dolore
Nella prima attestazione della Commedia, appare, emblematico del luogo e della condizione, sulla porta dell'Inferno, in If III 2 per me si va ne l'etterno dolore, in stretta connessione con la città dolente del verso precedente e la perduta gente del verso seguente: qui l'accezione di " sofferenza fisica e morale " è tutta condizionata dall'attributo etterno, in quanto l'eternità non va intesa solo in senso strettamente temporale, ma in una dilatazione che fa identificare la sofferenza con l'essere stesso dell'anima, con la conseguente esclusione di ogni mutamento (Lasciate ogne speranza, v. 9), se non quello del ricongiungimento di anima e corpo (cfr. VII 56-57, X 11-12, XIII 103-108, ecc.) che comporterà un perfezionamento nell'ambito di quell'eternità. Subito dopo questa astrazione definitoria, il termine ricompare in un nesso, parole di dolore (v. 26), capace di significare in viva concretezza la sofferenza e la sua espressione. Si ricordi che questa degl'ignavi è una sofferenza sui generis, cioè priva del sigillo del vero e proprio mondo infernale (cfr. vv. 34-42); mentre quella dei limbicoli è duol sanza martìri, esclude la ragione fisica, e della ragione morale riguarda solo il desiderare senza speranza; sì che la doglia infernale comincia propriamente da quel secondo cerchio che men loco cinghia / e tanto più dolor, che punge a guaio (V 3), e ovviamente è nella pena fisica che essa trova la sua rappresentazione, come in XIV 39 onde la rena s'accendea, com'esca / sotto focile, a doppiar lo dolore. Come la sofferenza fisica e morale possa attuarsi in spiriti che hanno solo parvenza corporea, D. rimette al mistero dell'onnipotenza divina (cfr. Pg III 31-33), sebbene in s. Tommaso (Sum theol. III Suppl. 70) egli trovasse discusse le tesi patristiche e proposta la soluzione dell'arduo problema. È noto che il d. si aggrava, in rapporto all'aggravarsi della colpa, nella successione dei cerchi, com'è detto esplicitamente a proposito dei fraudolenti, in XI 27 però stan di sotto / li frodolenti, e più dolor li assale. Altre attestazioni di d. come sofferenza infernale, ma relativa a singole situazioni e personaggi, ricorrono in XIII 102 l'Arpie... / fanno dolore, e al dolor finestra, XIV 66, XVIII 84.
Significa genericamente, talvolta in correlazione con il suo opposto, " sofferenza ", " travaglio ", considerati in assoluto, come in Cv IV VI 9 la giustizia seguire, di nulla mostrare dolore, di nulla mostrare allegrezza; 11 (due volte), 12 (due volte) e XXVIII 4; e considerati in atto, come in If V 121 Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria (il Torraca nota che i due attributi nessun e maggior, " che non ammettono attenuazione né eccezione ", valgono a rinnovare e potenziare la sentenza, che, in quanto vera e ovvia, può aver precedenti in Virgilio, Boezio, s. Agostino, ecc., un richiamo ai quali non è da vedere nella postilla e ciò sa 'l tuo dottore [v. 123], che probabilmente si riferisce " all'esperienza attuale di Virgilio stesso, già glorioso e felice in vita, e ora nell'eterna pena del Limbo ", Chimenz). Così ancora in Pg VI 76 Ahi serva Italia, di dolore ostello, dov'è implicita la correlazione con la felicità, che potrebbe essere ‛ nel giardino dell'Impero ' se vi agissero secondo giustizia le due autorità; in Fiore CIX 12 Colui cui povertà tien in dolore, / convien che sia ladrone o muor d'envia (si ricordi la dolorosa povertade di Cv I III 5; il sonetto da cui si cita è tutto costruito, con una libera quanto efficace traduzione del testo biblico, sul motivo salomonico del " giusto mezzo ", dei Detti di Agur, Prov. 30, 7-9); CLI 6, CLXIX 4 (dove sono ancora contigui povertate e gran dolore), CCIV 14, Detto 332 ché Povertat'è insomma / d'ogne dolor la somma, dove ricorre ancora il binomio indicato.
Significa specificamente la sofferenza fisica, in Vn XXIII 11, If XXVII 12 con tutto che fosse di rame, / pur el pareva dal dolor trafitto; XXIX 46, Pg VI 151, Rime CIII 49 Elli mi fiede sotto il braccio manco / sì forte, che 'l dolor nel cor rimbalza; Fiore XXVI 8 e XCII 10, che hanno in comune l'espressione ‛ morire a gran d. ', e CXXVIII 3. Genericamente, con riferimento alla Morte... / di dolor madre antica, in Vn VIII 8 2.
Con il significato di " affanno ", " travaglio spirituale ", è attestato in If XXX 21 tanto il dolor le fé la mente torta, dove l'intensità della sofferenza conduce a quell'imbestiamento (forsennata latrò sì come cane, v. 20) che è proposto come termine di paragone del comportamento bestiale di Gianni Schicchi e di Mirra (vv. 25 ss.); XXXIII 5 disperato dolor che 'l cor mi preme / già pur pensando, 58 e 75: anche questo d. di Ugolino si lega, com'è noto, all'atto bestiale del rodere il cranio del nemico (co' denti, / che furo a l'osso, come d'un can, forti, vv. 77-78), ma per la natura di esso si veda la voce DISPERATO. Ancora come sofferenza morale, ricorre in Pg X 78 e 87, XV 95 con quell'acque / giù per le gote che 'l dolor distilla (cfr. If XXIII 98), Rime CIV 22 il nudo braccio, di dolor colonna (" si noti, qui e nel verso dopo, la velocità, che oggi diremmo simbolistica, del passaggio analogico ", Contini), e 43; Fiore CL 9, CLI 2.
Vale propriamente " contrizione ", in Pg V 127 la croce / ch'i fe' di me quando 'l dolor mi vinse, e XXIII 81. In Pd VI 41 al dolor di Lucrezia, d. è sintesi di tutto un dramma, significando contemporaneamente l'offesa e la sofferenza che ne deriva. In Rime CIV 30 di lei e del dolor fece dimanda, significa piuttosto " condizione dolorosa "; mentre in Fiore XCIV 9 chéd e' sarebbe troppo gran dolore, vale propriamente " sciagura " o " danno ". S'identifica con le lagrime che ne sono espressione, in If XXIII 98 quant'i' veggio dolor giù per le guance, e Pg XIII 57 per li occhi fui di grave dolor munto.
Nelle attestazioni della Vita Nuova il travaglio spirituale è provocato dalla partenza della donna dello schermo, in VII 3 3 guardate / s'elli è dolor alcun, quanto 'l mio, grave; dalla perdita del saluto di Beatrice, in XII 1 poi che la mia beatitudine mi fue negata, mi giunse tanto dolore; dalla morte del padre di Beatrice, in XXII 2 e 9 2; nelle rimanenti presenze esso nasce dal rapporto amore-morte, come in XXIII 27 71 Io divenia nel dolor sì umile, / veggendo in lei tanta umiltà formata, XXXI 1, 8 4, 14 51 (è la ‛ cattivella canzone ' che annunzia la morte di Beatrice: Ita n'è Beatrice in l'alto cielo, XXXI 10 15); XXXII 5 4, XXXIII 5 4, XXXV 5 4, XXXIX 3, 9 6.
Nelle Rime il d. è legato alla casistica amorosa: XLII 14 a mia coscienza pare, / chi non è amato, s'elli è amadore, / che 'n cor porti dolor senza paraggio; XLIV 12, LVIII 14, LXVIII 17, 24 e 50, LXXXVIII 9; come anche in Rime dubbie XV 9 Vedete, donna, s'io porto dolore, VII 14 e XIX 14, Fiore I 13, XXXVIII 4 e XLIII 11; appare personificato in Rime LXXII 4 ella menasse seco / Dolore e Ira per sua compagnia; ed è indicato come il vero nome di Amore, in Fiore XXXVII 11 E sì si fa chiamar il Die d'amore! / Ma chi così l'appella fa gran torto, / ché su' sornome dritto sì è Dolore.
Bibl. - V. Russo, Il ‛ dolore ' del conte Ugolino, in Atti del Convegno... D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 623-650.