BENIVIENI, Domenico
Fratello di Girolamo e di Antonio, nacque a Firenze da ser Paolo Benivieni intorno all'anno 1460.
In una "portata" catastale dei padre, resa nel 1457, è già incluso nella famiglia un bambino di sette mesi di nome Domenico (Arch. di Stato di Firenze, Portate al Catasto, San Giovanni, Vaio, 1457, 832, cc. 222-24); ma poiché il Poliziano, nella sua elegia in lode della famiglia Benivieni (1472), parla del B. come di un adolescente di dodici anni (I. Del Lungo, Prose volgari ined. e poesie lat. e gr. ed. e ined. di A. Poliziano, Firenze 1867, p. 236), e lo stesso ser Paolo nella "portata" del 1480 (Arch. di Stato di Firenze, Portate al Catasto, San Giovanni, Vaio, 1480, 1024, c. 196) dichiara che il figlio Domenico aveva appena ventun anni, è probabile che il B. rinnovasse nel nome un fratello morto in tenera età.
Non possediamo notizie precise sui suoi studi e sulla sua formazione universitaria, ma, dalla testimonianza del Poliziano, risulta che già a dodici anni il B. aveva una notevole familiarità con i testi aristotelici, mentre tutte le fonti contemporanee parlano della sua perizia di logico e di teologo che gli meritò il significativo soprannome di "scotino". Del resto, ancora giovanissimo, nel 1479, era lettore di logica nello Studio pisano dove veniva retribuito con un compenso annuo di trenta fiorini (S. M. Fabbrucci, Mon. Hist. Pisani Gymnasii, in Raccolta d'opuscoli scient. e filol., a c. di A. Calogerà, t. XLIII, 3, p. II, § XI, Venezia 1750, pp. 239 ss.); e tale incarico tenne sino al settembre del 1481 (Arch. di Stato di Firenze, Ricordi per lo Studio pisano dal 1481 al 1505, 415, c. 5). Secondo un'aggiunta marginale tratta dal Fabbrucci dal Libro delle deliberazioni dello Studio, il B. avrebbe lasciato, l'insegnamento per darsi alla vita claustrale ("claustro mancipatus"). Ma è probabile. che questa annotazione si riferisca semplicemente alla carica di spedalingo dell'Ospedale di Pescia che egli ricoprì dopo la sua cessazione dall'incarico nello Studio pisano.
Comunque la fama di studioso e cultore di filosofia e teologia del B. dové contribuire a cattivargli la simpatia e l'arnicizia di Marsílio Ficino. Sui suoi rapporti con il filosofo neoplatonico resta infatti una precisa traccia nella dedica del trattatello epistolare De rationibus musicae (Firenze, Bibl. Riccardiana, 797, cc. 389v-393v, edito da P. O. Kristeller, in Supplementum ficinianum, I, Firenze 1937, pp. 51-56), che il Ficino compose probabilmente tra il 1484 e il 1488. Non solo, ma lo stesso Ficino, che lo loda come ottimo conoscitore della filosofia platonica, lo presenta, in un'epistola indirizzatual B., come uno degli spettatori alla disputa sulla veridicità delle profezie scritturali intorno al Cristo, tenuta, nel corso del 1485, nella casa fiorentina di Giovanni Pico e alla quale presero parte Elia del Medigo, Abramo Farissol e Guglielmo Raimondo da Moncada (M. Ficini Opera, Basileae 1576, I, pp. 873 ss.). E che il Pico, di cui è ben nota la stretta amicizia con il fratello del B., Girolamo, l'annoverasse tra i suoi familiari lo dimostrano l'epistola che gli inviò da Fratta, il 10 nov. 1486, annunziandogli di star meditando un commento al Simposio platonico (I. Pici Opera, Basileae 1572, I, p. 382), e la citazione laudativa nel prologo del De Ente et Uno (1491: cfr. G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate, Heptaplus, De Ente et Uno, a cura di E. Garin, Firenze 1942, p. 386). Infine il 28 apr. 1491 il B. era nominato canonico della basilica di S. Lorenzo, con il patronato di Lorenzo il Magnifico e di Pier Francesco de' Medici.
Legato da profondo affetto al fratello Girolamo e, come lui, partecipe di sincere esigenze religiose e riformatrici, il B. sentì presto il profondo richiamo della predicazione savonaroliana che doveva poi ispirare tutta la sua attività di sacerdote e di scrittore. Dapprima turbato dalla severa eloquenza del frate ferrarese, alla quale avrebbe forse preferito l'eleganza umanistica delle prediche di fra, Mariano da Genazzano, egli fu però conquistato dal programma riformatore del domenicano, dal suo appello alle antiche "virtù" della chiesa primitiva e alla severa osservanza di una rigida disciplina cristiana. Almeno a partire dal 1492 il B. fu dei più zelanti seguaci del Savonarola e dei suoi più fervidi difensori; e, incline per propria natura alla severa meditazione devozionale (come dimostrano le sue Epistolae morales, nel cod. 2405 della Bibl. Riccardiana di Firenze, f. 29), arricchì la lettura "savonaroliana" di alcune operette di singolare interesse. Già nella Scala spirituale sopra el nome di Maria (Firenze, per Bartolomeo del Libri, 1495: cfr. Gesamtkatalog d. Wiegendrücke, III, 3848), dietro la ricerca di analogie e inferenze mistiche dedotte dall'analisi del nome della Madonna, compaiono alcuni motivi caratteristici della predicazione dei Savonarola. Ma i documenti più importanti della sua piena adesione alle idee del "profeta" domenicano sono costituiti dal Tractato di Maestro Domenico Benivieni prete fiorentino, in defensione della doctrina et prophetie di frate Rieronymo da Ferrara (Firenze, per Ser Francesco Bonaccorsi, 28 maggio 1496: cfr. Gesamtkatalog, III, 3849), dall'Epistola di maestro Domenico Benivieni, fiorentino, canonico di Sancto Lorenzo, a uno amico responsiva a certe obiectioni e calunnie contra a fr. Hieronymo da Ferrara (Firenze, Laurentius de Morgianis et Johann Petri, 1497: cfr. Gesamtkatalog, III, 3847) e dal Dialogo di maestro Domenico Benivieni, canonico di Sancto Lorenzo, della verità della doctrina predicata da fr. Hieronymo da Ferrara nella ciptà di Firenze (Firenze, Bartolomeo de' Libri, 1497: cfr. Gesamtkatalog, III, 3846).
Nel primo scritto il B., dopo aver tracciato un fosco quadro delle condizioni morali e religiose di Firenze negli ultimi anni della signoria dei Magnifico, e aver stigmatizzato la larga diffusione dell'incredulità, di atteggiamenti paganeggianti e di credenze astrologiche, e la profonda decadenza dei costumi ("la città era piena di infidelità e di peccati, di usure e di sodomie, di giochi e di altre iniquità..."), esaltava l'opera purificatrice di fra, Gerolamo e dei suoi seguaci. Nell'Epistola, invece, confutava gli attacchi e le condanne opposte alle "profezie" del Savonarola, respingendo l'accusa che il frate si fosse rifiutato di recarsi a Roma per giustificarsi di fronte al pontefice e sostenendo il pieno diritto a intervenire nella lotta politica e a indicare e prescrivere la migliore: forma di governo per Firenze. Infine, nel Dialogo, il B. svolgeva una minuziosa apologia della predicazione e della profezia savonarolianas e, mentre citava i diversi difensori del frate, dal francescano bosniaco Giorgio Drachisich (Giorgio Benigni de' Salviati) a Bartolomeo Scala, da Giovanni Nesi a fra' Paolo da Nola, attaccava alcuni libelli antisavonaroliam che correvano per Firenze e per la Toscana. E tra questi insisteva particolarmente su di un libretto dal titolo Italia, che conteneva le accuse più gravi e infamanti. Agli avversari del Savonarola il B. rispondeva che tutte le loro condanne e le loro ingiurie rappresentavano soltanto la reazione di coloro che si sentivano minacciati dal programma piagnone di un integrale ritorno alle vere virtù cristiane; e che, in particolare, esprimevano la rabbiosa difesa di quei preti e frati corrotti contro i quali batteva principalmente la predicazione savonaroliana e piagnona.
Concetti non diversi ispiravano anche la sua prefazione alla versione volgare del De virtute fidei in Dominicae crucis triumphum del Savonarola (Libro della verità della fede cristiana, sopra el glorioso triompho della croce di Cristo, Firenze 1497; cfr. Hain, Repertorium bibliographicum, n. 14345), nella quale egli esortava l'intera umanità a render grazie a Dio che si era degnato di esporre nuovamente le verità della fede cristiana e rivelare le vicende future della cristianità per bocca di un "verace profeta". Ed è probabile che avesse lo stesso tono e il medesimo contenuto (se pure non s'identifica con una delle precedenti) l'operetta perduta De fide che il savonaroliano e ficiniano Giovanni Nesi gli attribuisce nel suo Oraculum de novo saeculo (1496).
Così legato al Savonarola, il B. si trovò naturalmente coinvolto nelle drammatiche vicende che portarono al supplizio del frate; e subì le persecuzioni che toccarono ai suoi discepoli dopo il rogo del 23 maggio 1498. Agli inizi del '98 egli veniva ancora ufficialmente esonerato dalla partecipazione al coro della sua basilica per poter assistere alle prediche del domenicano, ma già pochi giorni dopo, il 16 febbraio, veniva esteso anche ai canonici di S. Lorenzo, e a lui in particolare, il divieto, già comminato ai canonici della cattedrale fiorentina, di ascoltare il frate ribelle, sotto la pena di perdere per un anno le "distribuzioni" connesse al loro Ufficio. Il 2 marzo gli veniva addirittura intimato di non presentarsi più in coro, se non si fosse fatto prima prosciogliere dalla scomunica che colpiva i seguaci del Savonarola. Tuttavia le persecuzioni più gravi vennero dopo la morte del frate. Secondo la narrazione di Pietro Parenti (J. Schnitzer, Savonarola nach den Aufzeichnungen des fiorentiners Piero Parenti, in Quellen und Forschungen zu Gesch. Savonarolas, IV, Leipzig 1910, pp. 283 ss., sotto la data del maggio 1498), il generale dei domenicani, Giovacchino Torriano, citò il B. e Iacopo Mannelli a comparirgli innanziper giustificare il loro atteggiamento favorevole al Savonarola; e li fece poi "sostenere in Palazzo", lasciandoli liberi solo dopo il pagamento di una considerevole ammenda.
Nonostante queste persecuzioni il B. si mantenne fedele ai suoi ideali savonaroliani, che continuarono a ispirare anche la sua attività di direttore spirituale di alcune religiose. E par certo che egli fosse in rapporto anche con quei più accesi piagnoni che si riunirono in una specie di conventicola settaria (la setta degli "unti") intorno a un giovane orafo fiorentino, il "profeta" Pietro Bernardo. Non a caso nel settembre dell'anno1501 Giovan Francesco Pico (protettore del Bernardo, da lui ospitato alla Mirandola, dopo che era stato costretto a fuggire da Firenze) indirizzava proprio al B. la sua Operecta... in defensione della opera di Pietro Bernardo da Firenze servo di Iesu Cristo (contenuta nel cod. Magl. Gadd. XXXV, 116, della Bibl. Naz. di Firenze, cc. 104-116, ed edita a cura di P. Cherubelli, Firenze 1943), nella quale non solo difendeva il nuovo "profeta", degno erede del Savonarola e continuatore della sua opera, ma esortava il B. a concedergli la sua guida spirituale. Non possediamo la risposta del B., e non è possibile precisare quali fossero i rapporti tra il canonico di S. Lorenzo e il Bernardo, che, del resto, doveva morire dopo poco più di un anno, arso sul rogo alla Mirandola conquistata dalle truppe di Ludovico Pico.
Gli ultimi anni di vita del B. furono dedicati a opere di pietà e alla composizione di operette devozionali. Benedetto de' Riccardini, che gli dedicò nel 1506 la sua edizione delle Tragedie di Seneca, edite dai Giunti, parla infatti di due scritti: la Lucerna religiosorum e i Commentarii in Sacros omnes Ecclesiae Hymnos, che il B. stava portando a compimento. Ma di queste operette ci è pervenuta solo la seconda che, ancora incompleta, figura, con il titolo di Expositio supra hymnos totius anni Dominico Benivieni interprete, nel ms. 44 del fondo Gianni-Mannucci (già Leonetti) dell'Archivio di Stato di Firenze (P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, London-Leiden 1963, p. 64), manoscritto che reca l'ex libris di Gerolamo Benivieni.
Il B. morì il 3 dicembre del 1507 (Arch. di Stato di Firenze, Arroti 1508-9, San Giovanni, Vaio, 2, c. 134).
Il fratello Girolamo gli dedicò in morte un sonetto, raccolto nella edizione delle sue Opere (Firenze, Giunti, 1519), dove è pure edito un sonetto dello stesso B. (c. 120).
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti cit. nel testo sono import. le biografie di Girolamo Benivieni contenute nel cod. ILI.gi (già Magl., VII, 746) della Bibl. Naz. di Firenze (cc. 231-278), nel cod. misc. A. CXXXVII della Bibl. Marucelliana di Firenze e nel ms. Gianni, n. 43, dell'Arch. di Stato di Firenze. Inoltre: M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, pp. 49 s.; F. L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, p. 182; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Firenze 1729, pp. 149 s.; G. Cinelli-Calvoli, Biblioteca volante, Venezia 1734-1735, I, p. 135; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 858860; A. Fabroni, Historia Academiae pisanae volumen primum, I, Pisis 1791-95, pp. 335-37; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 2, Modena 1790, p. 850; D. Moreni, Continuaz. delle mem. istor. dell'ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo di Firenze, Firenze 1817, I, pp. 154 s.; II, pp. 198-203, 207-208; F. Inghirami, Storia della Toscana, XII, Fiesole 1843, pp. 227 s.; P. Villari, La storia di G. Savonarola e de' suoi tempi, Firenze 1898. 1, pp. 183, 337. 444; II, pp. CCXXX (citaz. del B. nei processi di fra' Domenico Buonvicini e fra' Silvestro Maruffi); A. Della Torre, Storia della Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 23 29, 84, 757, 760, 771 s., 783, 792; A. Pellizzari, Un asceta del Rinascimento... (estr. dal Giorn. stor. e lett. della Liguria, VII [1906]), Genova 1906, p. 7; C. Re, G. B. fiorentino, Città di Castello 1906, pp. 46-55; J. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, I, passim; II, pp. 13, 50, 162, 267, 518, 556; E. Garin, G. Pico della Mirandola. Vita e dottrina, Firenze 1937, pp. 30, 92; R. Ridolfi, Vita di G. Savonarola, Roma 1952, I, pp. si, 52, 65, 223; II, p. 102; P. O. Kristeller, Studies in Renaissance thought and letters, Roma 1956, P. 108; E. Garin, La cultura filosofica del Rinasc. ital., Firenze 1961, pp. 261, 266; C. Vasoli, L'attesa della nuova era in ambienti e gruppi fiorentini del Quattrocento, in L'attesa dell'età nuova nella spiritualità della fine del medioevo, Todi 1962, pp. 400-402; Id., Pietro Bernardino e Gianfrancesco Pico, in L'opera e il pensiero di G. Pico della Mirandola..., Firenze 1965, pp. 281-299.