BRACCI, Domenico Augusto
Nato a Firenze nel 1717, rimase in patria sino all'età di trent'anni, vi compì i suoi studi e vi ebbe talune cariche pubbliche, occupandosi nel frattempo di disegno e di architettura, e soprattutto di antichità. Quest'ultimo interesse finì col portarlo a Roma (fra il 1747 e il 1749): e qui ebbe il suo posto, o meglio, il posto che gli era più congeniale, nella schiera di "antiquariuoli" e delle guide per visitatori stranieri.
Non volle restare digiuno di storia dell'arte e fermo nel proponimento di seguire le strade di Ph. von Stosch intraprese lo studio di gemme e cammei. S'iniziava, così, nel 1756 la tormentata fatica del B. di raccolta, descrizione e commento dei cammei e delle gemme con iscrizione del nome dell'incisore. Nobili "forestieri", in ispecie gli Inglesi (i suoi "protettori") da lui accompagnati nelle visite a Roma, a Napoli, ad Ercolano, sottoscrivevano per la memoria, che il B. aveva in animo di stampare. Il pagamento di 10 zecchini assicurava a essi la dedica di uno dei rami, che il B. faceva successivamente incidere (su disegni di G. Casanova e di G. Savorelli) a C. Gregori, a S. Pomarede, a P. A. Pazzi, a F. Bartolozzi.
L'anno prima, il 18 nov. 1755, era arrivato a Roma J. J. Winckelmann. Favorevolmente conosciuto nei circoli romani, il Winckelmann, che andava procurandosi la più grande esperienza diretta di monumenti classici sul materiale statuario, della collezione Albani e di quelle Vaticana e Capitolina, veniva spesso sollecitato a prestarsi, anche lui, come guida dei ricchi forestieri venuti a visitare e Roma e l'Italia. Con lo studioso tedesco il B. non fu mai in buoni rapporti. Il Winckelmann anzi lo disprezzava e ne scriveva, allo Stosch come di un uomo dappoco, di un "povero diavolo", che pure apriva la schiera dei suoi nemici (lettere del 10 dic. 1757, del 14 giugno e del 4 ott. 1760, pp. 166, 326). Nella Description des pierres gravées du feu Baron de Stosch pubblicata a Firenze nel 1760 si riferiva, ancora, agli studi del B. con ironia e con malizia.
Il contrasto fra il B. e il Winckelmann, doveva giungere al culmine nel 1763, quando la Camera apostolica si apprestava, ad attribuire allo studioso tedesco quella carica di commissario alle antichità, cuì anche il B. aspirava, ma che non ebbe per lo scarsissimo aiuto dei suoi "protettori" inglesi. Il Winckelmann, inoltre, non solo non aveva una buona opinione degli studi del B., ma non credeva neppure all'eventualità d'una loro pubblicazione, soprattutto una volta che l'autore era stato derubato di un buon numero di disegni e di rami (lettere a J. A. Berg del 20 maggio e del 25 luglio 1767). Di questo furto parla anche il B. nella introduzione alle sue Memorie (p. XV) come di una delle cause, la più importante, che ritardarono l'edizione dell'opera, già terminata nel 1768. Dieci anni più tardi il B., che aveva dovuto lasciare Roma nel 1769 e ritornare a Firenze, ritrovò con l'aiuto di Monsignor P. F. Foggini una gran parte dei rami al Monte di pietà, dove era stata impegnata. Riscattati i rami rubati, il B. poté finalmente accogliere le esortazioni di A. Fabroni e di A. Percy a far incidere i disegni mancanti e ad approntare definitivamente il testo per la stampa.
Intanto pubblicava a Lucca per i tipi del Venturini (1771) una dissertazione sul missorium di argento di Flavius Ardabur Aspar, console per l'Occidente nel 434, già conservato nella Collezione di Pietro Leopoldo e ora al Museo archeologico di Firenze (Dissertazione sopra un clipeo votivo spettante alla famiglia Ardaburia,trovato l'anno MDCCLXIX nelle vicinanze di Orbetello...): un testo prolisso, recensito dalle Novelle letterarie di Firenze dell'8 giugno 1771, cui il B. fece precedere un'ampia nota introduttiva con la quale, tre anni dopo la morte del Winckelmann, poteva finalmente difendersi dai vecchi giudizi di questo, non sempre a torto (la polemica del Winckelmann era stata almeno in due casi, citati dal B., del tutto priva di fondamento), ma con acredine e imperizia tali, che gli attirarono le critiche e i biasimi del Journal encyclopédique del 5 maggio 1772 e del Journal des Sçavans del marzo 1774 (p. 595). Ne scriveva anche con sdegno Ch. J. Jagemann a Ch. G. Murr in una lettera del 24 genn. 1772: il comportamento del B. era a dir poco riprovevole, e se egli ardiva scrivere del Winckelmann che non capiva nulla di arti figurative, era da dire che il B. era totalmente incapace d'intendere una sola parola di greco (medesimo tono, nelle più tarde note di C. Fea all'edizione romana della Storia delle arti del disegno, Roma 1783-84, II, p. 309; III, pp. 248-249, 442, 446, 448).
Ma il B. doveva continuare per più di dieci anni a lamentarsi delle ingiustizie subite da parte del Winckelmann, fino a veder finalmente stampate le sue lagnanze nell'introduzione a entrambe le parti della sua maltrattata raccolta. Nel 1784 e nel 1786 uscivano, infatti, a Firenze presso il Cambiagi il primo e il secondo volume delle Memorie degli antichi incisori che scolpirono i loro nomi in gemme e cammei... In magnifica veste tipografica l'opera è dedicata a Gustavo III di Svezia e reca a fronte la versione latina del testo a cura di G. Sarchiana (Commentaria de antiquis scalptoribus). Di poco valore e di costo eccessivo i volumi del B. si dimostrarono addirittura superflui in Italia e all'estero. I giudizi, che vi s'incontrano non superano il livello d'indicazioni generiche, da cicerone, come "eccellente, sorprendente, mediocre" (Justi). La sua erudizione consisteva soltanto nel fornire notizie del tutto oziose su ogni nome di personaggio mitico o storico. Privo delle nozioni più elementari in materia di storia, ignorava completamente il greco; confondeva cognomi e patronimici; chiamava Pantheon il tempio di Minerva Medica. Se un merito può essere attribuito al B. questo si trova nel decisivo riconoscimento di falsificazioni moderne di gemme e cammei: in questo caso il suo giudizio, contro ogni pretesa del Winckelmann, era preciso e gli derivava dalla sua attività di cicerone e dalla pratica, che egli aveva, del commercio antiquario (ibid.). Un terzo volume dedicato alle "vite degli artefici di pietre dure, gemme e cammei dal ristabilimento dell'arte sin a' giorni nostri" non fu mai scritto, come non furono scritti la Descrizione di Roma antica, la Vita di Giulio Cesare e un De notis Graecorum, di cui dà notizia il Mazzuchelli come di opere in progetto. Mancavano al B. solide basi scientifiche e la necessaria costanza nella ricerca, sicché mutava assai spesso proposito né concludeva quanto aveva iniziato. In età avanzata si accinse a scrivere una Storia delle Belle Arti e una Storia degli elefanti: quest'ultima era ancora in cantiere nel 1793.
Il B. morì a Firenze il 30 marzo 1795. Suppellettili e carte manoscritte furono vendute all'incanto.
La nomina a socio della Royal Society of antiquaries di Londra (che il B. ricorda in ambedue i frontespizi della Dissertazione... e delle Memorie...), la richiesta in Spagna dei ritratto che R. Mengs ne aveva fatto, le tre medaglie coniate in suo onore, se dicono della notorietà del B. in Italia e all'estero, non dicono nulla del suo valore, che resta quello di un erudito tutto sommato mediocre, privo di capacità di giudizio in fatto di gusto e di arte, corrivo pertanto a grossolani errori di valutazione.
Fonti eBibl.: J. J. Winckelmann, Briefe, a cura di W. Rehm e di H. Diepholder, Berlin 1952-1957, I, p. 317; II, pp. 89, 101, III, pp. 262, 294; IV, p. 226; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 1946; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 172-173; F. Inghirami, Storia della Toscana, XII, Fiesole 1843, p. 321; J. W. Goethe, Werke, XLVI, a cura di A. Michaelis-O. Harnack, Weimar 1891, pp. 70-71; A. Furtwängler, Die Antiken Gemmen, III, Leipzig-Berlin 1900, pp. 419-420; H. G. Hatfield, Winckelmann and his German critics, New York 1943, pp. 120, 141; K. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, II, Leipzig 1943, pp. 54 ss.