BRUSASORCI (Brusasorzi), Domenico
Nasce il 1516 circa a Verona da un Agostino pure pittore, ricordato dalle fonti, ma del quale nulla ci è pervenuto (per le origini della famiglia, cfr. Da Re, 1910; Brenzoni, 1959). Non è facile ricostruire gli esordi del B., la cui personalità, in fondo, "attende ancora di essere appieno rivelata": sarà tuttavia da tener conto che, dal 1540 al '50, quando appunto maturava il B., Verona era "il principale tramite... tra la cultura tosco-romana e la veneta" (Magagnato, 1968, p. 176), dopo il ritorno del Sanmicheli (1527) e data la vicinanza con Mantova, centro di irradiazione del nuovo linguaggio, portatovi (1524) da Giulio Romano.
Il B., nato una decina d'anni prima di Paolo Veronese (1528), dello Zelotti (1526) e del Fasolo (1530), nonostante sia tradizionalmente riconosciuto come allievo del concittadino Caroto rimarrà sempre, tra questi suoi compagni di lavoro, il più legato al mondo centro-italiano attraverso esperienze mantovane e influssi emiliani.
Del 1540 circa è la pala del B. con S. Antonio abate e s. Paolo eremita, oggi a Brera; a pochi anni dopo è da datare, presumibilmente, la pala veronese di S. Eufemia con la Madonna, il Bambino e santi, rivelatrice di una certa disinvoltura eclettica (cfr. Arslan, 1947, p. 20); così il Cristo, ora applicato sul soffitto della chiesa di S. Carlo a Verona, attesta un raffaellismo un po' caricato: mentre il Cristo con un donatore, nel primo altare a sinistra della parrocchiale di Nogarole Rocca (Verona), offre particolari che riconducono al Moretto. Molto più interessanti, a ogni modo, le belle Scene di paese nelle ante di armadio della sacrestia veronese di S. Maria in Organo: redatte dal B. intorno al 1540, segnano una tappa importante nello sviluppo della pittura veronese di paesaggio, dai primi saggi del Caroto, sempre in S. Maria in Organo (1530 c.), fino alla gloriosa conclusione delle vedute veronesiane di Maser (1560 c.).
Secondo il Magagnato, sarebbero del B. gli affreschi nella volta del salotto di casa Arnaldi-Bissari a Vicenza, incorniciati dagli stucchi modellati intorno al 1547 da Alessandro Vittoria; subito dopo, attorno al 1550, sembrano databili gli affreschi in S. Maria in Organo, dagli accenti che portano addirittura a recuperi pontormeschi.
Nel 1551 il B. era a Trento ad affrescare casa Salvetti e la facciata di casa Garavaglia (le pitture sono state trasportate nel 1903 nella sala del consiglio, in palazzo comunale). Tra il 1545 e il '50 ebbe inizio, sotto la direzione del Sanmicheli, la decorazione di palazzo Canossa a Verona: il B., che vi era presente assieme con Battista del Moro, Bernardino India, Eliodoro Forbicini e lo stuccatore Bartolomeo Ridolfi, affinò nell'impresa quelle sue tipiche risorse di frescante che rimarranno il suo aspetto migliore, e delle quali diede saggio subito dopo negli affreschi per il palazzo di Florio della Seta (poi Murari; distrutto: cfr. Schweikhart, 1970). I frammenti superstiti presso il Museo di Castelvecchio rivelano infatti una scioltezza in netto contrasto col fare più trattenuto, e talvolta impacciato, dei lavori ad olio.
Nel 1552 il B., assieme ad altri maestri, tra cui il Veronese, lavorava per la cattedrale di Mantova, appena ricostruita da Giulio Romano e Giovanni Battista Bertani: nell'occasione, questi indirizzava l'operato dei pittori facendosi veicolo - dopo un soggiorno a Roma durante il pontificato di Paolo III - di suggestioni romane "sui temi della cultura... del quarto e quinto decennio del secolo" (Perina, 1965, p. 342). Effettivamente, la S.Margherita, eseguita dal B., palesa pochi addentellati con il mondo veneto ed offre invece significative consonanze con il severo linguaggio che "discende da Daniele da Volterra e dagli affreschi della Paolina" (Arslan, 1947). Subito dopo è molto probabile che il B. sia stato a Vicenza, a fare affreschi, assieme a Paolo Veronese e allo Zelotti, nel palazzo palladiano di Iseppo Porto: la testimonianza dello stesso Palladio è in proposito ineccepibile e la comunanza con i due illustri collaboratori mostra come ormai il B. sia pienamente inserito nel giro di quella "langue di potenziale altamente decorativo... che costituirà, per un ventennio almeno, la base linguistica della decorazione delle ville e dei palazzi veneti" (Pallucchini, 1968, p. 209). Scomparsi gli affreschi di Paolo e dello Zelotti, rimane in loco solo la Caduta dei Giganti, rivendicata al B. dalla Crosato (1962, pp. 40, 42 s.) e dal Pallucchini (1968, pp. 227 s.) e che davvero "riprende quella di Giulio Romano a Mantova (pal. del Te), non soltanto nello schema ma nelle forti tonalità "(Crosato, 1962, p. 42). A Vicenza, il B. è presente, il 19 nov. 1558, in un'altra opera palladiana, il palazzo Chiericati, dove partecipa, con lo stuccatore Ridolfi, e lo Zelotti, alla campagna decorativa promossa da Valerio Chiericati (per le parti spettanti al B., cfr. Barbieri, 1962).
Una certa svolta nello stile del B. pare possa riscontrarsi a cavallo degli anni '60, in quegli affreschi nella chiesa veronese della Trinità (Storie di s. Orsola) che accentuano una tardiva inclinazione a modi veronesiani, o nel ritratto di Bonuccio Moscardo del Museo di Castelvecchio, del 1561, che ha qualche eco di sottigliezze chiaroscurali ed introspettive che possono ricordare il Lotto. Si muovono in questa scia i quattro Ritratti ideali di vescoviveronesi, individuati dall'Arslan (1947) nella sacrestia di S. Stefano a Verona; analoga ripresa di scoperta sensibilità coloristica è nell'Autoritratto degli Uffizi, immediatamente successivo al 1561, o nel ritratto di un Sagramoso della veneziana raccolta Brass e nell'Ossesso di S. Giorgio in Braida a Verona; qui lo zibaldone di motivi "manieristici" viene fuso armonicamente da una innegabile sapienza cromatica.
Nel 1564 il B. ritornò a Mantova, richiamatovi dal Bertani il quale, costruita la basilica palatina di S. Barbara, si stava occupando del suo completamento decorativo.
Del B. è il Martirio della santa, sull'altar maggiore, forse su uno spunto compositivo dello stesso Bertani: nella parte autografa (la Gloria d'angeli superiore è più tarda) l'artista si mostra tuttora sensibile al clima intellettualistico mantovano nella spiegata magniloquenza, nella evidenza statuaria dei personaggi, nel rigore metallico delle vesti (Perina, p. 345).
Seguirà, subito dopo, il celebre fregio con La cavalcata di Clemente VII e Carlo V nel veronese palazzo Da Lisca: se l'orditura generale palesa un'eco dei Trionfi mantovani del Mantegna pur sotto la vistosità dell'apparato cinquecentesco, nonostante la non felice conservazione, possiamo verificare nell'affresco grandioso una delle più complesse e raggiunte elaborazioni formali del B. (cfr. La gran cavalcata... incisa a contorno in otto tavole del celebre Ag. Comerio, Verona s.d.). Una delle sue ultime opere sicure è la decorazione, del 1566, del salone sinodale nell'episcopio veronese, con le figure di S. Pietro e 108 cardinali di Verona entro una finta architettura sullo sfondo di paesaggi. Le alterazioni del tempo e i malaccorti restauri non tolgono interesse a questo saggio di bravura, dove si conclude "in un pantografico exploit" (Magagnato, 1968, p. 178), malgrado uno scadimento di finezza stilistica, la folgorante vicenda della pittura veronese di paesaggio, un lustro o poco più dopo il vertice delle vedute paolesche di Maser. Del 1566 è la pala (Madonna con il Bambino e santi) sull'altar maggiore di S. Lorenzo a Verona: la vena del pittore vi si manifesta quasi del tutto inaridita.
Il B. morì a Verona il 30 marzo 1567. Il Vasari (VI, p. 368) ricorda che fu "ottimo musico". Fece infatti parte della Accademia filarmonica di Verona dalla sua fondazione avvenuta nel 1543 e in essa ricoprì varie cariche (V. Cavazzocca Mazzanti, Contributo alla storia dell'Accad. Filarmonica Veronese,1543-1553, Verona 1926, passim; G. Turrini, L'accad. filarmonica di Verona..., Verona 1941, ad Indicem).
Dalla moglie, Toscana, ebbe numerosi figli, tre dei quali continuarono le tradizioni familiari: Felice, Giovanni Battista e Cecilia.
Giovanni Battista nacque a Verona intorno al 1544.Non si conosce nessuna opera particolare da lui dipinta; da documenti pubblicati dal Da Re (1910, pp. 19 s.) risulta che lavorò alla Madonna di Campagna, insieme con il padre, e che nel 1570 eseguiva rilievi topografici. Il Valerini (ibid., p. 20), scrivendo nel 1586, lodice "ultimamente al servizio dell'Imperatore". Anche se la letteratura artistica ha fatto di lui un pittore, allo stato attuale degli studi non è stata identificata nessuna opera che possa essergli attribuita, né conosciamo, su di lui, altri dati biografici.
Cecilia nacque a Verona nel 1549; dal suo testamento, datato 2 apr. 1593 (Priuli Bon, 1907, p. 28), si ricava che, restata vedova di un Giovanni da Arcole, era tornata con i figli Girolamo e Drusilla presso il fratello Felice con il quale anche lavorava. Il Dal Pozzo ricorda, di lei, un ritratto su rame del poeta G. B. Calderari un cui sonetto, sul retro, celebrava "il valore e il merito del suo pennello". Dato che rappresenta S.Cecilia con altre sante, le è stata attribuita già in un ms. del 1803 (citato da Priuli Bon) la tela 448 nella Pinacoteca di Verona.
Fonti e Bibl.: V. la bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 146 s., e in A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 4, Milano 1930, pp. 1061-1079; inoltre e in particolare, si veda: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, VI Firenze 1881, pp. 366 (dove chiama il B. "Del Riccio"), 368, 488, 489; A. Palladio, I quattro libri dell'archirettura, Venetia 1570, II, p. 6 (a proposito di pal. Chiericati, chiama il B. "Domenico Rizzo"); C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 1914, p. 298; II, ibid. 1924, pp. 108-112, 117, 119, 128; B. Dal Pozzo, Le vite…, Verona 1718, p. 75 (per Cecilia); P. Baldarini, Descriz. della architett., pittura e scoltura di Vicenza, Vicenza 1779, I, p. 82 (segnala una Pietà con "due ritratti appiedi in atto supplichevole" nel convento della Madonna di Monte Berico); II, pp. 54, 104 (quadro del B. nella dispersa Pinacoteca di pal. Trissino Baston); L. Priuli Bon, A little-known painter, in Madonna Verona, I (1907), pp. 26-31 (per Cecilia); G. Da Re, Notizie sui Brusasorci, ibid., IV (1910), pp. 1-20; D. von Hadeln, Veronese und Zelotti, in Jahrb. der Königl. preussischen Kunstsamml., XXXV (1914), pp. 172 ss.; R. U. Montini, L'arte di D. B., in Emporium, LXXVII (1933), pp. 2-15; Id., D. B. Cenni biografici e bibliogr. essenziali, in Boll.d. R. Istit. di archeol. e st. dell'arte, VI (1933), pp. 7-33; E. Arslan, Appunti su D. B. e la sua cerchia, in Emporium, CVI(1947), pp. 15-28; R. Pallucchini, GiulioRomano e Palladio, in Arte veneta, XII (1958), pp. 234 s.; R. Brenzoni, Mo.D. Riccio B. ... e la sua origine lombarda, in Arte lombarda, IV (1959), pp. 272-276 (le stesse notizie già in Archivio veneto, LXII[1958], pp. 131-134); L. Crosato, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Trento 1962, ad Indicem; F. Barbieri, Il palazzo Chiericati... di Vicenza, Venezia 1962, pp. 11, 36, 44, 46, 48, 49-53; M. T. Cuppini, Aggiunte a F. Morone e D. B., in Bollettino d'arte, IL (1964), pp. 185-187; C. Perina, Pittura, in Mantova. Le arti, III, Mantova 1965, pp. 326, 340, 342 s., 345; B. Berenson, Ital. pictures of the Renaissance. Central Ital. and North Ital. Schools, London 1968, I, pp. 67-69; L. Magagnato, I collaboratori veronesi di Andrea Palladio, in Boll. del Centro intern. ... A. Palladio, X (1968), pp. 170 s., 177-180; R. Pallucchini, G. Zelotti e G. A. Fasolo, ibid., pp. 227 s.; T. Mullaly, A preliminary study by D. B., in Master drawings, VII (1969), pp. 292 s. (disegno, agli Uffizi, per una delle portelle d'organo dei SS. Nazaro e Celso a Verona); G. Schweikhart, Il trionfo di L. Emilio Paolo di D. B. ..., in Antichità viva, IX (1970), pp. 21-28; L. Franzoni, La gall. Bevilacqua, Milano 1970, ad Indicem.