghese di saldi principi religiosi e di elevata cultura, si iscrisse nel 1835 a giurisprudenza nell'università di Genova. Dopo i primi tre anni, per volontà del padre che temeva i contatti del giovane con elementi mazziniani e sansimonisti, proseguì gli studi a Torino, dove si laureò nel 1840.
Appena diciassettenne, aveva dato alle stampe una raccolta poetica di ispirazione manzoniana, gli Inni (Pisa 1835). Di numerose composizioni in versi e in prosa precedenti e seguenti, che rivelano la sua adesione al movimento romantico, si conservano i manoscritti inediti nell'archivio degli eredi Buffa in Ovada. Nel 1838 Si dedicò anche agli studi storiografici ed etnologici, con una serie di saggi rimasti anch'essi inediti.
Uno studio iniziato quell'anno, il Saggiodi sapienza popolare, contenente 281 proverbi raccolti in Ovada e dintorni, nella valle dell'Orba, a Torino, a Genova e nei monti della Liguria centrale, rappresenta l'inizio dello studio delle tradizioni popolari nel Regno di Sardegna, e rivela nel B. il più antico folclorista nell'ambito ligure-subalpino, dotato di una profonda vocazione filologica. Egli iniziava pure, in questo periodo, quella Raccolta di canzoni popolari che doveva nel 1858 consegnare manoscritta a C. Nigra, e della quale questi si servì abbondantemente nella sua opera Canti popolari del Piemonte, dove, accanto alle diverse versioni, riportò spesso anche la "lezione" del B.; per questa ricerca il B. ebbe frequenti contatti personali ed epistolari con N. Tommaseo, che egli conobbe a Firenze, dove incontrò pure il Capponi, il Vieusseux e il Giusti. Fra le altre opere conservate nell'archivio di Ovada si ricordano: Tradizioni e leggende popolari; Relazione tra la lingua italiana e i suoi dialetti; Dizionario di parole dell'antica lingua italiana ora cadute in disuso e qui raccolte per farne confronto coi dialetti (1842); Relazione de' dialetti italiani colla lingua latina e altre antiche e moderne (1842); Note sulle origini della lingua e i dialetti d'Italia (1842-1843).
Nello stesso periodo il B. iniziava la collaborazione ai giornali IlSubalpino e Letture popolari, fondato questo da L. Valerio, soppresso dalla censura e ricomparso poi col titolo di Letture di famiglia. Le poesie apparse sul Subalpino furono raccolte nell'opuscolo anonimo Un periodo del mio pensiero, s.n.t. (ma Torino 1839); quelle pubblicate sulle Letture di famiglia rividero la luce nel volumetto Il Cantastorie (Genova 1842), che interessò anche G. Mazzini.
Dal 1843 al 1845 il B. attese alle Origini sociali intorno ai costumi di popoli antichi e moderni, pubblicate a Firenze nel 1847 col titolo Delle origini sociali. L'opera - già nota al Balbo prima della stampa, e apprezzata dal Capponi e dal Tommaseo - partendo dallo studio dell'origine delle razze umane e dei primi miti, costumi e religioni, cioè delle istituzioni dei popoli primitivi, affermava il concetto di continuità storica come base di ogni investigazione nel passato più o meno recente. Nel 1845 uscì a Torino l'opera storico-filosofica Giambattista Vico,dramma preceduto da alcune poesie dello stesso; ilB. volle rappresentare nel filosofo napoletano il travaglio del pensatore, il supplizio di chi, scoperta una nuova verità, lotta contro ogni volontà per farla trionfare.
Intensa fu pure l'attività del B. come giornalista. Collaborò a periodici politici e a rassegne scientifiche e letterarie, quali Il Cimento,L'Opinione,La Croce di Savoia,Il Parlamento,Il Piemonte,Il Monitore dei Comuni italiani,Il Giovedì,fino a che, nel gennaio 1848, annunziava la nascita della Lega italiana, giornale politico, economico, scientifico e letterario, avente come sottotitolo i motti "L'Italia farà da sé" di Carlo Alberto e "Dio lo vuole" di Pio IX. La tendenza del giernale fu, durante la sua breve esistenza, essenzialmente neoguelfa e federalista. Il B. ne rimase alla direzione fino al 21 marzo 1848, quando cioè lasciò Genova per correre volontario sui campi della Lombardia, dove fu abile propagandista delle tesi filopiemontesi.
Eletto deputato per il collegio di Ovada, il B. lasciò Milano per partecipare alla inaugurazione della prima Camera del Regno di Sardegna (8 maggio 1848); si mise in evidenza nelle successive sedute per i suoi numerosi interventi (tra questi, quello del 19 ott. 1848 per la ripresa della guerra e altri su urgenti provvedimenti per i profughi lombardo-veneti), qualificandosi politicamente vicino ai "democratici di sinistra". Frattanto, caduto il ministero Perrone-Pinelli, il 16 dicembre il B. fu chiamato al governo dal Gioberti, che aveva formato il cosiddetto ministero democratico. Gli fu assegnato il portafoglio dell'Agricoltura e Commercio, ma subito (18 dicembre) fu inviato a Genova come commissario straordinario investito di tutti i poteri esecutivi, per ristabilire l'ordine compromesso dalle dimostrazioni popolari promosse dai circoli politici e per sopire le velleità indipendentistiche e repubblicane tenute vive anche dalla propaganda mazziniana.
Il B. ritenne di poter ristabilire la tranquillità annunciando in un proclama rimasto famoso (18 dic. 1848) l'allontanamento dell'esercito regolare: fu un gesto che attirò le recriminazioni di tutti gli elementi moderati e militaristi, come P. Dionigi Pinelli, A. La Marmora, M. d'Azeglio, F. A. Pinelli, ecc., mentre i colleghi del ministero Gioberti tentavano di appoggiarlo o per lo meno di giustificare il suo operato. Il B. giunse al punto di assumere il comando della guardia nazionale della città; non riuscendo però nell'intento di pacificare gli animi, dovette, gradualmente, passare ad atteggiamenti più duri, fino ad ordinare la chiusura del Circolo italiano, il che gli valse le proteste della sinistra parlamentare e l'impopolarità presso la cittadinanza.
Denunciato dal governo l'armistizio e riprese le ostilità con l'Austria, il B. lasciò Genova, niente affatto tranquilla, per riprendere il suo posto alla Camera, dove prese la parola, per l'ultima volta in veste di ministro, nella seduta del 26 marzo, quando lesse la lettera inviata dal campo dal ministro Cadorna sull'abdicazione di Carlo Alberto. Da questo momento iniziava in lui un graduale distacco dalla sinistra parlamentare e un accostamento a quel gruppo politico che avrebbe poi sostenuto il Cavour nella lotta per il potere. Dopo aver invano difeso la ratifica del trattato di pace con l'Austria da parte della Camera, ed essendo stata questa sciolta dal nuovo re Vittorio Emanuele II col famoso proclama di Moncalieri (20 nov. 1849), il B. venne intrecciando rapporti sempre più stretti coi sostenitori del liberalismo moderato che faceva capo al Cavour e che, fondendosi con la sinistra rattazziana, avrebbe formato il nuovo raggruppamento di centro-sinistra destinato a sostenere il Cavour nella sua politica. L'accordo per la formazione del nuovo partito - definito dagli avversari il "partito malva" - venne stabilito in casa di M. Castelli con la partecipazione del Cavour, del Rattazzi e del B., e venne sanzionato alla Camera all'atto della discussione sulla legge De Foresta relativa ad alcune restrizioni alla libertà di stampa nei confronti di sovrani e di governi stranieri. In quell'occasione, e precisamente il 10 febbr. 1852, il B., differenziandosi dai suoi antichi compagni che avevano determinato di respingere il progetto di legge, l'approvò in pieno, cominciando a mostrarsi apertamente uno dei più convinti sostenitori della politica cavouriana. Rassegnate le dimissioni da parte dall'Azeglio il 22 ott. 1852, e formato dal Cavour il nuovo gabinetto, passato alla storia col nome di "gran ministero", al B. fu affidato un incarico particolarmente delicato e impegnativo: quello di intendente generale per la provincia di Genova.
Fra le molteplici difficoltà, in un clima di diffidenza, fra i non sopiti rancori per la repressione del 1849, il B. esercitò il suo ministero con fermezza non disgiunta dalla maggiore esperienza. Nell'assolvimento del suo compito, assai spesso ingrato, fu confortato dalle attestazioni di stima del Cavour e dall'affettuosa corrispondenza con gli amici più fidi, primo tra i quali il Castelli. Ebbe, fra l'altro, la soddisfazione di potersi valere della sua autorità per facilitare l'ingresso negli Stati sardì a N. Tommaseo, che nel febbraio 1854 si rifugiò a Torino, dove rimase fino alla morte.
Nel settembre 1853 aveva dovuto procedere all'interrogatorio di F. Orsini, arrestato nei pressi di Sarzana, ove si era recato per promuovere una insurrezione di ispirazione mazziniana: lasciò nello stesso carcerato una impressione di viva umanità. Nel febbraio del 1854, inaugurandosi la strada ferrata che univa Torino a Genova, con l'intervento del re, della famiglia reale, del Cavour, del parlamento e di numerose autorità, il B. seppe organizzare la cerimonia in modo tale da ricevere il plauso caloroso del capo del governo, che nutriva non pochi timori circa l'esito della manifestazione. Nel 1854-1855 dovette fronteggiare le calamità che colpirono Genova e la sua provincia: la carestia di viveri, la crisi di lavoro, l'epidemia colerica. Il B. invitò il municipio ad intraprendere lavori pubblici, creò commissioni di pubblica beneficenza, fece abolire il dazio sull'importazione dei grani, favorì l'emigrazione dei lavoratori; per combattere il colera presiedette consigli medico-sanitari, promosse comitati di assistenza e sorveglianza, visitò ospedali e lazzaretti e dispose l'applicazione di severe norme igieniche.
Presentate alla Camera nell'aprile 1855 le leggi sulla soppressione delle corporazioni religiose, il B., che disapprovava quei progetti perché contrari ai diritti di proprietà e di libertà e perché nocivi all'auspicata separazione del potere civile da quello ecclesiastico, e che si sentiva quindi inadatto a fare rispettare e applicare una legge stimata inopportuna, si dimise dalla carica, esponendo pubblicamente i motivi con l'opuscolo La crisi (Torino 1855). Rientrò però alla Camera con le elezioni suppletive in Sardegna il 14 nov. 1855.
Nelle sedute del 21 dic. 1855 e 15 genn. 1856 sostenne il già avvenuto intervento piemontese in Crimea; il 30 apr. 1856 in una interpellanza alla Camera offrì al Cavour, che ritornava dal congresso di Parigi, l'occasione di esporre i vantaggi morali raggiunti dal Piemonte. Nelle elezioni del 15 nov. 1857, in seguito a una inaspettata riaffermazione del partito clericale, il B., con vivo disappunto del Cavour, rimase battuto da un canonico. Annullata la nomina dei canonici per la ritenuta loro ineleggibilità, nelle elezioni suppletive del 3 febbraio venne eletto rappresentante del collegio di Sassari. I suoi interventi più importanti ebbero luogo a sostegno del Cavour per l'approvazione di una legge che puniva la cospirazione contro la vita dei sovrani e dei capi di governo esteri e Papologia dell'assassinio politico, legge proposta in seguito all'attentato dell'Orsini contro Napoleone III. L'ultimo intervento di rilievo il B. lo svolse il 27 maggio 1858 durante la contrastata discussione sul prestito di 40 milioni a favore delle finanze, approvato poi con la legge del 26 giugno 1858.
Il 23 giugno 1858, uscendo dalla Camera, fu preso da un colpo apoplettico; parve riaversi, ma il 19 luglio 1858 moriva a Torino .
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