DOFERIO (Doferius, Dauferius)
Nacque intorno al 1150 da una famiglia borghese di Caiazzo (Caserta), ma non si conoscono i nomi dei suoi genitori. Nella tradizione locale non esistono testimonianze che lo riguardino prima della sua elevazione al vescovato e pertanto nulla si sa della sua precedente carriera ecclesiastica.
Tra il 1181 e il 1183 D. divenne vescovo di Caiazzo, la cui piccola diocesi era suffraganea di Capua. Nel settembre del 1183 e nel marzo successivo, in qualità di vescovo, concesse certi fondi, ubicati vicino Caiazzo, di proprietà della mensa vescovile ad alcuni uomini della sua chiesa. Nel gennaio del 1184 assisté ad un procedimento giudiziario intentato dal monastero di Cava presso il rappresentante del camerario della Terra di Lavoro, Landolfo Pignatelli, per impedire che quest'ultimo incamerasse alla Corona delle terre appartenenti al monastero situate a Caiazzo.
Sebbene le testimonianze dell'operato di D. a Caiazzo riguardino soltanto questIoni d'interesse locale, la sua attività religiosa dovette ben presto acquisire notorietà anche oltre i confini della Terra di Lavoro. In una data compresa tra l'ottobre del 1188 e il maggio del 1189 il capitolo di Bari lo elesse a successore dell'arcivescovo Rinaldo, morto nel febbraio del 1188, e ne richiese il trasferimento, cui Clemente III diede corso nel 1189, ultimo anno di regno di Guglielmo II.
A Bari D. fin dal 1189-1190 fu incaricato dal pontefice di affrontare conflitti ecclesiastici nella sua provincia e all'interno del suo stesso capitolo. Nel 11 go si schierò risolutamente dalla parte del nuovo re Tancredi, come il resto dell'episcopato pugliese (ad eccezione di Gualtieri di Pagliara, vescovo di Troia). Nell'ottobre del 1192, con il concorso del suo capitolo, confermò in un solenne privilegio i diritti ecclesiastici del monastero di S. Erasmo, presso Acquaviva delle Fonti, assegnando ad esso anche la chiesa di S. Efrem nell'attuale Santeramo in Colle. Nello stesso anno deliberò sul ricorso dell'abate di S. Maria in Laterza contro un laico che aveva occupato un uliveto appartenente al convento.
D. dovette adattarsi senza difficoltà alla nuova situazione politica sopraggiunta nel 1194 con l'ascesa al trono di Sicilia dell'imperatore Enrico VI di Svevia. Per desiderio della coppia imperiale, avrebbe donato al monastero di Montevergine alcune reliquie di s. Sabino. L'imperatrice Costanza confermò nel 1195 i diritti di decima dell'arcidiocesi sulla città e sui dintorni di Bari, che erano stati stabiliti per la prima volta in modo più preciso dal re Guglielmo II con un suo mandato indirizzato al camerario Tasselgardo di Trani. Inoltre, Costanza assegnò alla Chiesa i diritti regali di decima su Gioia del Colle e di tutti i possedimenti demaniali nella diocesi. Non solo: essa concesse a D. (come anche agli arcivescovi Samaro di Trani e Angelo di Taranto) di poter inviare quotidianamente messi per riscuotere le decime ecclesiastiche dagli amministratori delle entrate della Corona, sottraendo così al loro arbitrio tali rendite. Per speciale desiderio di D., Costanza confermò per la prima volta in un privilegio secolare la discussa appartenenza all'arcidiocesi di Bari della diocesi di Cattaro, sull'opposta sponda adriatica, indicando nella curia arcivescovile il foro al quale i cittadini di Cattaro si dovevano rivolgere e confermando le loro esenzioni fiscali in Puglia, in un documento indirizzato alla Chiesa di Bari. La donazione insolitamente ampia indica come Costanza tenesse particolarmente a garantirsi la fedeltà del metropolita della maggiore provincia ecclesiastica pugliese.
La condotta di D. corrispose a queste aspettative. Nel gennaio del 1197 si recò a Barletta e Gioia del Colle presso l'imperatore, diretto in Sicilia attraverso la Puglia. L'unica ombra sui suoi rapporti con l'autorità imperiale in questi anni è data dal fatto che il cancelliere imperiale Corrado di Querfurt, vescovo di Hildesheim, agendo come luogotenente dell'imperatore, sottrasse a D. e alla sua diocesi, per assegnarla ai templari, la chiesa barese di S. Clemente nonostante che due arcivescovi, delegati dal pontefice, l'avessero precedentemente attribuita a Doferio. Nel settembre del 1198, poco prima che si concludesse il regno di Costanza, il giustiziere della Terra di Bari, Ruggero di Binetto, stabilì, interrogando dei testimoni a Gioia del Colle, che un casale presso Gioia apparteneva all'arcidiocesi e non al monastero di Ognissanti di Cuti, che lo aveva rivendicato per sé.
Per volontà del papa, D. nel 1196 affrontò ancora una volta la vecchia e ricorrente disputa tra il vescovo di Conversano e l'abate di S. Stefano a Monopoli per i diritti ecclesiastici su Putignano. Allorché, sul finire del 1199, alcuni cittadini di Bari sequestrarono una galera destinata alla crociata, Innocenzo III si rivolse anche a D. pregandolo di intervenire.
Nell'estate del 1200 Innocenzo III ordinò a D. di non dilazionare la conferma del neoeletto vescovo di Molfetta, Accarino. In una disputa con un canonico di S. Nicola di Bari per i diritti di patronato e di scelta del titolare riguardante la chiesa di S. Niccolò de Grecis, nella quale intervennero come mediatori i vescovi Arpino di Polignano e Guglielmo di Conversano, D. nell'aprile 1202 acconsentì a un compromesso che salvaguardava il carattere greco della chiesa, ma al tempo stesso la posizione giuridica dell'arcivescovo. Il crescente numero di presbiteri del coro presso la cattedrale e la partecipazione alle prebende di quest'ultima dei canonici di S. Nicola condussero ad un conflitto col capitolo, cui D. pose termine nell'agosto del 1205 con un nuovo statuto, che fissava a 48 il numero di presbiteri del coro e vietava di cumulare i canonicati presso la cattedrale e presso S. Nicola. Nel luglio del 1206 il papa incaricò D. e il vescovo di Salpi, Pagano, di intervenire in una vertenza ecclesiastica in cui all'arcivescovo di Trani, Bartolomeo, legato pontificio in Puglia e Basilicata, e agli stessi giudici che il papa aveva incaricato d'indagare in prima istanza su una sospensione pronunciata dal legato, era stata mossa l'accusa di aver agito in modo affrettato e illegittimo. Non è noto se D. abbia svolto un ruolo in questo processo, originato dalle accuse mosse contro l'arcivescovo Andrea di Acerenza, sulle quali il legato era stato incaricato di indagare.
Non sembra che D. si sia esposto nelle alterne vicende politiche avvenute in Puglia durante la reggenza papale, a differenza degli arcivescovi di Brindisi e di Otranto, che nel 1203 presero parte alla sommossa contro il conte Gualtieri di Brienne. In base all'obituario di Caiazzo, D. sarebbe morto il 3 marzo del 1207, mentre un necrologio di Bari, oggi smarrito, indicava come data di morte il 27 febbraio ("III Kal. Martii") dello stesso anno. Fu sepolto nel cimitero di S. Spirito presso la cattedrale di Bari (Beatillo), e non in S. Spirito a Roma, come si è spesso ripetuto sulla scia del Cerri e dell'Ughelli, che lo segue.
Alcuni familiari di D. si trasferirono con lui a Bari, dove assunsero il nome di "de Archiepiscopo". I?ue di loro, "Sire Doferius Petri" (1229-1264) e "Petrus Sire Doferii" (1266-1282), che compaiono come testimoni in molti atti baresi e quindi facevano parte del patriziato cittadino, sono probabilmente discendenti di un fratello di D., di nome Pietro, su cui peraltro manca qualsiasi testimonianza diretta. Si ha inoltre notizia di una sorella di D., Doca, che donò alla cattedrale di Caiazzo una somma in danaro, impiegata nel 1203 dal capitolo nell'acquisto di terre.
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