dolore
Le droghe presenti nel nostro cervello
Per spiegare come il pensiero e le emozioni influenzino la nostra percezione del dolore lo psicologo canadese Ronald Melzack (1929) e il neurofisiologo britannico Patrick Wall (1925-2001) proposero, negli anni Sessanta del secolo scorso, l’esistenza di un ‘cancello’ nelle corna posteriori del midollo spinale. In questa zona, fibre nervose di piccolo calibro (dette fibre nocicettive) e fibre nervose di grande calibro (dette non nocicettive) stabiliscono sinapsi con i neuroni di proiezione che formano il tratto spino-talamico e con interneuroni inibitori localizzati nella sostanza gelatinosa di Rolando (SG). Le afferenze nocicettive aprono il cancello, perché inibiscono l’interneurone inibitorio SG: le informazioni raggiungono pertanto i centri di riconoscimento. L’attivazione del neurone inibitorio SG da parte di uno stimolo non nocicettivo, tattile inibisce i neuroni di proiezione, chiude il cancello e il segnale viene trasmesso in forma attenuata o non trasmesso del tutto ai centri superiori. Perciò, una modalità per chiudere il cancello è di stimolare i recettori tattili della cute nell’area del dolore. Questo risultato si può ottenere attraverso la stimolazione elettrica transcutanea del nervo o tramite l’agopuntura. L’interneurone inibitorio SG può essere attivato anche da fibre discendenti che provengono dal sistema di modulazione centrale formato da strutture coinvolte nei processi cognitivi, affettivi e legati allo stato di vigilanza del soggetto.
Nei circuiti nervosi di modulazione del dolore vengono prodotte sostanze molto simili a quelle che per millenni gli esseri umani hanno assunto per sedare il dolore. Le proprietà analgesiche dell’oppio (Papaver somniferum) e dei suoi derivati, quali la morfina, e della marijuana (Cannabis sativa), erano note sin dall’antichità.
Negli anni Settanta del secolo scorso una clamorosa scoperta ha provato che gli oppiacei agiscono legandosi strettamente e selettivamente con vari tipi di recettori specifici nel cervello, detti recettori oppiodi. Questi sono di tre tipi: μ, δ e κ. La loro scoperta ha indotto a formulare l’ipotesi dell’esistenza di sostanze di natura endogena in grado di legarsi a tali recettori. Queste sostanze sono state successivamente isolate e identificate come peptidi. Esse sono simili alla morfina e sono chiamate genericamente endorfine o peptidi oppiodi endogeni. Esistono tre classi di endorfine: le encefaline, la β-endorfina e le dinorfine. Tutte contengono una sequenza comune di quattro amminoacidi (Tyr-Gly-Gly-Phe) e tutte derivano da precursori di dimensioni maggiori codificati da tre geni distinti. Per esempio, la β-endorfina deriva dal POMC (propiomelanocortina), un precursore che contiene anche le sequenze per l’ormone MSH, che stimola i melanociti, e per l’ormone ACTH, l’ormone dello stress. La β-endorfina condivide con l’ACTH gli stessi ritmi circadiani, con un picco massimo di produzione al risveglio. Ciò spiega perché la tolleranza al dolore è maggiore al mattino. Le endorfine hanno di regola effetti inibitori che si realizzano con l’apertura dei canali per il potassio o con la chiusura dei canali del calcio nelle cellule bersaglio. Ciò provoca inibizione del rilascio di neurotrasmettitori, quali il glutammato e la sostanza P, da parte dei terminali delle fibre afferenti nocicettive, che pertanto non attivano le fibre di proiezione. Il principio attivo della Cannabis, isolato e identificato nel 1964, è il Δ-tetraidrocannabinoide. È stata dimostrata l’esistenza, nel sistema nervoso centrale e periferico, di recettori specifici per queste sostanze. Ne sono stati clonati due sottotipi (CB1 e CB2) e sono stati generati topi carenti dei geni sia per il recettore CB1 sia per il recettore CB2. L’attivazione del recettore CB1 ha un effetto inibitorio sui neuroni bersaglio e riduce la liberazione dei neurotrasmettori. L’attivazione del recettore CB2 inibisce nelle cellule bersaglio la liberazione di ossido nitrico (NO), un altro mediatore della comunicazione tra neuroni.
Nel 1992 è stato isolato dal cervello di maiale il primo endocannabinoide: l’anandammide, un ecasonide costituito dall’acido arachidonico legato all’etanolammina. Successivamente, dall’intestino di cane è stato isolato un altro endocannabinoide, il 2-arachidonilglicerolo. Il sistema cannabinoide controlla il dolore in modo simile a quello oppiode. Viene attivato nelle regioni di rilevanza per la percezione del dolore come la sostanza grigia periacqueduttale e nei tessuti periferici come la pelle. Avrebbe cioè un ruolo, in parte ancora da decifrare, sia nella trasduzione dell’impulso doloroso a livello periferico sia nell’elaborazione dell’informazione a livello centrale.
Non sempre gli stimoli che provocano dolore tendono a scatenare delle risposte di fuga e di evitamento. In molte specie animali la soppressione del dolore è necessaria durante comportamenti importanti come il combattimento o l’accoppiamento. I maschi che lottano per la conquista delle femmine durante la stagione degli accoppiamenti non potranno assicurare la trasmissione dei loro geni se il dolore scatenerà risposte di fuga che interferiscano con la lotta.