GIOVINAZZI, Domenico Antonio
Nacque a Castellaneta (presso Taranto), da Andrea e da Felice Antonia Mazaracchio, poco prima del 14 apr. 1693, data alla quale il suo nome figura nel registro parrocchiale dei battezzati.
Nel 1717 era già ordinato sacerdote, nell'Ordine domenicano, con il grado di collegiale, cioè studente scelto dai superiori affinché completasse gli studi, in vista di un incarico di lettore. Si trovava allora nel convento di Putignano ed era coinvolto in una questione disciplinare di non piccola entità, dato che era stato chiuso nel carcere del convento. Il carteggio tra i suoi superiori e il generale dell'Ordine riguardo questo episodio non tramanda il motivo della punizione. Fatto sta che il G., verso la fine del 1717, fuggì dal carcere e abbandonò la Puglia per rifugiarsi a Napoli, resistendo alle intimazioni a ripresentarsi al convento. Chiese invece di recarsi a Roma per essere lì assolto dalle censure in cui era incorso, ma il permesso gli venne negato. L'ultimo accenno su di lui nel carteggio data 26 marzo 1719 e si tratta di un'esortazione al provinciale di Puglia a richiedere al capitolo dell'Ordine un castigo severo nei confronti del G. e di altri frati responsabili delle stesse colpe.
Il G. maturò così la decisione di lasciare l'Ordine e su di lui non abbiamo notizie fino al 1723, quando si trovava nel Cantone dei Grigioni e poi a Zurigo. Qui chiese di essere ammesso nella religione riformata, dichiarando nella supplica alle autorità cittadine di avere maturato la decisione di abbandonare la religione cattolica già durante il soggiorno napoletano. Le ragioni profonde di questa conversione restano oscure, ma il G. fu accolto nella nuova fede, si stabilì a Zurigo e prese moglie. Il gran numero di proseliti che abitavano nella città rendeva, però, difficile procacciarsi qualche aiuto, cosicché il G. si trasferì presto, in condizioni economiche modestissime, a Francoforte, dove era una florida comunità italiana e una vita culturale vivace. Qui egli sperava di trovare una sistemazione come insegnante di lingua. Indirizzò una supplica alle autorità cittadine per ottenere il permesso di stabilirsi nella città e di esercitarvi l'insegnamento, ma il 2 marzo 1724 la richiesta venne respinta; stessa sorte ebbero una seconda richiesta, esaminata il 16 maggio dello stesso anno, e una terza, del 30 maggio. Ciononostante, il G., grazie alla protezione di personaggi influenti e in virtù della sua buona formazione culturale, cominciò a dare lezioni e riuscì a ottenere la sospirata autorizzazione alla fine del 1725, o all'inizio del 1726. Ciò accrebbe la sua reputazione e il G. poté migliorare la sua condizione economica. Nel 1735, mortagli la moglie, prese in sposa una trentenne, figlia di un gioielliere olandese, godendo quindi dell'appoggio della fiorente comunità olandese di Francoforte.
Tra gli allievi del G. fu Johann Kaspar Goethe, padre di Wolfgang, che si fece aiutare dal G. a redigere, in italiano, il suo Viaggio in Italia, resoconto del viaggio compiuto a Venezia, Roma e Napoli nel 1740. Il G. frequentò casa Goethe a lungo e insegnò l'italiano anche al giovane Wolfgang e alla sorella Cornelia: nei registri domestici nel triennio 1753-55 (quando il poeta era tra i quattro e i sei anni) è segnata per il G. una spesa di 10 fiorini per semestre, passati a undici dopo il 1760. In Poesia e verità Goethe ricorda il "vecchio sorridente maestro d'italiano", che si faceva apprezzare per le sue doti canore: "il vecchio cantava anche non male, e mia madre doveva adattarsi ad accompagnarlo tutti i giorni al piano: così imparai a memoria Solitario bosco ombroso ancora prima di capirlo" (p. 580; il testo cui Goethe si riferisce è una celebre canzonetta di P. Rolli).
Dopo il 1762 non si hanno più notizie del G. e nel 1771 il magistrato di Francoforte che si occupava degli stranieri residenti lo ricorda negli atti come morto da tempo, in miseria.
è difficile valutare l'influenza che il G. ebbe sul grande scrittore tedesco, che in effetti continuò anche dopo la sua scomparsa a coltivare l'italiano, componendovi versi e lettere e addirittura vagheggiando un libretto d'opera, La sposa rapita. Elisabeth Mentzel ha ipotizzato che il G. possa avere ispirato a Goethe, negli Anni di noviziato di Wilhelm Meister, il personaggio di Agostino l'arpista, padre della piccola Mignon, il quale conduce una vita errabonda per la Germania, ma proviene da un convento italiano a seguito di una tragica storia d'amore.
Fonti e Bibl.: J.W. Goethe, Opere, Firenze 1956, p. 580; E. Mentzel, Wolfgang und Cornelia Goethes Lehrer, Leipzig 1909; B. Croce, Putignano in Terra di Bari e il maestro d'italiano di V. Goethe (D. G.), Bari 1938.