BALESTRIERI, Domenico
Nacque a Milano da Giuseppe e da Isabella Maganza il 16 apr. 1714, ultimo figlio di una famiglia numerosa che contava un altro poeta: Carlo Giuseppe, sacerdote e autore di facili versi per monacazioni. Fece i suoi primi studi nelle scuole Arcimbolde sotto la direzione dei chierici regolari di S. Paolo e poi a Brera, convittore del collegio Calchi, fino al compiersi del corso di filosofia. Avviato dal padre alla carriera legale, fu per sua inclinazione tanto renitente a questi studi quanto portato per quelli letterari. Ma le circostanze della famiglia (il 10 ott. 1745 perse il padre, la cui figura il poeta ricorderà in vari componimenti; la madre era morta l'11 sett. 1727) lo obbligarono a procacciarsi un modo di sussistenza accettando un impiego statale: così nel marzo del 1746 fu eletto cancelliere del magistrato ordinario per l'annona presso la Regia Ducale Camera. Da allora la vita dei B. si svolse quieta, per buona parte del secolo, al centro degli interessi culturali della sua città, assorbita soprattutto dall'amore per la poesia, in specie per quella del Parnaso dialettale. Lo troviamo così impegnato in uno degli ambienti letterari più vivaci della Milano del Settecento, quell'Accademia dei Trasformati, di cui egli fu, insieme al conte Giuseppe Maria Imbonati e all'amico C. A. Tanzi, uno dei primi e più zelanti restauratori e, dal 1743 al 1768, quanto durò l'attività accademica, socio tra i più alacri.
Colto, arguto, mite, intorno alla sua paciosa e rotonda figura di galantuomo si spuntano le angolosità delle fazioni letterarie e dei temperamenti più impulsivi, come avvenne nel corso della polemica antibrandiana, nella quale si schierò naturalmente dalla parte del Parini: il che significava per il B., oltre alla difesa di una tradizione, la pronunciata asserzione di un moralismo dialettale che sarà proprio anche della prima generazione romantica. Nella ricca vita di relazioni che intrattenne ebbe amici letterati tra loro inimicissimi (per citare qualche nome: il Baretti, il Parini, il Verri) e, natura sensibile ai benefici, godette dell'affettuosa stima e protezione dei più ragguardevoli mecenati delle lettere lombarde (dal canonico Agudio al marchese Recalcati, dal card. A. M. Durini all'arcivescovo Pozzobonelli), ai quali pagò il tributo di una messe non scarsa di dediche e di versi encomiastici.
Il 10 ott. 1747 aveva sposato Rosalia Casati, milanese, dalla quale, come scrive il Cherubini, nella prefazione all'edizione delle opere del B., ebbe "gentile ed onorata prole". Morì l'11 giugno 1780.
"Varon, Magg, Balestree, Tanz, e Parin": così, a guisa di blasone della sua poesia, Carlo Porta indica, in un sonetto occasionale, la "linea" della più illustre tradizione letteraria milanese tra il Cinque e il Settecento. E in vero, dopo Carlo Maria Maggi e prima del Porta, il B. fu l'"artefice e rappresentatore indubbiamente più fecondo e vario e pieghevole del verso e del carattere milanese" (come ebbe a dire il Carducci), tanto che la sua morte fu compianta in versi milanesi dal Parini (nel sonetto "Sta flutta milanesa on gran pezz fa") e in ottave italiane da Pietro Verri che immagina il poeta accolto sulla soglia dell'Eliso dallo stesso Maggi. Il B. raccoglieva così, da morto, l'omaggio, che non gli era mancato anche prima, della cultura milanese più progredita, della quale aveva egli stesso contribuito a promuovere il rinnovamento.Il suo stato di servizio attivo nel campo delle lettere è largamente documentato dai molti volumi di versi da lui dati alla luce in mezzo secolo: dalla celebre raccolta Lagrime in morte di un gatto (Milano 1741), cui chiamò a collaborare gran parte della repubblica letteraria dell'Italia settentrionale (per un pubblico compianto di un suo gatto defunto, ma ovviamente per giocoso intento satirico contro il costume delle raccolte poetiche), a quel primo libro di Rimm milanes de Meneghin Balestreri Accademech Trasformae (Milano 1744), dove è già l'aspetto più autentico della sua personalità.
Continuatore del Maggi (tanto da assumerne due versi ad epigrafe e da inserirne molti altri, ad intarsio, nella prefazione in dialetto premessa al libro), in lui, incline per temperamento, e anche per convinta accettazione delle norme di un amabile fair play,a non approfondire, al di là dell'arguzia e della moralità, le naturali disposizioni all'osservazione del costume, la poesia milanese si sveste del rigorismo morale del Maggi, che le aveva impresso la severità di un barocco arretrato al Medioevo, e si illeggiadrisce nella sciolta grazia di una società e di una natura briose e conversevoli. Ma intanto il dialetto, come strumento espressivo si affina, si fissa in un'ortografia, tanto più attenta alla realtà fonetica, che resterà pressoché immutata fino alle esperienze novecentesche, si arricchisce e insieme si distende in una naturalezza discorsiva che gli conferisce il carattere di lingua letteraria e insieme di lingua parlata; sicché alla generazione del Porta e del Manzoni, impegnati nel grande problema di un rinnovamento della lingua della tradizione scritta in funzione di una nuova coscienza dei rapporti tra lo scrittore e la sua società, il milanese, anche nel ricordo delle cose migliori del B. e del Tanzi, si offrirà come un invito (e un'indicazione) dei più immediati e persuasivi. Naturalmente, anche all'interno di una letteratura in dialetto, sarà la più intensa partecipazione morale, l'impegno umano più profondo che conferirà alla parola un valore di espressione poetica pregnante e assoluta: donde, a riprova, l'intraducibilità di un Porta e la traducibilità di un B. o di un Grossi, che furono avvicinati tra loro dal Carducci, e donde anche l'impresa, intermessa da un Porta dopo pochi canti, e condotta invece a compimento dal B., di travestire in dialetto uno dei grandi poemi in lingua. Per diciassette anni, infatti, riuscì al settecentista di portare innanzi la traduzione della Gerusalemme liberata,che uscì a Milano nel 1772 e fu salutata da tutti (tra gli altri dal Baretti che ne discorre in termini di entusiasmo in una lettera da Londra a don Francesco Carcano, del 31 ag. 1780) come l'opus magnum del Balestrieri.Natura di letterato, il ruolo di traduttore gli si confaceva tanto da affrontare, su invito del Parini, anche i testi lirici di Anacreonte. Nelle cose più sue, invece, la felicità dell'ingegno e l'elegante disinvoltura del verso scadono spesso a facile variazione su tema obbligato, ad una eloquenza che tiene più della dilettazione, dell'esercizio stilistico, che del dono di una poesia anche minore. È l'impressione che si ricava dalla lettura di molte pagine della scelta di Rime toscane e milanesi che il B. mise insieme sulla fine della sua vita (voll. 6, Milano 1774-1779). Mentre nelle novellette e negli epigrammi che furono stampati, postumi, dalla figlia del poeta (Rime milanesi di D. B.,Milano 1795) il modello letterario delle favole esopiane o dei Contes di La Fontaine si impone alla natura esuberante dello scrittore, riuscendo queste ultime cose "tanto più saporite quindi, quanto contro il solito corte": che è giudizio finissimo del Carducci, che al B., così come a tutta la vita culturale intorno a lui, dedicò un importante capitolo dei suoi studi sul Parini.
Edizioni: Le prime edizioni in volume dei versi del B., oltre la raccolta di vari autori intitolata Lagrime in morte di un gatto,sono le seguenti: Rimm milanes de Meneghin Balestreri Accademech Trasformae,Milano 1744; La Gerusalemme Liberata travestita in lingua milanese da D. B.,Milano 1772 (se ne ebbero due edizioni nello stesso anno, una, in folio,in un solo volume, l'altra, minore, in quarto); Rime toscane e milanesi di D. B.,Milano 1774-1779, voll. 6 (il primo presso G. B. Bianchi, il quinto e il sesto presso l'I. Monastero di S. Ambrogio Maggiore; gli altri senza indicazione tipografica); Rime milanesi di D. B.,Milano 1795 (edizione postuma a cura della figlia Giuseppa Parea). In opuscoli, editi nel 1760 da A. Agnelli, videro invece la luce i versi con i quali il B. prese parte alla nota disputa letteraria suscitata dal primo e secondo dialogo Della lingua toscana del padre Onofrio Branda, Milano 1759: La Badia di Meneghitt a consulta sora el Dialegh de la Lengua Toscana; El Cangeler de la Badia di Meneghitt a l'autor del segond Dialegh de la Lengua Toscana; Spassatemp del Tizziroeù e del Mennapaes Capp de la Badia di Meneghitt sora la Resposta con l'annotazion e la Poscritta al Scior Abbae Parin de l'autor di duu Dialegh de la Lengua Toscana; La Camaretta di Meneghitt in conversazion sora dò letter, vuna del Scolaer al Scior Abbae Isepp Parin, l'oltra del Maister al Scior Carl'Antoni Tanz. Un quinto testo che circolò manoscritto, la commedia intitolata ElSganzerlon in cà del Vespa al Borgh di Ortolan, fu edita più tardi, insieme a tutte le opere milanesi del B., da Francesco Cherubini (ma con ammodernamenti linguistici) nei voll. V-VIII della sua nota "Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese", Milano 1816. Dopo di allora, a non tener conto delle ristampe di qualche testo in scelte antologiche (come la Antologia meneghina di F. Fontana, Milano 1915, o il volume dedicato ai Lirici del Settecento,a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959), i versi del B. non hanno più avuto nuovi editori.
Bibl.: Se si eccettuano le pagine, puramente informative, che al B. sono dedicate da G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 166-69 (e, per la disputa col padre Branda, sotto il nome di questo, II 4, ibid. 1763, pp. 200 ss.; cfr. inoltre G. Boffito, Scrittori barnabiti, I, Firenze 1933, pp. 333 ss., e G. B. Salinari, Una polemica linguistica a Milano nel sec. XVIII,in Cultura neolatina, IV-V [1944-45], pp. 64 ss.), le sole note critiche di Qualche rilievo sono Quelle dei Carducci (L'Accademia dei Trasformati e Giuseppe Parini,in Opere,ediz. naz., XVI, pp. 53 ss., in particolare le pp. 99-119). Notizie sul B., con qualche spunto di giudizio, si possono naturalmente trovare in tutti i lavori che trattano della letteratura milanese, dalla cit. Antologia Meneghina del Fontana (I, pp. 186-204) alla Letteratura milanese dagli albori ai nostri giorni di L. Medici, Milano 1947, pp. 133-61.