DOLCIBENE de' Tori
Nacque a Firenze nella prima metà del sec. XIV. Di lui si sa solo che fu contemporaneo di Franco Sacchetti (nato tra il 1332 e 1334) e che fu un celebre buffone, anzi il re dei buffoni d'Italia.
Della sua eccellenza nella professione, semiriconosciuta e relativamente istituzionalizzata, di uomo di corte restano numerose testimonianze nella novellistica: nel particolare clima di orgoglio municipale, tipico del tardo Trecento, D. fu celebrato tra i fiorentini illustri.
Re dei buffoni e degli istrioni d'Italia D. fu effettivamente incoronato dall'imperatore Carlo IV di Boemia nel 1355. E di questa investitura si hanno numerose testimonianze non solo novellistiche, ma anche di cronache e di archivi.
Due volte ne parla Sacchetti (novelle CLIII, CLVI), affermando che D. "fu il da più uomo di corte che fosse già è gran tempo, e non sine quare Carlo di Buem Imperadore il fece re dei buffoni e delli istrioni d'Italia"; e ripete Giovanni Gherardi da Prato nel Paradiso degli Alberti (III, p. 61) che messer D. "cavaliere non di gatta, come molti dolorosi e infami per una minestra veggiamo spessissimo farsi, ma da Carlo di Luzzinborgo re de' Romani dell'onore della milizia ornato si fue, e da lui brevilegiato e re fatto di tutti i buffoni". E già Filippo Villani nel suo De origine civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus (1380-81): "a Karolo quarto romanorum imperatore in regem istrionum extitit coronatus" (Levi). Infine anche nell'Archivio di Stato di Modena (Reg. Litterarum Nicolai II Estensis, 1363-80, c. 20) un documento ufficiale di Nicolò II d'Este autorizza "dominum Dolcebene de Toris de Florentia istrionum regem, dilectum familiarem nostrum" a passare liberamente coi suoi cavalli e col suo seguito (Levi).
Sebbene riconducibile a scherzoso gioco di corte, di evidente tradizione carnevalesca, la nomina è percepita concordemente dai contemporanei come riconoscimento di eccellenza tra i giullari e di onorabilità, così come il titolo cavalleresco di D. viene costantemente opposto a quelli immeritati o acquistati col denaro. Non è da escludere che il riconoscimento sia andato anche alle sue virtù di musico, non solo "ottimo sonatore d'organetti, di leuto o d'altri stormenti", ma anche abile nel fare "sue canzonette in rittimi con parole molto piacevoli e intonandole con dolcissimi canti" (Il Paradiso degli Alberti, ibid.): intonatore forse di professione, nell'ambito dello sviluppo della musica profana trecentesca nelle corti del Nord come in Toscana.
Cortigiano "di assai virtù e astuzia", ricco e avvenente, fu celebrato da Franco Sacchetti, che ebbe con lui anche una corrispondenza poetica, in nove delle sue novelle. Il valore storico dei singoli particolari, come sempre per le fonti novellistiche, è relativo e poco accertabile, ma l'immagine dell'uomo e la particolare tensione professionale, bilanciata tra la bizzarria spettacolare del carattere e il continuo rinnovamento del repertorio e della popolarità sono rappresentate con notevole spessore: sempre dire "buffe" o motti, cercare "nuove sottigliezze di parole", giocare "con nuovi giochi", e con morsi, beffe, trovate, inventare "nuovi stili" per dar diletto ai signori (Sacchetti, novella X). E, attuata la trovata clamorosa, "guadagnare doni, raccontandola a' signori e ad altri", e sempre prima vivere e agire, poi narrare e far narrare "novelle tali da esaltare un suo pari", costruendo insomma un continuo echeggiamento spettacolare e sociale. E "mordere" temerariamente, e beffare e ingannare altrui; e schivare le vendette e spesso, moltiplicando l'insolenza e la temerità, guadagnare, con il riso dell'offeso, perdono e amicizia. E retribuzione. Con questi mezzi, parassita istituzionalizzato, "il piacevole messer Dolcibene in guadagno e sollazo vivea" (IlParadiso degli Alberti, ibid.).
D. non si allontana mai definitivamente da Firenze, dove sono localizzati i suoi affari e i suoi interessi. Vi dimora talvolta, vi torna regolarmente a vendere ai rigattieri le vesti e i doni di valore che riceve da signori e borghesi. Investe i proventi in un podere a Leccio in Valdimarina (Sacchetti, novella CXVII). Sebbene s'impegni molto, con l'aiuto della moglie, nella gestione dell'azienda agricola, quest'attività, come risulta dallo scambio di sonetti con Sacchetti, provoca scetticismo nell'amico, almeno a paragone con i ricavi della cortigiania in Lombardia. A Firenze non sospende la professione, le beffe, le larvate estorsioni. Ne ricava onore e guadagni prendendo di mira arricchiti avari e scortesi che coprono indegnamente cariche comprate, come il disonesto giudice babbeo da Rieti e messer Landuccio dei Bechi da Gubbio, che condannano gli innocenti beffati da D. (novella CXLV). Usuraio, quest'ultimo, "sfolgoratamente ricco", cavaliere a pagamento (più tardi podestà) a Firenze nel 1371 (novella CXLV, CLIII).
Ma il suo lavoro è soprattutto in ambienti lombardi, nelle corti della Valpadana. Dove si svolgono le sue memorabili azioni e dove a volte viene beffato e straziato, come spesso i suoi pari. Dove si muove con un cospicuo seguito di cavalli e di famigli da un signore all'altro. Sacchetti ne nomina alcuni: Francesco degli Ordelaffi a Forlì, Galeotto Malatesta e il nipote Malatesta Unghero, Francesco il Vecchio da Carrara a Padova. Della più importante delle corti del Nord, quella di Bernabò e Gian Galeazzo Visconti, parla il Gherardi nel Paradiso degli Alberti: D. vi sarebbe stato costretto a un clamoroso, ma naturalmente truccato, duello giullaresco con il buffone della corte carrarese di Padova Mellon dalla Pontenara. È significativo che in rapporto alla corte dei Visconti si ricordino le attività musicali di Dolcibene.
La sottocultura delle buffonerie, che tanta eco trova nel Trecentonovelle (dove d'altronde non è D. il buffone più celebrato), è scurrile, oscena, irriverente, né questo le impedisce di avere un seguito illustre nella letteratura umanistica di facezie e nella novellistica colta fino al Cinquecento. Anche la "disonesta" corrispondenza in sonetti scambiata con Sacchetti è un esempio di virtuosismo osceno. Nelle vendicative beffe e controbeffe della CLXXXVII novella sacchettiana - "se alcuno uomo di corte fu vendicativo e tenesse a mente, fu m'esser Dolcibene" - sarà invece forse possibile percepire un'eco della sua celebre inventività in "sottigliezze di parole" nel crudele gioco gastronomico e verbale dei topistornelli in crosta imbanditi per vendicarsi di un manicaretto di gattaconiglio.
Nel viaggio ai Luoghi santi compiuto in compagnia di Galeotto Malatesta e Malatesta Unghero forse nel 1349, pellegrinaggio che fu anche occasione di buffe irriverenti e di trovate di gusto antisemita (novella XXIV), D. non fu, secondo le parole di Sacchetti, "si scelerato che non componesse in versi vulgari una orazione alla nostra Donna che gli facesse grazie, raccontando tutti i luoghi santi che oltre mare aveva vicitato" (novella X).
Il testo è forse l'Ave o graziosa virgo pia, in endecasillabi rimati a coppie, pubblicata per la prima volta dallo Zambrini (Messer Dolcibene, Ave Maria, a cura di F. Zambrini, Bologna 1859) e più tardi dal Tortoli insieme con un secondo testo, Il Passiodel nostro Signore Geso Cristo composto per messer Dolcibene (Rime pie edite e inedite di messer Dolcibene, a cura di G. Tortoli, Firenze 1904). Non è chiaro se si tratti davvero di due testi distinti.
I due sonetti di risposta a Franco ("Franco mio dolce pianger mi convene" e "I' son venuto qua al pelatoio") sono inclusi nel Libro delle rime di Franco Sacchetti, insieme con i tre sonetti di Franco a D. ("Qual per ben dolce messer Dolcibene", "I' so ch'avete il capo nel fattoio" e "Assai vi frutta più il teren lombardo", databile forse al 1365).
La data più tarda in cui D. risulta indirettamente vivente è il 1371. Non si conosce l'anno della morte.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. Ashburnh. 942: F. Villani, Liber de civitate Florentiae famosis civibus, c. 37; F. Sacchetti, Il libro delle rime, a cura di P. Chiari, Bari 1936, pp. 114-116; Il Trecentonovelle, a cura di E. Faccioli, Torino 1970, novv. X, XXIV, XXV, XXXIII, CXVIII, CLIII, CLIV, CLXXXVII; G. Gherardi da Prato, Il Paradiso degli Alberti, a cura di A. Wesselofsky, Bologna 1867, III, pp. 61-62; F. Gabotto, L'epopea del buffone, Bra 1893; G. Volpi, Il Trecento, Milano 1896-1907, pp. 249-265; E. Gebhart, Conteurs florentins du Moyen Age, Paris 1901, p. 271; L. Di Francia, F. Sacchetti novelliere, Pisa 1902, pp. 147-155 e passim; E. Levi, Francesco di Vannozzo e la lirica delle corti lombarde durante la seconda metà del sec. XIV, Firenze 1908, pp. 109-110 e passim; Id., L'ultimo re dei buffoni, in Studi medievali, I (1928), pp. 173-180; V. Rossi, Le novelle di Sacchetti, in Scritti di critica letteraria, II, Firenze 1930, p. 238; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV. in der Zeit seiner zweiten Romfahrt, Prag 1930, I, p. 432; II, pp. 36, 236; E. Welsford, The fool. His social and literary history. London 1968, pp. p, 11, 25, 27.