Vedi DODONA dell'anno: 1960 - 1973
DODONA (Δωδώ, Δωδώνη)
Località situata tra Molossia e Tesprozia, nel centro dell'Epiro (oggi Grecia nord-occidentale, presso Giannina), sede di un famoso santuario di Zeus. Il sito impervio, la sovrapposizione un poco indeterminata dello Zeus greco al potentissimo dio preesistente di cui ignoriamo il nome; ma più che altro la spietata concorrenza politica e religiosa di Delfi: tutto ciò determinò la rapida e progressiva decadenza dell'oracolo sin dall'epoca storica greca, nella quale, pur sussistendo la tradizione della santità e dell'importanza religiosa del luogo, non resta a D. altro che una funzione secondaria e di carattere in prevalenza privato. Del resto il nome e la costante tradizione storica presentano D. come oracolo-santuario fondamentale dei Pelasgi (o "mediterranei"); le sue origini pertanto e il suo fiorire debbono essere tratti indietro nei secoli e posti almeno nel II millennio, quando D. si trovava sopra una delle tante vie trasversali dalla penisola balcanica alla penisola italiana, lungo le quali con ogni probabilità si svolsero intense le migrazioni dei popoli attraverso l'Adriatico; D. aveva allora una evidente funzionalità topografica, che svanì appena i nuovi centri di vita si svilupparono nel Peloponneso, nell'Attica e nell'Egeo.
Anche dal punto di vista archeologico, i resti sono non soltanto poveri, ma denotano una vita appartata e modesta. Le rovine sogliono essere raggruppate in tre parti: la "città", racchiusa in un piccolo quadrilatero di 600 metri di perimetro, con una sola porta e il teatro. Nel tempio e nell'edificio prossimo, si trovarono molte statuette bronzee di Zeus e le tavolette plumbee con le domande e le risposte oracolari. Notevole, tra gli oggetti ritrovati dal Carapanos, una statuetta arcaica di satiro, molto simile a quella del kòttabos vetuloniese nel Museo Archeologico di Firenze (Milani, tav. 72): coincidenza che merita un certo riguardo, data l'equivalenza antica Etrusco = Pelasgico. Tutte le antiche testimonianze confermano l'alta importanza religiosa di D., quale sede ed origine di tutto il sistema religioso "pelasgico" divenuto poi greco. Noi troviamo così a D. una grande mescolanza di procedure mantiche che, evidentemente, dovettero avere una precisa sequenza cronologica; tutte queste procedure hanno però un costante carattere naturale: monti, vento, uccelli, querce, fonti, Achebo; e in esse convergono i due antichissimi aspetti religiosi dell'Ellade animistica, l'atmosferico e lo ctonio. Solo tardi, verso il IV sec. a. C., è documentata la cleromanzia. Una strana mantica era quella fondata sul suono di astragali al vento su tripodi bronzei: non si può non ricordare a questo proposito la descrizione della leggendaria tomba di Porsenna a Chiusi. Manca invece completamente a D. l'elemento estatico femminile, che formò poi il carattere fondamentale di Delfi (v.). A D. esistette, e permase in epoca storica, una gerarchia divina completa: un dio centrale Naios-Naos, una dea madre, detta poi Dione (assimilata ad Afrodite come dea madre), e forse una dea figlia. Si ha quindi una triade di due divinità femminili e una maschile come in Etruria. La presenza di questa triade ci riconduce al tempo antichissimo in cui il luogo fu sede religiosa di determinati popoli, laddove, dopo l'invasione ariana, rimase solo l'attività mantica. Anche i nomi dei sacerdoti, Helloi o Selbi (onde Hellas), scelti entro una stretta discendenza familiare, i quali dormivano sulla nuda terra (incubazione mantica ctonia) e non si lavavano mai i piedi, ci riportano al concetto antichissimo di collegio sacerdotale familiare e ad analoghe proibizioni di lavarsi in prassi religiose anatoliche e lidie.
(S. Ferri)
La città, che giace sulla collina a N della valle, è cinta da mura che si conservano per circa 3 m di altezza; sono larghe m 3,25 e presentano tecniche di epoche differenti, ma per la maggior parte l'apparato rozzamente isodomico le data al IV sec. circa a. C. Il lato S ha andamento rettilineo; presenta una sola porta (liberata recentemente) piuttosto stretta (largh. m 1,67), databile ad epoca ellenistica; permette una comunicazione diretta tra la città e il santuario. Il muro E presenta riseghe e una sola porta fiancheggiata da due torri. I lati N e N-O presentano a intervalli irregolari torri quadrate.
A S della città è posto il teatro, di dimensioni notevoli. La cavea di ampiezza maggiore di quella del teatro di Epidauro, è appoggiata al fianco della collina e retta ad E e O da poderosi muri di anàlemma in calcare locale, che si conservano per più di m 20 di altezza. Dalla tecnica di costruzione, il teatro è databile al IV sec. a. C. Era però ancora in uso in epoca romana (v. un podio marmoreo nell'orchestra dove attualmente si svolge parte dello scavo della località). Nessuna traccia dell'edificio della scena è stato rinvenuto sino ad ora. A S-E del teatro si estende il grande tèmenos, recinto di mura continue (a N le mura del tèmenos coincidono con le mura S della città). Si entrava sia dalla parte adiacente al teatro, sia direttamente dalla città, sia mediante propilei dall'estremità S. Il tèmenos si divide in due parti: la parte meridionale contiene per lo più piccoli thesauròi e offerte votive. La parte N del santuario contiene invece il complesso cultuale maggiore. All'estremità orientale è il tempio di Zeus (m 40 × 20,50), che presenta rifacimenti e la successiva trasformazione in basilica cristiana (la prima basilica è del V sec. d. C.; la seconda, più ampia, del VI sec.). Del tempio si distinguono però ancora da E ad O: il pronao, il naòs con due file di colonne in tufo (rimangono 8 rocchi) di cui l'ordine è sconosciuto, e l'opistodomo.
Più ad occidente, al centro del recinto sacro, è un edificio quadrangolare, probabilmente consistente solo di un muro di recinzione. Si tratta del cosiddetto "recinto delle divinazioni"; e invero doveva rivestire una grande importanza cultuale, giacché dopo ogni distruzione veniva subito ricostruito, mantenendo l'uguale forma e l'uguale orientazione (i muri delle diverse epoche sono tutti perfettamente paralleli tra loro). Le successive ricostruzioni vanno dall'arcaismo (VII sec.?) ad epoca romana. Presenta un pròpylon a S posteriore alla distruzione del recinto da parte dello stratega etolo Dorimaco e un pròpylon di maggiori proporzioni a N, posteriore alla distruzione di Paolo Emilio. L'edificio ha sempre conservato l'orientazione N-S. Il muro di recinzione dell'ultima ricostruzione presenta una fila di ortostati su uno pseudo-podio, con cornice aggettante, in tecnica isodomica. Nei massi sono state lasciate visibili le bozze di lavorazione. Nell'interno, a N-O è stato messo in luce un piccolo recinto circolare (focolare?) con pavimento in terra battuta. I frammenti ceramici ivi rinvenuti appartengono a ceramica preistorica lavorata a mano. Esternamente il recinto, specie nel lato S, è circondato da basi che dovevano reggere anathèmata. Ad E del recinto quadrato, non orientato con questo ma con direzione S-E - N-O è un tempietto (thesauròs?) prostilo, tetrastilo, con allargamento del pronao rispetto alla cella (pianta a T caratteristica del periodo ellenistico). Si conserva interamente lo stilobate, la prima fila di ortostati in calcare locale e una delle quattro colonne, in breccia. Un altro thesauròs è posto ad O del recinto, anch'esso non orientato né con l'edificio centrale né con l'altro tempietto. All'estremità occidentale del santuario, immediatamente ad E del teatro, è un grande edificio rettangolare (m 32 × 44), che il Carapanos aveva rilevato erroneamente come trapezoidale. I lati lunghi, che salgono sulla collina, presentano piccoli contrafforti a distanza regolare; nell'interno rimangono tracce di colonne. L'edificio doveva essere coperto (si sono rinvenuti frammenti di tegole).
Numerose sono le iscrizioni rinvenute nel santuario.
(L. Guerrini)
Bibl.: C. Carapanos, Dodone et ses ruines, voll. 2, Parigi 1878; O. Kern, in Pauly-Wissowa, V, c. 1257 ss., s. v.; D. Evanghelidis, in Epirotika Cronica, X, 1935, p. 214 ss., tav. I; E. Dyggve, in Festskrift til F. Poulsen, Copenaghen 1941; Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, p. 223 ss.; LXXVII, 1954, p. 135 ss.; LXXIX, 1955, p. 262 ss.; LXXX, 1956, p. 299 ss.; LXXI, 1957, p. 583; P. R. Franke, in Ath. Mitt., LXXI, 1956, p. 60 ss.; Τὸ ἔργον τῆς ἀρχαιολογικῆς ἑταιρίας, Atene 1957, p. 64 ss.
(S. Ferri - L. Guerrini)